19 settembre 2018

Xenofobia, malattia grave ma non incurabile (prima parte)


Se il linguaggio dei media fosse più franco, oggi parlerebbe senza mezzi termini della diffusione in Europa di una pericolosissima epidemia, fatta di nazionalismo, populismo, giustizialismo, radicalizzazione, xenofobia, tanti mali che rischiano di cronicizzarsi come l’evasione fiscale, lo sperpero di denaro pubblico, la corruzione, la disattenzione al bene comune, la marginalizzazione dei più deboli e altro ancora. L’Italia da alcuni anni sembra volersi candidare a campione di tutto ciò senza riuscire a produrre al suo interno gli anticorpi necessari a combattere questa grave malattia. La prima cura dovrebbe consistere nella franchezza del linguaggio, nella denuncia di ciò che è inaccettabile e pericoloso e nella proposta di rimedi efficaci a breve e a medio termine.

La situazione italiana: un problema per l’Europa
In Italia, il governo in carica dal 1° giugno, frutto delle votazioni del 4 marzo 2018 e autobattezzatosi «del cambiamento», ha al suo interno dei ministri che, incuranti dei richiami alla prudenza e alla moderazione del Presidente della Repubblica, sembrano decisi a spingere la fragile imbarcazione italiana contro gli scogli piuttosto che verso porti sicuri. Fuori metafora, alcuni ministri, nella loro voglia di cambiamento purchessia, non esitano a sfidare non solo le opposizioni parlamentari e persino la magistratura, ma anche le istituzioni europee, la Commissione, il suo presidente e singoli commissari, capi di Stato e di governo, ministri europei, il governatore della BCE, l'Alto Commissariato dell'ONU per i diritti umani, l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati… nonostante il formale impegno dell’Italia a sostenere le loro azioni!
Si rende conto Giuseppe Conte che su questa strada il suo governo non fa che alimentare sospetti e rischia l’isolamento in Europa? Si rende conto che se Mario Draghi, Governatore della Banca centrale europea (BCE), afferma pubblicamente che le dichiarazioni populiste del governo hanno già fatto danni all'Italia, si sta andando davvero sulla cattiva strada? Se poi si aggiunge anche la dichiarazione del Commissario agli Affari Monetari della Commissione europea Pierre Moscovici («L’Italia è oggi un problema, deve essere credibile, con un bilancio credibile»), che fa il presidente Conte per salvaguardare l’immagine dell’Italia? Tanto più che il commissario europeo aveva poco prima denunciato il clima che si respira oggi in Europa, «che assomiglia molto agli anni Trenta», perché, se è vero che «non c’è Hitler», ci sono «forse dei piccoli Mussolini».
Perché Conte non è intervenuto a commentare l’intervento di Moscovici? O ha preferito condividere i commenti stizziti dei suoi vicepremier Luigi Di Maio («L’atteggiamento da parte di alcuni commissari europei è inaccettabile […] Dall’alto della loro Commissione si permettono di dire che in Italia ci sono tanti piccoli Mussolini») e Matteo Salvini («Il commissario UE Moscovici si sciacqui la bocca prima di insultare l’Italia, gli italiani e il loro legittimo governo»)? Si è mai chiesto il presidente Conte dove vuole condurre l’Italia, a stare saldamente in Europa o nell’isolamento?
Provo difficoltà a comprendere come gran parte dei media italiani sembrino non accorgersi del danno d’immagine che Di Maio e soprattutto Salvini stanno procurando all’Italia col loro atteggiamento populista e xenofobo in Europa e nel mondo. Trovo particolarmente deleteri i loro continui scontri con alcuni Paesi europei, con le istituzioni europee, con le Organizzazioni non governative (ONG) operanti nel Mediterraneo per il salvataggio dei profughi e persino con l’Alto Commissariato dell'ONU per i diritti umani e l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati. Ritengo pericolosissime anche le scelte di campo del ministro Salvini con l’estrema destra di alcuni Paesi. Mi chiedo se l’Italia si meriti tutto ciò.

Il vice Luigi Di Maio: che figura!
Che il governo Conte non si esprima quasi mai con voce unanime è ormai notorio. Il silenzio del capo del governo su alcune esternazioni dei due vicepresidenti Salvini e Di Maio non aiuta tuttavia a capire quanto lui sia consenziente e quanto in disaccordo. Sta di fatto che sulle pagine dei giornali finiscono soprattutto i due vice, disorientando i lettori sull’autentica opinione del governo, anche perché a tacere è spesso anche il ministro dell’economia Giovanni Tria. Alcuni esempi per chiarire queste affermazioni.
Alcune settimane fa il ministro Luigi Di Maio ha parlato del contributo dell’Italia al bilancio dell’Unione Europea quantificandolo in 20 miliardi, mentre ne riceverebbe appena 12. Falso. Perché il Presidente del Consiglio non è intervenuto a correggere almeno le cifre? Ha forse preferito che gli rispondesse per le rime il commissario europeo al bilancio Ghuenter Oettinger? Questi ha infatti osservato: «La cifra di 20 miliardi che alcuni esponenti del governo indicano come contributo dell’Italia al bilancio dell’Unione Europea è una farsa. Non sono 20 miliardi di euro l’anno. L’Italia contribuisce con 14, 15, 16 miliardi in un anno. Se si tiene in conto ciò che ottiene dal bilancio UE, il risultato è un contributo netto di 3 miliardi l’anno». Che figura! Peccato che non fosse né la prima né l’ultima.
Non è stata la prima perché molti certamente ricordano gli atteggiamenti da vincitore dopo le elezioni di marzo, quando osò chiedere l’impeachment per il capo dello Stato!
Recentemente, poi, deve aver detto che «fra le agenzie di rating ed il popolo noi stiamo con il popolo» beccandosi questa replica del giornalista Beppe Severgnini: «È una scemenza quella di Di Maio, perché il nostro debito è detenuto da investitori stranieri, e se questi li spaventi scappano e lo spread sale, bruciando i risparmi». Ma è proprio così sprovveduto il ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali? Non sarebbe meglio che si occupasse di sviluppo economico, di formazione professionale, di politiche sociali efficaci?

Il vice Matteo Salvini: arrogante e ambizioso
Nel governo Conte, tuttavia, non è solo Di Maio ad alzare la voce, anzi risuona più forte, quasi quotidianamente, quella del ministro dell’interno Matteo Salvini. Forte dei sondaggi che lo danno in crescita costante, al dialogo, ritenuto probabilmente una perdita di tempo, preferisce la lotta. Incurante, almeno apparentemente, della propria persona, sembra convinto che l’ora del destino per la riscossa del popolo italiano (ormai quello padano è definitivamente scomparso!) è scoccata e che lui ne sia il suo condottiero principale.
Negli scontri, quasi quotidiani, con le istituzioni europee, con la Francia, con la Germania, ultimamente col Lussemburgo, col governatore della BCE Mario Draghi (al quale ha ricordato: «conto che gli italiani in Europa facciano gli interessi dell’Italia come fanno tutti gli altri Paesi, aiutino e consiglino e non critichino e basta»), Salvini si comporta come il condottiero predestinato a guidare l’Europa, che non si lascia intimorire da nessuno, perché sembra godere di un sostegno incondizionato dell’opinione pubblica.
Ne ha dato prova anche recentemente, durante un incontro interministeriale a Vienna. Il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn, dopo aver ascoltato per un po’ Salvini difendere la sua posizione sui migranti, è intervenuto affermando la necessità dell'immigrazione per contrastare l'invecchiamento della popolazione europea. Non l’avesse mai fatto. Salvini gli ha risposto che la sua prospettiva è completamente diversa: «Io penso di essere al governo e di essere pagato per aiutare i nostri giovani a tornare a fare quei figli che facevano qualche anno fa e non per espiantare il meglio dei giovani africani per rimpiazzare i giovani europei che per motivi economici oggi non fanno più figli. Magari in Lussemburgo c'è questa esigenza, in Italia invece abbiamo l'esigenza di aiutare i nostri figli a fare degli altri figli e non ad avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più».
Il ministro lussemburghese è poi intervenuto nuovamente per ricordare al ministro Salvini che «in Lussemburgo abbiamo accolto decine, migliaia di immigrati italiani. Sono arrivati come migranti a lavorare in Lussemburgo affinché voi poteste avere in Italia soldi per dare da mangiare ai vostri figli». Per chiudere lo scontro Salvini ha affermato: «Se in Lussemburgo avete bisogno di nuova immigrazione, in Italia preferisco aiutare gli italiani a tornare a fare figli».
Faccio fatica, forse a causa della distanza di osservazione delle cose italiane da Berna, a comprendere non tanto l’atteggiamento arrogante e ambizioso del ministro Matteo Salvini (ormai convinto di avere in pugno l’intero governo, e domani, dopo le prossime votazioni europee, addirittura il governo dell’Unione Europea insieme al Primo ministro ungherese Viktor Orban), quanto, stando ai sondaggi, il gradimento del suo operato e soprattutto delle sue promesse nell’opinione pubblica.

La questione dei migranti
Possibile che gli osservatori della politica italiana non si rendano conto dell’insensatezza di espressioni, attribuite a Salvini, quali: «Prima i nostri, poi gli altri (se ne avanza)», «Migranti, è finita la pacchia», «migranti = clandestini», «migranti = invasori», e simili. Il premier Giuseppe Conte è meno drastico ma non meno negativo nei confronti dei migranti: «Non possiamo accoglierli tutti» e crede di giustificare questa affermazione con questi pseudo argomenti: «Con l'accoglienza indiscriminata non possiamo risolvere il problema dell'immigrazione, perché noi possiamo assicurare il soccorso, ma non possiamo offrire l'accoglienza indiscriminata». Più che un giurista Conte mi sembra un leguleio, perché non può mescolare indistintamente l’accoglienza, il soccorso, la procedura d’asilo, l’immigrazione (regolare), l’integrazione. All’Italia in questo momento è chiesto soprattutto di farsi carico del «soccorso» in mare (e quindi dello sbarco in un porto sicuro), dell’accoglienza almeno provvisoria per l’identificazione, l’avvio delle procedure d’asilo per appurare chi ne ha diritto e chi dev’essere rimpatriato nel Paese da cui è partito.
Alla base del pensiero politico del governo e soprattutto del ministro Salvini, camuffato in una serie di espressioni atte a far presa sul sentimento di frustrazione e di rancore di molta gente che si sente in gravi difficoltà e abbandonata, c’è una valutazione essenzialmente xenofoba della situazione. Poiché la xenofobia è una malattia grave sebbene non incurabile, desidero affrontare il tema con un certo distacco dalla situazione italiana e un atteggiamento propositivo. Prenderò in considerazione una situazione analoga verificatasi in Svizzera nel secolo scorso e risolta direi felicemente, anche se so bene che la radice della xenofobia è inestirpabile in maniera definitiva. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 19.09.2018