18 novembre 2020

Immigrazione italiana 1970-1990: 30. Giovani senza identità?

Negli articoli precedenti si è accennato alle principali problematiche dell’immigrazione italiana in Svizzera nel ventennio 1970-1990, che hanno reso lento e difficile il processo di integrazione, a scuola e nella formazione professionale, dei giovani della seconda generazione. Sono state evidenziate in particolare l’impreparazione delle autorità competenti svizzere e italiane, l’incertezza di molti genitori se restare in Svizzera o rientrare in Italia, se mandare i figli nati qui (o ricongiunti alla famiglia successivamente) alla scuola italiana o alla scuola svizzera, il clima generale della società svizzera poco favorevole alla stabilizzazione della popolazione straniera o addirittura xenofoba. C’era tuttavia anche una difficoltà di fondo ancora poco analizzata che merita di essere evocata perché riguarda l’idea stessa di «emigrazione italiana».

Perché parlarne?

Perché se ne parla raramente per la difficoltà di trovare risposte adeguate, ma forse anche per timore di scoprire che l’idea maggiormente diffusa di «emigrazione italiana in Svizzera» abbia potuto influire negativamente sull’integrazione di centinaia di giovani italiani di seconda generazione. Qui se ne parla non per dare risposte esaustive a un problema enorme, ma nel tentativo di spiegare la lentezza e le difficoltà del processo integrativo, inteso ovviamente nella sua accezione migliore.

Per capire quanto la nozione e la consapevolezza della condizione di immigrati abbia influito sulla vita reale degli italiani in Svizzera e soprattutto sulle relazioni tra indigeni e stranieri, bisognerebbe partire di lontano, quando, per esempio all’inizio del secolo scorso, era sicuramente più conveniente restare italiani che diventare svizzeri. Negli anni Sessanta e Settanta, invece, dopo l’ondata immigratoria di massa del secondo dopoguerra, una tale affermazione non sarebbe stata giustificata perché la condizione migratoria pesava enormemente, soprattutto sulla seconda generazione.

Per rendersi conto di quanto abbia pesato sui figli la condizione dei genitori basterebbe ricordare che gli appartenenti alla seconda generazione, benché non assimilabili agli immigrati non essendo mai emigrati in quanto minorenni o addirittura nati e vissuti in questo Paese, ne hanno sempre dovuto sopportare il peso. Ancora oggi, del resto, i discendenti dei veri emigrati vengono spesso compresi nella categoria dei «migranti», nonostante siano presenti soprattutto nella letteratura svizzera altre espressioni più consone, per esempio, «persone con origini migratorie».

La situazione negli anni ’70 e ‘80

Scriveva nel 1983, l’inviato speciale in Svizzera del Corriere della Sera, Maurizio Chierici: «In Svizzera vivono più di 450.000 operai italiani, i ragazzi sotto i vent’anni sono 80.000. Una generazione perduta, quasi perduta o che sta per perdersi: le definizioni sfumano i diversi pessimismi. Di sicuro una generazione che, per la cultura non ricevuta, a malapena riconosce Garibaldi…».

Il giornalista proseguiva analizzando la situazione sulla base di contatti recenti con immigrati italiani. Riferiva per esempio il racconto di un operaio pugliese che, mentre insieme alla famiglia si recava in macchina in Puglia per le vacanze estive, superando Firenze, la figlia domandò: Quand'è che arriviamo in Italia?. Per lei Italia non è neanche Roma, solo la provincia di Foggia, cioè casa sua ... ».

Per Chierici, la costatazione che «oltre alla casa è la consapevolezza sepolta di appartenere ad una realtà meno compassata che rende schizofrenica l'adolescenza di migliaia di persone» rimandava a un’altra domanda fondamentale: «in quale modo l'Italia si è ricordata di aver spedito fuori un esercito di bambini? Anni fa, gli anni duri del primo referendum xenofobo di Schwarzenbach, parlando di questi giovanotti, il quotidiano zurighese Neue Zürcher Zeitung aveva condensato in un titolo una protesta intelligente. «Possibile che siano tutti stupidi i figli degli italiani?».

Il giornalista italiano proseguiva la sua analisi spietata della difficile situazione dei giovani italiani, che né la scuola italiana (corsi di lingue e cultura) né la scuola svizzera riuscivano a migliorare. Questa anzi la peggiorava perché gli svizzeri «non vedono volentieri l'ingresso nella classe dirigente dei figli degli stranieri. Quindi gli sbarramenti sopravvivono; e le classi differenziate restano popolate da allievi di nomi non tedeschi».

Mondi separati

La testimonianza citata, pur non essendo totalmente condivisibile, dava uno spaccato veritiero della difficile condizione di molti giovani figli di immigrati italiani divisi tra due culture, due Paesi, anzi due mondi lontanissimi l’uno dall’altro, anche se apparentemente vicini. Era evidente che «gli immigrati italiani» costituivano un mondo a sé e gli svizzeri erano l’altro mondo, quello del «piccolo popolo sovrano [che] si sente in pericolo», ma non può fare a meno dell’altro (M. Frisch). Da che parte avrebbero dovuto stare quei giovani?


Questa domanda, legittima e semplice, se la sono posta in molti, ma nessuno ha mai risposto in modo netto perché i figli in età scolastica, che appartengono ancora, per natura, al mondo dei genitori, non avrebbero potuto ribellarsi e nemmeno, in molti casi, esprimere un’alternativa o anche solo una chiara preferenza.

Di questo mondo faceva parte l’utopia del ritorno, l’attaccamento alla propria terra, l’unità della famiglia a guida paterna, l’incertezza del domani, una certa fierezza di essere italiani e, talvolta, anche un senso di superiorità dell’italiano rispetto ad altri popoli. Questo mondo non sempre teneva in (giusta) considerazione il sentimento di appartenenza dei giovani e una valutazione oggettiva delle opzioni di rientrare in Italia o di restare in Svizzera per garantire loro le migliori condizioni di sviluppo possibili.

Le conseguenze per la seconda generazione sono state talvolta tragiche e si sono manifestate soprattutto nelle innumerevoli difficoltà incontrate dai giovani italiani nel lungo e difficile processo integrativo. Per alcuni decenni essi hanno riempito in proporzioni abnormi le classi speciali, risultavano sistematicamente al di sotto dei coetanei svizzeri nelle prestazioni a tutti i livelli scolastici, incontravano grandi difficoltà nell’accesso agli apprendistati più esigenti e nell’inserimento nella vita professionale.

Questi giovani erano talvolta considerati una generazione indefinita e piuttosto problematica, la cosiddetta Weder-noch-Generation, giovani cioè che pur essendo nati e cresciuti qui non si sentivano né svizzeri né italiani. A questi giovani spesso si faceva credere che non era «bello» naturalizzarsi, anche se di italiano talvolta non possedevano nemmeno la lingua. Erano trattati, purtroppo, come se non avessero una propria identità!

Essi non avevano nessuna colpa, forse nessuno doveva o poteva sentirsi responsabile, perché la situazione era il risultato di una sedimentazione almeno secolare di opinioni, decisioni, interpretazioni, pregiudizi, che avevano contribuito a creare e diffondere una nozione di «emigrazione» estremamente riduttiva e conservativa, di cui si trovano tracce anche in molti resoconti di oggi.

Nozione riduttiva di «emigrazione»

La storia dell’emigrazione italiana in Svizzera è estremamente dinamica, mentre le nozioni di «emigrazione» e di «emigrati» sono rimaste bloccate, anche se è cambiata un tantino la terminologia. Oggi non si parla quasi più di espatri e di emigrati, ma si preferiscono espressioni tipo «Italiani all’estero», «Italiani nel mondo», «L’Italia fuori d’Italia».

Forse le nozioni di «emigrazione», «emigrati», «seconda generazione» stanno cambiando davvero, ma se s’intende parlare degli italiani immigrati in Svizzera nella seconda metà del secolo scorso e dei loro figli non si possono dimenticare le nozioni che erano diffuse allora. Per «emigrazione» s’intendeva prevalentemente una condizione provvisoria, gli «emigrati» erano «lavoratori ospiti» (Gastarbeiter) che prima o poi se ne sarebbero andati anche perché all’idea del «ritorno» nessun immigrato in Svizzera rinunciava.

Com’è facile osservare, e come si vedrà meglio in un prossimo articolo, in questa visione i figli erano irrilevanti e purtroppo nel periodo che si sta considerando hanno dovuto subire i molti limiti e difficoltà che comportava. Conquistare la propria identità non è stato facile! (Segue)

Giovanni Longu
Berna 18.11.2020