23 novembre 2022

Immigrazione italiana 1946-2000: 23. Considerazioni finali (1)

Per terminare convenientemente questo lungo racconto della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, dal secondo dopoguerra del secolo scorso alla fine del millennio, avevo pensato di scrivere una sorta di sintesi per sommi capi di questo fenomeno umano che ha coinvolto milioni di italiani. Mi sono però reso conto che una sintesi, anche ampia, sarebbe stata quasi impossibile per la complessità dell’argomento, la sua estensione nell'arco di oltre mezzo secolo, i molteplici interventi bilaterali della Svizzera e dell’Italia riguardanti la rispettiva politica immigratoria ed emigratoria, l’insorgere e i tentativi di soluzione di importanti problemi presentatisi inaspettatamente come quelli riguardanti la seconda generazione, la doppia cittadinanza, la ripresa dell’italianità. Invece che con una sintesi, ho pensato pertanto di terminare la complessa narrazione, a cui sono già stati dedicati oltre 160 contributi, con alcune considerazioni finali in questo e nei prossimi articoli.

I media hanno sempre seguito con attenzione le condizioni
degli emigrati italiani in Svizzera (La Stampa del 4.2.1970)
Fenomeno migratorio generalmente positivo

L’immigrazione italiana in Svizzera è stata un movimento di massa molto positivo per la Svizzera, per l’Italia e per gli immigrati. Purtroppo ci sono ancora persone (per lo più giornalisti superficiali e qualche mediocre sedicente «storico delle migrazioni») che vedono l’emigrazione come l’elemento perdente di un presunto scontro tra imperialismo capitalistico e proletariato da sfruttare. Giustificano la loro impostazione ideologica sulla base di episodi certamente drammatici ma non determinanti (Mattmark, Schwarzenbach, bambini «clandestini», statuto stagionale e altro).

Eppure la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera nelle sue grandi linee dimostra che l’emigrazione rientra più semplicemente nella logica di scambio tra economie forti ed economie deboli, secondo le regole tipiche del mercato libero in cui domanda e offerta si richiamano reciprocamente e talvolta dialetticamente. Questo tipo di scambio non si basa su una logica di sfruttamento, ma di convenienza e di interessi reciproci tra le parti. Anche i flussi migratori tra l’Italia e la Svizzera sono avvenuti e vanno visti pertanto in quest’ottica. Del resto sono stati garantiti fin dall'inizio da accordi, trattati, convenzioni, organi di controllo, commissioni miste, sempre nell'alveo del diritto internazionale.

Condizioni inderogabili dei flussi Italia-Svizzera

I sostenitori della presunta equazione emigrazione=sfruttamento, dimenticano che fin dal Trattato di domicilio e consolare del 22 luglio 1868, che introduceva una sorta di libera circolazione dei cittadini dei due Stati, alla base di quell'accordo e anche di quelli futuri c’erano due condizioni inderogabili: la prima, «il desiderio di mantenere e rassodare le relazioni d’amicizia che stanno fra le due nazioni, e dare mediante nuove e più liberali stipulazioni più ampio sviluppo ai rapporti di buon vicinato tra i cittadini dei due Paesi»; la seconda, l’obbligo dei cittadini dei due Stati di uniformarsi alle leggi del Paese in cui intendono soggiornare: «i cittadini, di ciascuno dei due Stati, non meno che le loro famiglie, quando si uniformino alle leggi del paese, potranno liberamente entrare, viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte dei territorio…».

Una terza condizione, ovvia alla data del Trattato e mai messa in discussione dopo, era la libertà di emigrazione per i cittadini dei due Stati. Per gli italiani questa libertà fu riconosciuta anche dalla Costituzione repubblicana del 1947, che all'art. 35 riconosce espressamente la libertà di emigrazione. Tuttavia, poiché secondo il diritto internazionale a tale libertà non corrisponde la libertà di immigrare in un altro qualunque Stato, era ovvio che l’emigrazione di massa degli italiani verso la Svizzera fosse regolata da accordi bilaterali.

Governi italiani e la tutela degli emigrati

Se queste erano le condizioni, bisogna dare atto ai governi italiani del secondo dopoguerra di aver saputo accompagnare e tutelare i flussi emigratori verso la Svizzera, negoziando accordi difficili da una condizione di debolezza (si pensi in particolare all'accordo del 1948). Per l’Italia si trattava, dopo la disfatta della seconda guerra mondiale, di una «necessità fisiologica» agevolare l’emigrazione per aiutare il Paese a riprendersi e a ripartire.

E’ vero che la Repubblica non è stata sempre all'altezza del compito assegnatole dalla Costituzione (art. 35, quarto comma) di tutelare il lavoro italiano all'estero e gli emigrati, ma è totalmente infondata, alla luce delle conoscenze certe e dei risultati, l’accusa di aver indotto l’emigrazione («emigrazione di Stato») e di aver abbandonato gli emigrati al loro destino (come sostiene, invece, il sedicente «storico delle migrazioni»).

Nel prossimo articolo si comincerà a trattare dei maggiori beneficiari dell’emigrazione italiana in Svizzera, in primo luogo la Svizzera, ma anche l’Italia e gli stessi emigrati. Gli enormi benefici non sarebbero stati possibili senza una convergenza di interessi e di forze di tutte e tre queste entità.  (Segue)

Giovanni Longu
Berna 23.11.2022