22 novembre 2023

ANNIVERSARI: 4. 1948-2023 75 anni della Costituzione italiana

Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, dunque 75 anni fa. Per l’età e la lentezza di funzionamento di qualche suo organo, c’è chi la considera «vecchia» e, almeno in parte, da sostituire. Certamente è modificabile, ma prima di metter mano a cambiamenti discutibili, non si dovrebbe almeno cercare di realizzare pienamente le parti non modificabili (Principi fondamentali), che conservano un’incredibile potenzialità di sviluppo? Mi soffermerò, a titolo di esempio, soltanto su un paio di articoli, che illustrano bene sia la serietà e lungimiranza dei padri costituenti che li hanno pensati e imposti e sia la loro insufficiente attuazione da parte di Governi distratti evidentemente da altri interessi.

L’Italia è fondata sul lavoro e sui lavoratori

L’articolo 1 recita: L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Non può essere senza significato che la Costituzione italiana inizi con questo articolo di una forza e una portata straordinaria. Infatti, esso indica non solo il fondamento su cui i padri costituenti hanno voluto che nascesse e si sviluppasse l’Italia repubblicana, ma anche il metodo con cui gli organi dello Stato avrebbero dovuto svolgere le loro funzioni, ossia in maniera solida, democratica, costituzionale, sostenibile.

Nella prima frase, questo articolo stabilisce anzitutto che l’Italia è fondata sul lavoro dei propri cittadini, non potendo contare né su materie prime inesistenti nel suo sottosuolo, né su rendite coloniali o di altra origine e nemmeno sul prestigio internazionale perché l’Italia aveva perso la guerra e si trovava in uno stato pietoso. L’unica vera potenzialità su cui potevano e quindi dovevano contare gli italiani era il lavoro.

Solo attraverso il lavoro la nuova Repubblica si sarebbe riscattata dall'onta della sconfitta e avrebbe affrontato con determinazione e fiducia la grande sfida della ricostruzione, del riposizionamento nel contesto delle grandi democrazie occidentali, della riconquista del benessere e della spinta innovativa verso quella cooperazione fra i popoli che si stava prospettando a livello europeo e mondiale.

La sovranità appartiene al popolo

La seconda frase è un’estensione della prima, dove già si diceva che l’Italia è una Repubblica «democratica», ossia basata sul governo del «popolo» (demos). Ora, tuttavia, il popolo che lavora viene indicato espressamente come «sovrano», ossia come autorità suprema che non ne ha alcun’altra al di sopra. Non è «suddito» che dipende dalla sovranità dello Stato, ma è lui il «sovrano», protagonista e artefice del proprio destino, anche se esercita il potere solitamente tramite organismi delegati ad agire in suo nome.

Dicendo che «la sovranità appartiene al popolo», i costituenti non hanno voluto soltanto escludere altre fonti superiori del diritto e del potere (come si sosteneva spesso nel passato), ma hanno inteso segnalare che è il popolo che lavora l’unico «sovrano» d’Italia, a cui si deve rispetto e pieno sostegno per poter raggiungere attraverso il lavoro i suoi obiettivi di sviluppo e prosperità. E per non restare nel vago e nell'incerto hanno voluto precisare che la sovranità è esercitata «nelle forme e nei limiti della Costituzione». E’ ovvio, perché una società ordinata ha le sue regole, le quali, però, non vengono imposte dall'alto, ma sono condivise dal basso.

La Repubblica tutela il lavoro

Per le ragioni dette, una delle principali conseguenze derivanti dall'articolo 1 della Costituzione dovrebbe essere l’obbligo dello Stato di tutelare il lavoro non solo in Italia la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni», art. 35, comma 1), ma anche all'estero («tutela il lavoro italiano all'estero», art, 35, comma 4). E’ invece sotto gli occhi di tutti che questa tutela è carente, non solo perché si assiste ancora a troppe morti sul lavoro e a forme inaccettabili di sfruttamento, ma soprattutto perché mancano specialmente al Sud sufficienti e adeguati posti di lavoro e non si riesce a evitare che molti cittadini siano costretti a emigrare al Nord e persino all'estero.

Si può dire, come ripete spesso il presidente Mattarella, che emigrare dovrebbe essere un’«opportunità», ma di fatto è ancora una «scelta obbligata» e bisognerebbe richiamare lo Stato all'obbligo di tutelare maggiormente il lavoro, a favorire gli investimenti e l’occupazione specialmente al Sud e a porre in essere, finalmente, misure efficaci per arrestare i flussi emigratori involontari. Se lo facesse sarebbe un bell'omaggio alla Costituzione, sempre vitale, e ai padri costituenti che hanno visto bene e lontano, ma anche una forma di rispetto verso il popolo sovrano e un contributo alla prosperità comune.

Giovanni Longu
Berna 22.11.2023