06 febbraio 2013

Italianità in bella vista


L’italianità della Svizzera è concentrata evidentemente nella Svizzera italiana (Ticino e Grigioni italiano), ma è presente anche in tutti i settori della vita politica, economica, culturale e sociale della Svizzera tedesca e francese. Quando in questa rubrica si parla dell’italianità come di una delle tre componenti culturali fondamentali della Confederazione, s’intende affermare che nel carattere «svizzero», in quella che talvolta è chiamata «svizzeritudine», l’italianità è presente come una componente fondamentale.


Fuori della Svizzera italiana (in senso strettamente geografico), questa consapevolezza spesso manca, anche tra gli italofoni, forse perché concentrati nei tentativi di arrestare il declino della lingua italiana o di potenziare la loro presenza nelle istituzioni pubbliche. E’ convinzione diffusa che l’italianità debba esprimersi necessariamente nell'uso corrente della lingua italiana, nei comportamenti vistosamente italiani o ticinesi, nei nomi e cognomi tipicamente italiani o ticinesi, nella difesa degli interessi della Svizzera italiana. In realtà molto spesso le espressioni dell’italianità nella Svizzera tedesca e francese non hanno (tutte) queste caratteristiche.

Italianità e svizzeritudine
In oltre un secolo e mezzo di storia le varie popolazioni della Svizzera si sono lentamente ma inesorabilmente mescolate e integrate con uno scambio continuo di caratteristiche, modi di pensare e di fare, abitudini alimentari, stili di vita, ecc. che hanno modificato non solo la «svizzeritudine» ma anche l’italianità.
Credo che chiunque volesse individuare il carattere tipicamente «svizzero tedesco» o tipicamente «svizzero francese» o «svizzero italiano» dovrebbe concentrare le sue ricerche in un periodo assai lontano, magari i tempi di Franscini (1796-1857) e comunque non oltre la prima guerra mondiale, quando le «stirpi» (ma si parlava persino di «razze») e i «popoli» con le rispettive lingue e culture erano considerati ben distinti. Oggi risulterebbe un’impresa ardua se non impossibile perché tutte queste caratteristiche «svizzere», sia pure con la prevalenza dell’una o dell’altra, sono presenti, magari in maniera sfumata nel carattere semplicemente «svizzero» e nel DNA di ogni svizzero.

Italianità nella svizzeritudine
Basterebbe riflettere su alcuni comportamenti ormai comunissimi tra gli svizzeri tedeschi e francesi, come seguire la «dieta mediterranea» o «parlare ad alta voce» (ad esempio sui mezzi pubblici), «gesticolare all’italiana», «vestire Armani», per rendersi conto che ormai l’integrazione tra svizzeri tedeschi, francesi e italiani ha fatto passi da gigante. Eppure anche solo 30-40 anni fa molti svizzeri le snobbavano con evidente disappunto etichettandole come «typisch italienisch!».
Non va nemmeno minimizzato l’influsso dell’italianità sugli svizzeri tedeschi e francesi attraverso le conoscenze scolastiche, le informazioni dei media, i viaggi in Ticino e in Italia, la musica, il cinema, il teatro, lo sport e ovviamente attraverso i contatti quotidiani con italiani e ticinesi sui luoghi di lavoro, nelle associazioni e nei luoghi di svago. Per quanto difficile possa essere rilevare queste «contaminazioni» è innegabile che valori e caratteristiche dell’Umanesimo, del Rinascimento, del Bel Paese, persino della «Meridionalità», e della Sonnenstube ticinese siano stati assimilati anche dagli svizzeri tedeschi e francesi.

Italianità da scoprire
Simonetta Sommaruga
L’italianità pertanto non è un’etichetta immediatamente riconoscibile, ma bisogna scoprirla soprattutto in maniera indiretta, facendo attenzione, nelle persone, più che alla provenienza territoriale (Ticino, coi Grigioni italiani o Italia) ai legami culturali e sentimentali con una tradizione che ha i suoi massimi centri d’irradiazione in Italia e in Ticino.
L’italianità nella Svizzera tedesca e francese non è tuttavia solo un ricordo o un fragile legame col passato. Essa è una presenza tangibile che però non può avere le caratteristiche che ha nella Svizzera italiana e in Italia. Non mi riferisco tanto all'italianità diffusa in una miriade di prodotti «made in Italy» ormai presenti in tutti i grandi magazzini e in moltissimi locali tipicamente italiani o ticinesi come ristoranti, negozi, boutique, saloni di bellezza, garage, club, ecc. Mi riferisco soprattutto all'italianità presente, più o meno evidente ma reale, nel tessuto sociale, nelle istituzioni pubbliche e private, in moltissime persone portatrici di richiami, valori, stili di vita che evocano origini culturali ticinesi o italiane più o meno lontane.

I cognomi rivelatori d’italianità
Molto spesso i cognomi sono i primi rivelatori dell’origine italiana o ticinese più o meno lontana di chi li porta. Molti svizzeri che portano cognomi tipicamente italiani o ticinesi quali Bianchi, Rossi, Bernasconi, Facchinetti o Marazzi, pur vivendo magari da generazioni nella Svizzera tedesca e francese e pur non praticando più l’italiano (se non forse quel tanto che serve durante le vacanze in Italia o in Ticino) sanno perfettamente da dove provenivano i loro nonni o bisnonni, cosa facevano al loro paese e cosa sono venuti a fare nella Svizzera tedesca o francese. Sanno di avere nel loro DNA una componente d’italianità. I cognomi non vanno sottovalutati. Testimoniano una storia di spostamenti di persone, di matrimoni misti (dove il dare e l’avere è una regola), di scambi linguistici e culturali, d’integrazione che hanno prodotto in fin dei conti lo «svizzero» di oggi.
Evidentemente, oltre ai cognomi, ci sono nella Svizzera tedesca e francese anche altri rivelatori di una italianità diffusa e perfettamente integrata. Basterebbe ricordare i sempre più numerosi naturalizzati svizzeri di origine italiana o i «secondi» e «terzi» (cioè appartenenti alla seconda e terza generazione di immigrati italiani), che da qualche decennio si sono perfettamente integrati in tutti i settori della società, nelle scienze, nella ricerca, nella politica, nell'economia.
Non esiste probabilmente settore economico, eccettuata forse l’agricoltura, in cui l’italianità non sia presente e talvolta in bella vista. Ci sono personalità di origine ticinese, grigionese italiana e italiana che spiccano particolarmente come la classica punta dell’iceberg e segnalano una vasta italianità nemmeno poi tanto sommersa. Qualche nome, che sarà indicato solo a titolo di esempio, servirà a chiarire il concetto.

Italianità nelle istituzioni
Sullo scorcio dell’anno trascorso e anche nelle scorse settimane si è parlato molto della proposta ticinese a portare il numero dei consiglieri federali da 7 a 9 in modo da rendere più facile e regolare la rappresentanza italofona nell'esecutivo federale. Benissimo, ma non si dimentichi che l’attuale consigliera federale Simonetta Sommaruga, pur non essendo un’emanazione della Svizzera italiana non può non essere considerata anche un’espressione d’italianità sia per il cognome che porta e sia per le sue origini ticinesi.
Corina Casanova
Per restare nell'ambito federale non si può non menzionare anche la cancelliera della Confederazione Corina Casanova (grigionese di nascita e di formazione), il ticinese Mauro Dell'Ambrogio, capo della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l'innovazione in seno al Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca, ma anche altri due alti dirigenti dell’Amministrazione federale, Bruno Oberle (direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente, nato a San Gallo da padre svizzero e madre italiana di Messina e cresciuto a Locarno) e Gian-Luca Bona (nato anch'egli a San Gallo da padre italiano, fisico e manager della ricerca di fama internazionale, direttore dell’Empa, il Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca).

Italianità nelle arti e nelle scienze
L’italianità ha avuto da decenni grandi esponenti in campo sportivo (un nome per tutti: Fabian Cancellara), artistico (basti pensare ai fratelli Gianadda, di origine piemontese, che a Martigny hanno creato la Fondazione Gianadda), cinematografico (Denis Rabaglia, regista italo-svizzero, noto fra l’altro per il film «Azzurro», 2000) e musicale (ancora un nome per tutti: Cecilia Bartoli, romana, da poco naturalizzata svizzera).
In campo letterario e giornalistico sono numerosi gli scrittori e i giornalisti, di cui non farò nomi per non fare torto ad alcuno. Non posso tuttavia non segnalare Pietro Supino, italo-svizzero, giurista, banchiere, editore e presidente del potente gruppo editoriale Tamedia, di cui fanno parte una trentina di testate, tra cui il «Tages-Anzeiger», «Der Bund», «Le Temps», ecc. Nato a Milano, dove ha frequentato l'asilo, è cresciuto a Zurigo, dove da piccolo veniva chiamato «l’italiano».
Lino Guzzella
Nel campo delle scienze e della ricerca l’italianità è molto ben rappresentata. Alcune personalità sono addirittura di livello internazionale. Adriano Aguzzi, nato a Pavia, direttore dell’Istituto di Neuropatologia presso l’ospedale universitario di Zurigo, divenne famoso a livello internazionale soprattutto per le sue ricerche sulla malattia Creutzfeldt-Jakob e sul cosiddetto «morbo della mucca pazza». Antonio Ereditato, fisico italiano, professore ordinario di fisica delle particelle elementari presso l'Università di Berna (l'anno scorso più volte agli onori della cronaca per le ricerche sui neutrini superveloci). Lino Guzzella è un «secondo», figlio di immigrati italiani, divenuto lo scorso anno rettore del maggiore tempio della scienza in Svizzera, il Politecnico federale di Zurigo. Al CERN di Ginevra è pressoché costante la presenza di scienziati italiani di prim’ordine. Dopo Carlo Rubbia (premio Nobel per la fisica, 1984) sono oggi alla ribalta i prestigiosi ricercatori Pierluigi Campana, Guido Tonelli, Fabiola Gianotti, Paolo Giubellino, Sergio Bertolucci, ecc.

Italianità nella finanza e nell’imprenditoria
L’italianità ha espressioni di vertice anche nel settore bancario e imprenditoriale. E’ un ticinese, Sergio Ermotti, il presidente della direzione della maggiore banca svizzera, l’Unione di Banca Svizzera (UBS). E’ di origine grigionese Daniel Vasella, presidente del consiglio d’amministrazione della multinazionale del farmaco Novartis, uno dei manager più pagati al mondo, che in questi anni è riuscito a consolidare le posizioni di mercato della grande industria farmaceutica; non parla italiano ma lo capisce.
E’italo-svizzero l’imprenditore (biotecnologie) Ernesto Bertarelli (assurto a notorietà internazionale soprattutto per le vittorie dell’imbarcazione «Alinghi», vincitrice dell’America’s Cup, di cui era il principale finanziatore). E’ italiano, di Sorrento, l’imprenditore Gianluigi Aponte, presidente della Mediterranean Shipping Compagny (MSC), con sede a Ginevra; la MSC è la maggiore compagnia di gestione di linee cargo a livello mondiale, con oltre 450 navi portacontainerLeonardo De Luca, originario dell'Italia meridionale, è presidente della compagnia aerea Helvetic Airways. Marco Gherzi è presidente e amministratore delegato delle Gherzi AG. Franco Savastano, italo-svizzero, è l'amministratore delegato della Jelmoli, ecc. 
Renzo Ambrosetti e Vania Alleva
Da sempre in Svizzera l’italianità è ben rappresentata ai vertici sindacali, ma mai come in questo momento che vede alla testa del maggiore sindacato svizzero l’UNIA, come copresidenti, il ticinese Renzo Ambrosetti e Vania Alleva, figlia di lavoratori italiani immigrati, dunque «seconda», laureata in storia dell’arte all'università di Roma.

I nomi citati a titolo di esempio sono solo segnali emergenti di una realtà ben più vasta e profonda che meriterebbe di essere attentamente studiata e maggiormente valorizzata. Ne varrebbe la pena.
Giovanni Longu
Berna 6.2.2013

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