L’eccezionalità del fenomeno della «seconda generazione» di italiani sul finire degli anni Sessanta era dovuta sia alla sua straordinaria portata e sia all'impreparazione delle istituzioni soprattutto svizzere a fronteggiarla. La combinazione di questi due elementi rendeva qualsiasi soluzione particolarmente complessa e difficile. Si è già parlato della gravità del fenomeno per il numero elevato di bambini interessati (cfr. articoli precedenti), ma anche l’impreparazione delle istituzioni merita qualche spiegazione. Tanto più che nell'ormai secolare storia di Paese d’immigrazione, non è pensabile che la Svizzera abbia dovuto affrontare il tema dei figli degli stranieri per la prima volta solo a cavallo del 1970.
La seconda generazione fino al 1931
![]() |
Figli di immigrati «ospiti» di uno dei tanti collegi lungo la frontiera italo-svizzera. |
La seconda generazione
degli immigrati era divenuta un problema politico serio quando agli inizi del
secolo scorso si cominciò a vedere nel crescente numero di stranieri
(specialmente tedeschi e italiani) e dei loro figli nati in Svizzera un pericolo
e per indicarlo s’inventò nel 1900 la parola Überfremdung,
«inforestierimento». Per evitare che si diffondesse tra la popolazione un forte
sentimento antistraniero, il dibattito politico si concentrava sulla ricerca
del metodo più semplice e realizzabile per ridurre la crescita e possibilmente
il numero totale di stranieri.
Poiché a causa dei vari accordi bilaterali era quasi impossibile intervenire direttamente sulla prima generazione, decisamente tedesca, italiana o francese e pressoché insensibile all'attrazione della cittadinanza svizzera, si pensò di agire quasi esclusivamente sui giovani stranieri, ritenendoli già sufficientemente integrati perché nati in Svizzera (benché frequentassero ambienti, scuole comprese, quasi esclusivamente non svizzeri). Si giunse persino ad approvare una legge federale (1903) che dava ai Cantoni, competenti in materia di cittadinanza, la facoltà di introdurre nell'ordinamento cantonale una sorta di jus soli, ossia la naturalizzazione automatica per gli stranieri di seconda generazione nati in Svizzera.
La legge rimase
inapplicata per la contrarietà dei Cantoni (ma anche della popolazione
immigrata interessata) e la Confederazione, di fronte a tali ostacoli, rinunciò
per oltre un decennio a nuovi tentativi di soluzione generale, anche se il tema
dell’Überfremdung era sempre presente nell'agenda del Consiglio
federale. Da allora, tuttavia, cominciò a farsi strada il
pensiero che alla naturalizzazione ciascuno dovesse arrivarci attraverso l’«assimilazione»
individuale (il termine «integrazione» era ancora se non inesistente,
scarsamente usato).
La legge sugli stranieri del 1931
Poiché nell'opinione pubblica svizzera la paura degli stranieri non era stata scacciata nemmeno dalle avversità della prima guerra mondiale e dalla vistosa diminuzione della popolazione straniera dal 14,7 per cento (nel 1910) all'8,7 per cento (nel 1930), l’Assemblea federale pensò di dare una soluzione pressoché definitiva al problema dell'inforestierimento attraverso una nuova legge federale sulla dimora (di durata limitata) e il domicilio (di durata illimitata) degli stranieri, approvata il 26 marzo 1931 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1934.
L’importanza di questa legge è facilmente
comprensibile se si pensa che essa ha fissato i principi fondamentali della
politica immigratoria svizzera per oltre settant'anni, ossia fino all'entrata
in vigore della nuova legge sugli stranieri il 1° gennaio 2008. La sua durata e
i principi in essa contenuti spiegano anche in larga misura l’impreparazione della
Svizzera a gestire l’emergenza della seconda generazione alla fine degli anni
Sessanta. Essi meritano pertanto di essere richiamati, almeno sommariamente.
Anzitutto, però, occorre ricordare che la
legge sugli stranieri del 1931 doveva costituire per il Consiglio federale e
per il legislatore una specie di muro contro l'«inforestierimento», ossia il
pericolo che una massa di stranieri ritenuti «ospiti», Gastarbeiter, rimanesse in Svizzera a tempo
indeterminato. La legge non era dunque destinata, come qualcuno potrebbe
pensare, a contenere l’afflusso di stranieri (contro cui sarebbe stata
largamente inefficace a causa dei trattati bilaterali con i Paesi vicini da cui
provenivano nella stragrande maggioranza), ma a scoraggiare la loro permanenza
in territorio svizzero.
I cardini della politica migratoria dal 1931 al 2008
Per raggiungere tale obiettivo non occorreva
introdurre nuove modalità d’ingresso in Svizzera, ma bastava disciplinare le
condizioni d’ingresso e della permanenza degli stranieri. Per esempio,
vincolando l’ingresso e il soggiorno dei lavoratori stranieri non solo a un
permesso di lavoro e a un permesso di soggiorno, ma anche a un reale interesse
della Svizzera ad ospitarli. Per questo la legge prescriveva all'articolo 16
che «nelle loro decisioni, le autorità competenti a concedere i permessi
terranno conto degli interessi morali, economici del paese nonché dell’eccesso
della popolazione straniera». In altre parole, le nuove ammissioni dovevano
avvenire unicamente in funzione della situazione del mercato del lavoro, del
clima sociale, della situazione degli
alloggi, della lotta all'inforestierimento.
Inoltre,
venivano introdotte per la prima volta nella legge due caratteristiche
determinanti per la successiva politica federale degli stranieri, la
discrezionalità dei permessi e la precarietà. Con la prima si riconosceva un
potere pressoché assoluto agli organi dello Stato di concedere o meno i
permessi e di revocarli in base a criteri già allora ritenuti da taluni poco
oggettivi. Con la seconda si stabiliva il principio della durata limitata dei
permessi e della possibilità che venissero revocati o non venissero rinnovati.
L’articolo
4 precisava, a scanso di equivoci e di pretese ingiustificate che «l’autorità
decide liberamente, nei limiti delle disposizioni di legge e dei trattati con l’estero, circa la concessione del permesso di dimora
o di domicilio». Pertanto si stabiliva anche che l’autorità non era obbligata
al rinnovo dei permessi, qualora fossero venute meno le condizioni per le quali
erano stati rilasciati.
Si sa infine che a vigilare sull'osservanza
della legge e dei regolamenti c’era un’attenta Polizia
degli stranieri, che solo a nominarla incuteva timore. Del resto doveva
apparire singolare che a presiedere alla sorveglianza di decisioni
essenzialmente amministrative ci fosse una «Polizia» speciale. Il perché è
invece chiaro: la nuova legge e tutte le misure ad essa collegate dovevano
scoraggiare che molti stranieri prolungassero a tempo indeterminato il loro
soggiorno in Svizzera.
L’emergenza della seconda generazione
Il risultato è stato che effettivamente la
legge, le ordinanze e la polizia degli stranieri hanno consentito che milioni
di lavoratori stranieri dimorassero in questo Paese per qualche stagione o anno
finché l’economia ne aveva bisogno e poi se ne tornassero definitivamente al
loro Paese d’origine, perché la Svizzera non voleva essere un Paese
d’immigrazione senza ritorno.
Giovani in formazione al Cisap (anni ’80) |
Solo nella seconda metà degli anni Sessanta,
quando questo movimento incessante di migranti ha cominciato a rallentare
perché l’economia aveva bisogno di personale stabile e fidelizzato all’azienda
in cui lavorava, gli immigrati hanno cominciato dapprima a prolungare il loro
soggiorno in Svizzera e poi a prendere il domicilio a tempo indeterminato, a
costituire una famiglia, a fare figli o farsi raggiungere dai figli minorenni
rimasti in Italia. In breve, l’emergenza della seconda generazione era
inevitabile, soprattutto dopo che l’Italia durante il negoziato per un nuovo
accordo di emigrazione/immigrazione (nella prima metà degli anni Sessanta)
aveva chiesto espressamente alla controparte svizzera di prendere in
considerazione i bisogni di formazione dei piccoli italiani.
Solo allora, ufficialmente nel 1970, come si
vedrà nel prossimo articolo, la Confederazione prese coscienza del fenomeno in
crescita della seconda generazione senza poter invocare leggi e regolamenti
ormai travolti da una nuova generazione di stranieri, non più riconducibili
alla categoria degli «immigrati» e più simili ai coetanei svizzeri che ai
coetanei del Paese d’origine. (Segue).
Giovanni Longu
Berna, 17.11.2021