Per terminare convenientemente questo lungo racconto della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, dal secondo dopoguerra del secolo scorso alla fine del millennio, avevo pensato di scrivere una sorta di sintesi per sommi capi di questo fenomeno umano che ha coinvolto milioni di italiani. Mi sono però reso conto che una sintesi, anche ampia, sarebbe stata quasi impossibile per la complessità dell’argomento, la sua estensione nell'arco di oltre mezzo secolo, i molteplici interventi bilaterali della Svizzera e dell’Italia riguardanti la rispettiva politica immigratoria ed emigratoria, l’insorgere e i tentativi di soluzione di importanti problemi presentatisi inaspettatamente come quelli riguardanti la seconda generazione, la doppia cittadinanza, la ripresa dell’italianità. Invece che con una sintesi, ho pensato pertanto di terminare la complessa narrazione, a cui sono già stati dedicati oltre 160 contributi, con alcune considerazioni finali in questo e nei prossimi articoli.
![]() |
I media hanno sempre seguito con attenzione le condizioni degli emigrati italiani in Svizzera (La Stampa del 4.2.1970) |
L’immigrazione italiana in Svizzera è stata un movimento di
massa molto positivo per la Svizzera, per l’Italia e per gli immigrati.
Purtroppo ci sono ancora persone (per lo più giornalisti superficiali e qualche
mediocre sedicente «storico delle migrazioni») che vedono l’emigrazione come l’elemento
perdente di un presunto scontro tra imperialismo capitalistico e proletariato
da sfruttare. Giustificano la loro impostazione ideologica sulla base di
episodi certamente drammatici ma non determinanti (Mattmark, Schwarzenbach,
bambini «clandestini», statuto stagionale e altro).
Eppure la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera nelle
sue grandi linee dimostra che l’emigrazione rientra più semplicemente nella
logica di scambio tra economie forti ed economie deboli, secondo le regole
tipiche del mercato libero in cui domanda e offerta si richiamano
reciprocamente e talvolta dialetticamente. Questo tipo di scambio non si basa
su una logica di sfruttamento, ma di convenienza e di interessi reciproci tra
le parti. Anche i flussi migratori tra l’Italia e la Svizzera sono avvenuti e
vanno visti pertanto in quest’ottica. Del resto sono stati garantiti fin
dall'inizio da accordi, trattati, convenzioni, organi di controllo, commissioni
miste, sempre nell'alveo del diritto internazionale.
Condizioni inderogabili dei flussi
Italia-Svizzera
I sostenitori della presunta equazione
emigrazione=sfruttamento, dimenticano che fin dal Trattato di domicilio e consolare
del 22 luglio 1868, che introduceva una sorta di libera circolazione dei
cittadini dei due Stati, alla base di quell'accordo e anche di quelli futuri
c’erano due condizioni inderogabili: la prima, «il desiderio di
mantenere e rassodare le relazioni d’amicizia che stanno fra le due nazioni, e
dare mediante nuove e più liberali stipulazioni più ampio sviluppo ai rapporti
di buon vicinato tra i cittadini dei due Paesi»; la seconda, l’obbligo
dei cittadini dei due Stati di uniformarsi alle leggi del Paese in cui
intendono soggiornare: «i cittadini, di ciascuno dei due Stati, non meno che le
loro famiglie, quando si uniformino alle leggi del paese, potranno liberamente
entrare, viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte dei
territorio…».
Una terza condizione,
ovvia alla data del Trattato e mai messa in discussione dopo, era la libertà di
emigrazione per i cittadini dei due Stati. Per gli italiani questa libertà fu riconosciuta
anche dalla Costituzione repubblicana del 1947, che all'art. 35 riconosce espressamente
la libertà di emigrazione. Tuttavia, poiché secondo il diritto internazionale a
tale libertà non corrisponde la libertà di immigrare in un altro qualunque
Stato, era ovvio che l’emigrazione di massa degli italiani verso la Svizzera
fosse regolata da accordi bilaterali.
Governi italiani e la tutela degli emigrati
Se queste erano le condizioni, bisogna dare atto ai governi
italiani del secondo dopoguerra di aver saputo accompagnare e tutelare i flussi
emigratori verso la Svizzera, negoziando accordi difficili da una condizione di
debolezza (si pensi in particolare all'accordo del 1948). Per l’Italia si
trattava, dopo la disfatta della seconda guerra mondiale, di una «necessità
fisiologica» agevolare l’emigrazione per aiutare il Paese a riprendersi e a
ripartire.
E’ vero che la Repubblica non è stata sempre all'altezza del
compito assegnatole dalla Costituzione (art. 35, quarto comma) di tutelare il
lavoro italiano all'estero e gli emigrati, ma è totalmente infondata, alla luce
delle conoscenze certe e dei risultati, l’accusa di aver indotto l’emigrazione
(«emigrazione di Stato») e di aver abbandonato gli emigrati al loro destino (come sostiene, invece, il sedicente «storico delle migrazioni»).
Nel prossimo articolo si comincerà a trattare dei maggiori beneficiari dell’emigrazione italiana in Svizzera, in primo luogo la Svizzera, ma anche l’Italia e gli stessi emigrati. Gli enormi benefici non sarebbero stati possibili senza una convergenza di interessi e di forze di tutte e tre queste entità. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 23.11.2022