29 novembre 2009

La CCIS e l’interscambio tra l’Italia e la Svizzera

La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (CCIS) celebra quest’anno il suo 1° centesimo anniversario. E’ stata infatti fondata il 2 maggio del 1909, raccogliendo l’adesione di un centinaio di membri . Da allora l’associazione è cresciuta acquisendo via via nuovi membri fino alle circa 800 aziende affiliate di oggi, dislocate soprattutto nella Svizzera tedesca ma anche in quella francese e nel Ticino.
Da 100 anni la CCIS onora gli impegni statutari «allo scopo di favorire lo sviluppo degli scambi commerciali tra l’Italia e la Svizzera e porgere aiuto morale, indicazioni e consigli ai commercianti dei due Paesi, ed in modo speciale ai soci» (art. 1 dello Statuto del 1909).
Lo scopo della CCIS non è mai cambiato nella sostanza, come non è mai mutato il dinamismo impresso all’istituzione dal suo primo presidente, quel Giuseppe de Michelis che all’inizio del secolo scorso, in qualità di «regio addetto all’emigrazione italiana in Svizzera», svolse da Ginevra un ruolo importantissimo nelle relazioni italo-svizzere generali.
La collettività italiana presente in Svizzera era già allora molto numerosa e importante. Il «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia» del 1868 aveva praticamente spalancato le porte alla libera circolazione delle persone dei due Paesi e alla libertà d’industria e di commercio dei residenti. Molti italiani si erano stabiliti definitivamente in Svizzera. Al censimento del 1910 ne risultarono ben 202.809. In alcuni settori dell’economia, in particolare nelle costruzioni ferroviarie e in alcune industrie, erano una componente indispensabile. Fino ad allora, tuttavia, gli italiani non avevano ancora espresso il meglio di sé nell’imprenditoria. Nel 1905, mentre erano imprenditori o dirigenti industriali 25 svizzeri su 100, 18 tedeschi su 100, 13 austriaci su 100, 22 francesi su 100, ma solo 6 italiani su cento. Mancavano probabilmente le opportunità e gli stimoli necessari per fare di più e meglio.
La nascita della CCIS
La nascita della CCIS non poteva avvenire in un momento più propizio, anche perché sembrava aprirsi per la Svizzera una nuova fase di sviluppo, grazie alle moderne infrastrutture ferroviarie in fase di completamento. Anche gli scambi commerciali tra i due Paesi confinanti sembravano destinati a una forte crescita, perché le nuove linee ferroviarie veloci del San Gottardo e del Sempione avevano ridotto le distanze e avvicinato i grandi mercati del nord e del sud. L’Italia ne aveva cominciato a beneficiare, tanto che la Svizzera era divenuta il primo Paese destinatario delle esportazioni italiane (per un valore complessivo di 185,2 milioni di franchi (1909).
Per comprendere appieno l’attività della CCIS è forse utile ricordare sommariamente lo sviluppo delle relazioni commerciali tra l’Italia e la Svizzera. Occorre dire anzitutto che, nonostante l’Italia rappresentasse per la Svizzera un serbatoio importante di manodopera per la realizzazione delle grandi infrastrutture, lo era solo in parte come fornitore di beni. Il principale partner commerciale della Svizzera era tradizionalmente la Germania, seguita dalla Francia. Nel 1909 il valore delle importazioni dalla Germania era di 533,8 milioni di franchi e quello delle importazioni dalla Francia di 306,1 milioni. Il divario tra questi Paesi e l’Italia era enorme. Solo come fornitrice di seta l’Italia godeva di un primato assoluto (ben 107 milioni di franchi). Per i prodotti alimentari, le esportazioni dall’Italia (ca. 49 milioni di franchi) si avvicinavano a quelle dalla Germania, ma erano meno della metà di quelle dalla Francia. In campo automobilistico la superiorità di Francia, Regno Unito e Germania nei confronti dell’Italia era massiccia. Nel 1909 su 2276 automobili circolanti in Svizzera solo 108 era state prodotte in Italia e su 326 camion 3 soltanto erano stati fabbricati in Italia.
Per le esportazioni dalla Svizzera, l’Italia (con 82,5 milioni di franchi) rappresentava il terzo mercato dopo la Germania e la Francia e presentava un saldo per l’Italia di 85,6 milioni. Una situazione dunque confortante, che poteva essere ulteriormente migliorata.
Non fu facile tuttavia per la CCIS riuscire a sviluppare l’interscambio italo-svizzero. Solo dopo la seconda guerra mondiale è stato possibile registrare un progresso pressoché continuo fino ai giorni nostri.
Nel 1944 l’interscambio Italia-Svizzera toccò il suo punto più basso dall’inizio del secolo con appena 33,5 milioni di franchi. Luigi Einaudi, allora rifugiato in Svizzera, nel giugno 1944, in accordo col capo della Legazione d’Italia a Berna, Magistrati, cominciò a studiare «i mezzi migliori intesi a favorire, non appena possibile, la ripresa dei contatti economici tra l’Italia e la Svizzera» e a «compiere un’azione preparatoria intesa a studiare l’eventuale apporto che l’economia e l’industria svizzera intendessero dare alla ricostruzione» dell’Italia.
Sviluppo dell’interscambio
Il giornale «24 ore» del 7.5.1949 scriveva: «L’Italia farà ogni sforzo per migliorare gli scambi con la Confederazione elvetica». Ricordava inoltre che: «Subito dopo la guerra il mercato svizzero è stato il primo con il quale si sono riallacciati i rapporti commerciali; ciò che è stato facilitato anche dalla vicinanza dei due Paesi. Venne, infatti, già nell’agosto del 1945 stipulato il primo accordo commerciale da parte italiana proprio con la Svizzera, accordo che non ebbe applicazione per la mancata ratifica degli alleati. Tuttavia gli scambi ripresero con ritmo molto soddisfacente, malgrado la situazione in cui si trovava l’Italia in quell’epoca».
In effetti, già nel 1946 le esportazioni dall’Italia ripresero vigorosamente (227,7 milioni franchi) e così pure le importazioni dalla Svizzera (156,1 milioni). Da allora l’incremento dell’interscambio fu continuo. Nel 1950 aveva già raggiunto 843,8 milioni di franchi (con un saldo a favore della Svizzera di 196,6 milioni). Dieci anni più tardi, nel 1960, si era avuto il raddoppio (1683,3 milioni) con un saldo per l’Italia di 342,1 milioni. Nel decennio successivo, quando la collettività italiana in Svizzera aveva quasi raggiunto il massimo della sua consistenza, l’interscambio era quasi triplicato (4.696,5 milioni di franchi) con un saldo a favore dell’Italia di 549,1 milioni. Venti anni più tardi, nel 1990 l’interscambio superò i 18 miliardi (saldo per l’Italia 2.3 miliardi). Lo scorso anno, 2008, l’interscambio aveva superato abbondantemente i 40 miliardi (25,7 miliardi di euro). La Svizzera ha importato dall’Italia beni per 21,5 miliardi ed ha esportato verso l’Italia beni per 18,7 miliardi. Il saldo per l’Italia ha ormai raggiunto 2,8 miliardi.
Per la Svizzera, l'Italia è ormai, dal 2004, il secondo partner commerciale europeo, dopo la Germania (26,3%) e davanti alla Francia (8,9%), e il terzo a livello globale. L'Italia è oggi il secondo fornitore della Svizzera (11% delle importazioni) dopo la Germania e rappresenta per la Svizzera il terzo mercato di esportazione (9%). Per l'Italia, la Svizzera è il sesto mercato di esportazione e occupa l'11esimo posto tra i fornitori. L’Italia è anche un importante investitore in Svizzera (225 miliardi di euro), mentre la Confederazione è il sesto investitore in Italia.
Oggi, per alcuni osservatori italiani (pessimisti) le relazioni bilaterali tra la Svizzera e l’Italia sono in difficoltà a causa della recente polemica sullo «scudo fiscale». In realtà, la flessione negli scambi registrati negli ultimi mesi è più dovuta alla crisi economica che alle polemiche tra i ministri finanziari dei due Paesi. Stando infatti ai due ministri competenti per l’economia, Claudio Scajola e Doris Leuthard, incontratisi a Roma il 12 novembre scorso, le attuali difficoltà sono superabili e, quel che più conta, c’è da entrambe le parti la volontà di proseguire il dialogo e incrementare le relazioni economico-commerciali bilaterali, già attualmente «ottime».
Quanto la CCIE abbia contribuito allo sviluppo di questa cooperazione negli ultimi cento anni è difficile quantificarlo, ma è certo che vi abbia contribuito. Non c’è dunque che augurare alla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera di proseguire i suoi sforzi per favorire lo sviluppo degli scambi commerciali fra i due Paesi per altri cent’anni e almeno con lo stesso successo.
Giovanni LonguBerna, 29.11.2009