Per segnalare che intendeva continuare il cammino di rinnovamento della Chiesa tracciato da Giovanni XXIII e proseguito da Paolo VI, il successore di quest’ultimo, il cardinale Albino Luciani, prese il nome di entrambi: Giovanni Paolo I. Morto dopo soli 33 giorni di pontificato, non ebbe il tempo di incidere profondamente sul cambiamento che il Concilio aveva prescritto alla Chiesa. Ciononostante è ancora presente nella memoria di molti cristiani come il «Papa del sorriso» e, dal 2022, come «Beato Giovanni Paolo I». Il suo pensiero sull'Europa resta incompiuto, ma chiaro e merita di essere richiamato in questa serie di articoli volta a evidenziare le radici cristiane del continente.
Per un’Europa «cristiana»
Albino Luciani (1912-1978)
divenne papa nel 1978 quando era patriarca di Venezia da otto anni, un periodo abbastanza
lungo per consentirgli di capire quello spirito aperto al mondo che si può
respirare in una città simbolo di mediazione tra Occidente e Oriente. L’Europa auspicata
da papa Giovanni Paolo I era un continente che prescindeva dai blocchi creatisi
nel dopoguerra e che andava dall'Atlantico agli Urali. Era anche l’Europa dei
suoi predecessori di cui aveva ripreso il nome e che volevano l’apertura della
Chiesa al mondo e il dialogo tra tutte le comunità cristiane e soprattutto con
le Chiese orientali. «Vogliamo continuare l’impegno
ecumenico... con attenzione a tutto ciò che può favorire l’unione» aveva dichiarato
nel suo primo messaggio Urbi et orbi del 27 agosto 1978.Giovanni Paolo I, «papa del sorriso»
Giovanni Paolo I, come i predecessori, non aveva dubbi che
la nuova Europa avesse un’«anima cristiana» perché «cristiane» erano le sue
radici e «cristiani» erano i suoi fondatori. Ispirandosi a Pio XII sosteneva che
per svilupparsi non dovesse basarsi su una qualche idea romantica di
super-nazione, ma sul «dialogo sereno e costruttivo», sullo sviluppo comune, in
un clima di giustizia, solidarietà, fratellanza. Costatava comunque con
amarezza che in Europa si stavano perdendo i valori del Vangelo e auspicava che
la Chiesa contribuisse con tutte le sue forze a creare quel «clima di
giustizia, fratellanza, solidarietà e speranza, senza la quale il mondo non può
vivere».
Condividendo il pensiero sull'Europa dei predecessori, anche
Giovanni Paolo I era convinto che dopo la morte del famoso trio Schuman-De Gasperi-Adenauer il loro esempio
rischiava una pericolosa soluzione di continuità per il diffondersi del
materialismo, del marxismo, del comunismo, del laicismo e, a livello politico,
per il riemergere in molte parti di interessi nazionalistici. Trovava nefasto
che ci fossero in Europa uomini politici che «continuano a opporre veti
nazionali alle proposte di respiro europeo, dimenticando che solo unita
l’Europa potrà giocare il ruolo di protagonista nei problemi internazionali».
Sulla CEE (Comunità
Economica Europea) Giovanni Paolo I condivideva le buone intenzioni iniziali
perché si prefiggeva «l’eliminazione tra gli associati degli ostacoli alla
libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali, una comune
politica dell’agricoltura e dei trasporti, garanzie per tutelare la concorrenza,
un fondo sociale europeo per migliorare l’occupazione e altro ancora», ma ne
vedeva anche le criticità: era qualcosa di più che un’unione doganale, ma molto
carente politicamente e socialmente.
Pericolosità dei nazionalismi
Papa Luciani si
rendeva conto che almeno per il momento l’esistenza dei due blocchi era
insuperabile, ma ne auspicava la fine e riteneva insufficiente la distensione
che si registrava negli anni Settanta tra le due superpotenze. Trovava invece pericolosi
e perciò da arginare i nazionalismi, perché non favorivano la pace. Riteneva
anche che i governi nazionali, «depositari di ogni volontà decisionaria», non
favorissero l’Unione Europea, per la quale auspicava «uno dei tanti sistemi
federali». Il federalismo, se bene applicato, avrebbe limitato il potere dei
singoli Stati avvantaggiando l’Europa nel suo complesso grazie al «principio di
sussidiarietà», secondo cui ciò che il singolo Stato non può fare con le
proprie forze «può essere demandato alla comunità europea».
Giovanni Paolo I non
ebbe il tempo di esprimersi ulteriormente sull'Europa, ma i principi che
avrebbe potuto sviluppare erano noti, tanto è vero che nel 1977 tutti gli
episcopati europei erano concordi sull'esigenza che la Chiesa non dovesse
restare indifferente di fronte al processo di una sempre più stretta
integrazione europea, per evidenziare le radici cristiane della nuova Europa. L’episcopato
belga ricordava anche che lo stesso umanesimo, la tolleranza, la democrazia, il
pluralismo, ecc. provenivano dal Vangelo e concludeva un suo intervento
affermando che i popoli europei «continueranno a dare solo se aumenteranno il
loro peso morale con un’unione più stretta e omogenea». Era anche l’auspicio di
Giovanni Paolo I.
Giovanni Longu
Berna, 11.9.2024