21 agosto 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 23. Il problema dell’alloggio


Uno dei maggiori problemi che l’aumento della seconda generazione ha fatto esplodere fin dagli anni Sessanta è stato certamente quello della penuria di abitazioni. E’ facile immaginare che inizialmente l’edilizia abitativa destinata agli immigrati non costituisse una priorità né per le autorità federali, cantonali e comunali, impreparate ad affrontare quella problematica, né per l’economia svizzera orientata al profitto. Solo lentamente ci si rese conto della necessità di trovare soluzioni serie e durevoli per dare una sistemazione soddisfacente alla massa di immigrati in continua crescita. Le difficoltà da superare erano tuttavia enormi.

Con gli stranieri la carenza di alloggi si acuisce
Interno di una baracca degli anni Sessanta
La Svizzera soffriva della carenza di alloggi (per eccesso di domanda) già durante la guerra, ma divenne una vera emergenza con l’immigrazione in massa degli italiani nel secondo dopoguerra. Il Consiglio federale ne era consapevole e avviò un ampio programma per migliorare il mercato delle abitazioni e ampliare l’edilizia popolare. Con esso intendeva non solo smorzare la protesta di molti svizzeri che attribuivano la carenza di abitazioni alla forte presenza di stranieri, ma anche sostenere la nuova politica federale di «stabilizzazione» della manodopera straniera.
In realtà la politica del Consiglio federale era più complessa. Riteneva infatti che senza imporre un freno allo sviluppo economico e conseguentemente ai nuovi arrivi di immigrati, non sarebbe stato possibile né stabilizzare quelli già arrivati né offrire loro abitazioni accessibili. Senza queste misure, per costruire nuove abitazioni sarebbero occorsi altri immigrati: un circolo vizioso!
Com’è noto la politica del governo federale non ebbe il risultato auspicato – non da ultimo a causa della libertà economica costituzionalmente garantita e delle autonomie cantonali e comunali - e anche il problema degli alloggi si protrasse più a lungo del previsto. Ciononostante, dal 1946 al 1966 furono costruite oltre 710.000 abitazioni e molte altre ne sarebbero state costruite in seguito, perché la crescita della popolazione stabile continuava. 

Alcune cifre significative
Nel periodo considerato la situazione abitativa era certamente difficile, ma non si può dimenticare l’incremento straordinario della popolazione totale svizzera tra il 1950 e il 1970, passata da 4.714.992 a 6.193.064 residenti, grazie soprattutto all’aumento degli stranieri, passati nello stesso periodo da 285.446 a 1.080.076 persone (italiani: 140'280 / 583'855). Se a questi residenti stabili si aggiungono mediamente ogni anno 150-200 mila stagionali è evidente che nessun governo avrebbe potuto garantire alloggi confortevoli a tutti e soprattutto a buon mercato.
Le condizioni abitative più disagiate era sicuramente quelle degli stagionali, perché le baracche dove molti alloggiavano erano talvolta prive di confort, ma non erano normalmente tali da poter essere definite «pessime» (Toni Ricciardi), «topaie e tristi baraccamenti (Dario Robbiani), «famigerate baracche» in cui «i lavoratori stagionali sono ammucchiati, di solito in precarie condizioni igieniche» (Delia Castelnuovo-Frigessi), o tali da far pensare addirittura alle baracche di Dachau e Auschwitz (Luciano Alban). Infatti, normalmente le baracche del dopoguerra erano costituite di stanze ben tramezzate e isolate comprendenti 4 o al massimo 6 letti e disponevano di toelette, lavabi, docce, ecc. Soprattutto costavano poco (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/search?q=baracche; https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2017/10/italiani-in-svizzera-25-condizioni_11.html).
In alcune narrazioni, fin troppo generiche, si legge che le baracche degli stagionali erano sporche, umide, puzzolenti, incivili, ma non si dice che la pulizia e l’ordine dipendevano soprattutto dagli stessi inquilini e dai capibaracca, per cui c’erano baracche pulite («lucide e pulitissime», Vasco Fraccanelli) e baracche sporche. Va inoltre corretta l’opinione molto diffusa che tutti gli stagionali alloggiassero in baracche, infatti, secondo un’indagine del 1966, solo il 28% degli stagionali alloggiava in una baracca (tra gli annuali solo l’8%).

Opinioni contrastanti in Italia
Nel Parlamento italiano, negli anni Sessanta, ci fu chi come l’on. Giuseppe Pellegrino (del PCI) qualificò le abitazioni degli immigrati italiani: «abituri fangosi … stalle… baracche umide e sconnesse», ma ci fu anche chi come l’on. Giuseppe Lupis (PSI), pur riconoscendo la gravità del problema delle abitazioni, non esitò a indicare nel «profondo senso del risparmio» una delle principali motivazioni che spingevano molti immigrati a non cercare nemmeno abitazioni più confortevoli e ovviamente più costose. Per superare le difficoltà Lupis auspicava un attenuamento dell’«umanissimo desiderio dei nostri lavoratori di guadagnare il più possibile per sé e la propria famiglia». Si sa che quell’auspicio sarà sempre più seguito.
Giovanni Longu
Berna, 21 agosto 2019