17 aprile 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 11. La «famigerata visita medica»


Nel 1914 un immigrato italiano residente a Zurigo dedicò alla poetessa Ada Negri, che risiedeva allora anch’essa a Zurigo, una «poesia lirica sull’emigrazione italiana» intitolata «Le rondinelle». In una nota spiegava che «Rondinelle venivano chiamati da tanti anni i nostri operai, specialmente i muratori e i manovali, al loro arrivo in Isvizzera, forse perché arrivano a sciami poche settimane prima delle rondinelle vere». L’immagine suggestiva delle rondini in arrivo a primavera rende bene l’idea dell’ingresso in Svizzera di migliaia di stagionali italiani ai valichi di Briga e Chiasso durante i mesi di marzo e aprile. Il paragone, però, non va oltre. Alla libertà incontrastata delle rondini di volare di qui e di là, ignare dei confini degli Stati, per gli stagionali si contrapponeva infatti la sosta obbligata in stazione per il controllo dei documenti e il controllo sanitario.


Una visita traumatica

Stagionali in attesa della visita medica alla frontiera svizzera
Il ricordo della visita medica alla frontiera italo-svizzera è rimasto indelebile nella memoria di moltissimi immigrati del dopoguerra, anche perché era il primo contatto fisico con gli svizzeri. I resoconti tramandati oralmente o per iscritto si rassomigliano molto e concordano nel ritenere quella visita medica «disumana», «umiliante». Leggendoli non si fa fatica a comprendere il senso di frustrazione dei giovani e soprattutto dei meno giovani, uomini e donne, all’annuncio di mettersi in fila per la visita medica. Dopo un viaggio tutt’altro che comodo, all’immigrato che aveva forse sognato di andare in Svizzera per lavorare, risparmiare e guardare al futuro con fiducia, quello stop alla frontiera dev’essere stato traumatico.

Un immigrato dell’immediato dopoguerra racconta il repentino passaggio dal sogno alla delusione tra Domodossola (dov’era giunto «in un treno composto di carri bestiame» ed era salito su un treno dove «le carrozze erano vecchie ma pur sempre accoglienti») e Briga. Ricorda: «Sembrava di entrare in un nuovo mondo e i nostri animi esultavano di gioia e di speranza che purtroppo sarebbe durata poco. Solo il tragitto Domodossola-Briga. Qui si scende; per entrare in Svizzera è necessario fare il controllo medico. Forse è una giusta precauzione presa dalla autorità elvetiche, ma quando fanno entrare nella baracca adibita allo scopo un nodo prende alla gola e a stento si reprime il desiderio di tornare indietro. Tutti in fila a spogliarsi nudi, questo è l’ordine. Entrare nella doccia e lavarsi. All’uscita dalla doccia ti irrorano tutto il corpo di polvere disinfettante. Si cercano i vestiti: aspettare, sono nel forno di disinfezione con tutto il contenuto della valigia. Che vergogna, la nuova biancheria che con grande amore e sacrificio le madri, le spose hanno procurato è finita nel forno. Ci trattano come se fossimo dei Lanzichenecchi, portatori di peste anziché uomini portatori di lavoro e quindi di benessere. Si risale in treno e si parte, ognuno per la propria destinazione…».


Frustrazione e proteste

Il senso di frustrazione provato prima, durante e dopo il controllo sanitario risulta da gran parte delle testimonianze di quella che un emigrato ha definito «la famigerata visita medica». E’ comprensibile perché, sebbene si sapesse che entrando in Svizzera per motivi di lavoro c’era questo controllo obbligatorio, esso avveniva spesso in condizioni che non tenevano conto del sentimento di pudore e di intimità di molti interessati.

La visita medica alla frontiera, prevista dall’Accordo di emigrazione/immigrazione del 1948 (art. 15), suscitava molto malcontento tra gli interessati. Nel 1961 il ministro del lavoro Fiorentino Sullo ne chiese la soppressione ritenendola «vessatoria e umiliante», ma la richiesta non fu accolta. Nell’Accordo di emigrazione/immigrazione del 1964 si preciserà, tuttavia, che «il controllo sanitario all’ingresso in Svizzera, richiesto per ragioni di sanità pubblica e nello stesso interesse dei lavoratori, sarà limitato allo stretto necessario» (art. 14). In effetti la visita sanitaria sarà resa da allora sempre più dignitosa e accettabile.

Perché un «controllo sanitario»?

Contrariamente a quel che spesso si dice e si scrive, la visita medica non era finalizzata principalmente a verificare l’idoneità fisica all’esercizio della professione che gli immigrati andavano a svolgere, ma a escludere eventuali malattie trasmissibili, specialmente tubercolosi. Essa era stata introdotta in base alla legge sulle epidemie del 1886. Nel dopoguerra riguardava inizialmente soprattutto le donne destinate ai servizi domestici e alberghieri, poi venne generalizzata e finalizzata all’accertamento di malattie trasmissibili quali la tubercolosi e la sifilide.

Un’altra ragione del controllo medico era di poter eventualmente accertare che una futura malattia (professionale) era stata contratta in Svizzera e non importata. Era dunque anche nell’interesse degli immigrati disporre di questo accertamento d’idoneità in caso di malattia o d’infortunio. Questo aspetto fu sottolineato anche dall’on. Mario Toros durante la discussione alla Camera dei deputati per la ratifica dell’Accordo del 1964: «d’ora in poi … la visita sanitaria prevista dal nuovo accordo potrà suscitare delle contrarietà in alcuni lavoratori, ma essa darà la possibilità di superare tutte le difficoltà che sono state incontrate nella soluzione di certi problemi che interessavano alcuni lavoratori italiani, i quali si trovavano nell'impossibilità di dimostrare che la malattia era insorta durante la residenza in Svizzera».

Giovanni Longu
Berna, 17.04.2019