La prima guerra mondiale è stata un enorme massacro. Ha lasciato sul
campo almeno 20 milioni di morti e ha comportato distruzioni per un valore
incalcolabile e una crisi economica e sociale gravissima. Per molti popoli la
prima guerra mondiale segnò tuttavia anche l’inizio di una rivoluzione
silenziosa e benefica, destinata a cambiare il mondo: il movimento femminista,
nato sul finire del Settecento, cresciuto idealmente nell’Ottocento, stava per
conseguire i primi importanti risultati concreti in campo sociale e politico.
Banco di prova per i movimenti femministi

L’imperativo della sopravvivenza e del supporto agli uomini sotto le
armi fece sì che alla loro sostituzione nella produzione agricola, ma anche
industriale, fossero destinate milioni di donne. Molte furono impiegate anche
nella produzione di munizioni per l’approvvigionamento della macchina bellica.
Tutto questo in aggiunta ai tradizionali lavori domestici, alla cura dei figli
e all’assistenza degli anziani.
Questa esperienza, gravosa ma ben superata, aveva dato alle donne e pure
agli uomini la prova lampante delle loro capacità e virtù anche al di fuori
dell’ambito familiare. Da quel momento sarebbe stato più facile avanzare
richieste fino ad allora irricevibili dagli uomini di potere, per esempio il
diritto alla formazione, l’esercizio di ogni professione, i diritti politici. E
sarebbe stato più difficile per gli uomini obiettare che le donne dovevano
occuparsi della casa e della famiglia come spose e madri.
Rivendicazioni e conquiste
Finita la guerra, l’emancipazione femminile trovò davanti a sé una sorta
di strada spianata. Le donne, che già sapevano gestire una casa e una famiglia,
avevano dimostrato di saper gestire anche il lavoro in fabbrica, nei
laboratori, negli uffici. Avevano dimostrato di non aver bisogno di alcuna
tutela maschile e di saper badare a sé stesse.
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Donne in una fabbrica di munizioni in Gran Bretagna. |
Per portare avanti le loro rivendicazioni sociali e politiche, le donne
sapevano però che dovevano essere unite. L’esperienza nelle fabbriche aveva
favorito la loro sindacalizzazione e politicizzazione. Cominciarono perciò a
organizzarsi nei sindacati e nei partiti politici e i risultati non tardarono
ad arrivare. Fino al 1920 avevano già ottenuto il diritto di voto in diversi
Paesi, tra cui l’Austria, la Germania, il Belgio, la Polonia, il Regno Unito,
la Russia, l’Ungheria, il Canada, gli Stati Uniti. In altri Paesi dovranno
attendere ancora, ma la direzione e l’obiettivo erano segnati e ritenuti
irrinunciabili.
Anche nella vita privata le donne dimostravano sempre più la raggiunta
emancipazione, per esempio esibendo vestiti che tendevano a evidenziare
maggiormente la loro fisicità, praticando numerosi sport, frequentando scuole
di ogni ordine e grado, raggiungendo livelli prestigiosi nella letteratura e
nell’arte, guidando l’automobile, purtroppo iniziando
anche a fumare (la sigaretta era divenuta simbolo di ribellione e di lotta)
come gli uomini.
Non tutte le donne riuscirono subito a sottrarsi ai condizionamenti
delle società fino ad allora fortemente maschiliste. In alcuni Paesi dovranno
attendere addirittura decenni prima di ottenere il diritto di voto (Francia:
1944, Italia: 1946, Svizzera: 1971). In molti Paesi dove
magari le donne hanno da tempo i diritti politici non hanno ancora la parità
salariale e pari opportunità rispetto agli uomini nell’accesso allo studio o
nell’esercizio di alcune funzioni.
Per molte società la parità uomo-donna resta ancora un obiettivo da
conquistare e non si capisce se il ritardo è dovuto a difficoltà oggettive o
alla paura (inconfessabile) di una società più giusta, più equa, più umana.
Giovanni Longu
Berna, 31.10.2018
Berna, 31.10.2018