24 febbraio 2023

Ancora guerra in Europa. Fino a quando?

Avevo deciso di non scrivere nulla nell'anniversario di questa guerra insensata tra Russia e Ucraina perché le posizioni mi sembrano talmente fossilizzate da renderle inscalfibili. Se scrivo è per due ragioni. La prima, perché considero inutile e fastidioso sentir ripetere che la Russia ha invaso l’Ucraina, che i russi sono i cattivi e gli ucraini i buoni, che è giusto continuare a mandare armi sempre più sofisticate all'Ucraina fino alla sua vittoria finale e affermazioni simili. E’ una ripetizione inutile perché è evidente che la Russia ha invaso il Paese vicino e il diritto internazionale questo non lo consente. La seconda, perché ritengo la pace doverosa e possibile.

Una guerra ad oltranza?

A dire il vero lo consentì una volta, a favore degli USA, quando i giuristi americani e consociati nel mondo occidentale riuscirono a giustificare addirittura una «guerra preventiva» (dottrina Bush) contro l’Iraq accusata, senza prove, di disporre di armi di distruzione di massa. Fu certamente un errore, che però non fu mai sanzionato. Ora il mondo occidentale è schierato saldamente contro la Russia e non consente all'avversario storico degli USA di compiere impunemente lo stesso errore.

Per evitare una guerra nucleare, però, gli USA, la NATO e l’UE, che intendono sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina fino alla sua vittoria finale, non sono disposti a entrare in guerra direttamente e a morire per l’Ucraina. Del resto, non è scontato che le democrazie occidentali continuino a seguire, anche se sempre meno convintamente, i loro capi e non si ribellino a questa volontà di guerra ad oltranza, anche se a morire, per ora, sono solo russi e ucraini. Sempre più persone si rendono conto che proseguire la guerra non conviene a nessuno, è una sciagura per tutti!

Quali sono le condizioni per una pace «giusta»?

Se decido di scrivere è soprattutto perché ritengo possibile ottenere un cessate il fuoco e avviare trattative di pace su basi un po’ più serie e più giuste rispetto a quelle vaghe e astratte ventilate dagli occidentali, compreso il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani e il consigliere federale Ignazio Cassis. Secondo Tajani, «non ci può essere pace senza giustizia» e per Cassis, «dopo un anno di guerra, dobbiamo unire le nostre forze, le nostre idee e i mezzi a nostra disposizione per ripristinare il senso di sicurezza in Europa e garantire il ritorno di una pace completa, giusta e duratura in Ucraina». Parlando all'undicesima Sessione di emergenza dell’Assemblea Generale dell'Onu convocata a un anno dall'invasione, Tajani ha tentato di precisare che «giustizia significa il pieno rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina all'interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti e delle sue acque territoriali».

Nessuno sembra rendersi conto che la prima condizione per giungere alla pace è odiare la guerra, ripudiarla, come dice la Costituzione italiana, anche se il governo italiano sembra intenzionato a sostenere la guerra a fianco degli ucraini piuttosto che sforzarsi di mediare la pace. Del resto, nessuno dice come giungere a una seria trattativa di pace e gran parte dei politici e degli osservatori occidentali dimenticano che prima di tutto la giustizia è dovuta alle persone, ai popoli, non agli Stati, ai territori, anche secondo la Carta delle Nazioni Unite invocata da più parti per condannare la Russia.

A riguardo dell’ONU, che ieri, come ci ricordano tutti i media, ha votato a grande maggioranza una risoluzione che invita la Russia a ritirarsi «incondizionatamente e immediatamente» dall'Ucraina per il raggiungimento, il prima possibile, di una pace «complessiva, giusta e duratura» nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite, molti cronisti non hanno evidenziato che «la maggioranza» dei votanti non comprendeva nazioni importanti come Cina, India, Sudafrica, e altri 36 Stati, compresa naturalmente la Russia. Questi Stati contrari o astenuti non capiscono niente di diritto internazionale o hanno qualche dubbio su come l’Occidente si prefigura la fine del conflitto? Del resto, è proprio così evidente «il diritto internazionale»?

Il «diritto internazionale»

Perché della Carta delle Nazioni Unite, che consta di 111 articoli, molti commentatori sembrano conoscerne solo due o tre in cui si tratta della sovranità degli Stati nazionali, tralasciando scrupolosamente quelli in cui si richiama l’obbligo degli Stati al rispetto dei diritti fondamentali del popoli? Per es. l’art. l, paragrafo 2 che considera tra i fini delle Nazioni Unite: «Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale». Non viene mai citato nemmeno l’art. 55 che recita «Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli, le Nazioni Unite promuoveranno…».

Perché non si parla mai della condizione delle popolazioni ucraine orientali prima e dopo il 2014? Lo Stato ucraino ha applicato nei loro confronti, specialmente in campo linguistico, culturale, formativo e informativo, il «rispetto dei diritti fondamentali dei popoli» e il «principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli»? Perché l’Ucraina non ha rispettato gli accordi di Minsk del 2014? Poteva farlo anche unilateralmente qualora la Russia per prima non avesse voluto osservarli?

Ripartire dagli accordi di Minsk

Le condizioni di una pace seria e giusta non ci saranno e quindi la guerra potrà continuare per anni finché non si riparte da quegli accordi e le Nazioni Unite non faranno in modo che l’Ucraina lasci decidere agli ucraini russofoni orientali da chi vogliono essere governati garantendo loro il rispetto dei diritti fondamentali e il principio dell’eguaglianza dei diritti. Dovranno inoltre garantire che tra Russia e Ucraina ci siano rapporti di buon vicinato, con le ovvie conseguenze della neutralità di quest’ultima. Del resto questa era anche la condizione a cui si sottoponeva la stessa Ucraina al momento dell’indipendenza da Mosca.

Perché non solo i politici ma anche i media occidentali non parlano mai di questi principi, di quegli accordi, dei diritti fondamentali dell’uomo e parlano invece di «sovranità nazionale», che non è mai menzionata nella Carta delle Nazioni Unite?

Si vuole davvero una pace giusta? Allora si cominci a rispettare integralmente la Carta dell’ONU e gli ucraini messi in condizione di scegliere liberamente da chi e come vogliono essere governati.

Giovanni Longu
Berna 24.2.2023

22 febbraio 2023

L’immigrazione italiana in Svizzera non è finita

La settimana scorsa è stato presentato a Berna presso la Missione cattolica di lingua italiana il «Rapporto Italiani nel mondo 2022» della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. Oltre a molti dati sugli italiani nel mondo (5.806.068 al 1° gennaio 2022), sono stati forniti e analizzati anche dati specifici sugli italiani in Svizzera. Prendo lo spunto da questo evento per proporre alcune domande e qualche considerazione soprattutto in relazione alla popolazione italiana in Svizzera.

Migrazione italiana in generale

Nonostante la cura terminologica dei redattori del Rapporto è inevitabile che nelle trattazioni del tema migratorio si ricorra a generalizzazioni che rischiano di sminuire la ricchezza dei particolari. La stessa espressione «italiani nel mondo» o «italiani all'estero» potrebbe far pensare a una parte consistente di popolazione italiana abbastanza omogenea, sebbene dislocata in ogni parte del mondo e in contesti tra loro molto differenti. Il Rapporto tiene conto del rischio e fornisce numerose informazioni di tipo statistico e analitico offrendo una panoramica interessante sulla situazione degli italiani nel mondo, anche se sotto qualche aspetto lacunosa, ma non riesce a eliminare tutte le perplessità.

Nel Rapporto, infatti, a mio parere non emergono chiaramente alcuni aspetti della situazione quali la ragione fondamentale del perché così tanti italiani si trovino all'estero, la complessità della popolazione italiana (prima, seconda, terza… generazione, vecchi immigrati e nuovi immigrati, nati in Italia e nati nel Paese ospite, con la sola cittadinanza italiana o con una doppia cittadinanza …), le differenti problematiche riguardanti i vari gruppi, i rapporti tra «emigrati» e «italiani di origine migratoria» (o, come dice il Rapporto, «con background migratorio»).

Da quando il saldo migratorio (espatri meno rimpatri) degli italiani all'estero è ritornato positivo, ossia dal 2006-2007, il numero degli iscritti all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) è notevolmente cresciuto (da 3.106.251 a 5.806.068), ma proporzionalmente è cresciuto ancora di più il numero degli italiani nati all'estero (quindi non emigrati!) passati da 869 mila a 2.321.402. Questi dati esprimono una tendenza irreversibile? Con quali conseguenze?

Nella prospettiva di una tendenza consolidata, appare evidente che la seconda generazione e ancor più le successive generazioni faranno cambiare radicalmente il profilo complessivo degli italiani all'estero. Se poi si aggiunge che in tutti i Paesi si tende a favorire la naturalizzazione dei nati nei rispettivi territori, è ipotizzabile che l’integrazione nella lingua, nella cultura e nella società locale faccia attenuare progressivamente fino alla loro scomparsa la memoria storica dell’emigrazione/immigrazione italiana e le caratteristiche fondamentali dell’italianità?

Migrazione verso la Svizzera

Il Rapporto 2022 della Fondazione Migrantes comincia con questo richiamo: «Si era soliti affermare che l’Italia da Paese di emigrazione si è trasformato negli anni in Paese di immigrazione: questa frase non è mai stata vera e, a maggior ragione, non lo è adesso perché smentita dai dati e dai fatti. Dall'Italia non si è mai smesso di partire …». L’osservazione è generale, ma è pertinente anche per i flussi tra l’Italia e la Svizzera, che non si sono mai interrotti, anche se dagli anni Settanta il tasso migratorio è rimasto negativo fino al 2007, quando è ridiventato positivo. La situazione nel frattempo è notevolmente cambiata ed è difficile prevederne l’ulteriore sviluppo. Qualche dato può aiutare però nell'impresa.

Secondo le statistiche svizzere (che considerano i naturalizzati solo svizzeri), la popolazione residente italiana cresceva, dal dopoguerra agli anni Settanta, soprattutto grazie ai nuovi immigrati. Dal 1970 il maggiore apporto proveniva dall'incremento naturale, quando i nati in Svizzera costituivano dal 22,9% (nel 1970, su una popolazione di 583.850 persone) al 37,5% (nel 2010, su 287.130 persone) degli italiani. Dal 2010, invece, si osserva nuovamente una regressione dell’incremento naturale, sceso nel 2021 al 29,5% (su 328.252 persone).

Certamente questa tendenza non riproporrà più la situazione migratoria della seconda metà del secolo scorso, ma potrebbe influire sulla dinamica evolutiva della popolazione italiana residente e sulle prospettive dell’italianità svizzera, soprattutto se il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) riuscirà ad arrestare i flussi emigratori e persino a richiamare in Italia molti italiani con formazioni elevate espatriati per motivi professionali o per migliorare la qualità della vita. Il momento è interessante e merita di essere seguito con attenzione, perché l’immigrazione italiana in Svizzera non è finita, ma si trasforma.

Giovanni Longu
Berna, 22.02.2023