Negare che le migrazioni moderne, soprattutto
quelle spontanee, possano costituire un grosso problema di accoglienza per
molti Paesi di destinazione è impossibile. D’altra parte, affermare che questi
grandi movimenti di masse umane rappresentano una «minaccia» per le società
benestanti è esagerato e insostenibile. Di conseguenza, sostenere che i
migranti vanno respinti come potenziali invasori non appena si avvicinano alle
coste italiane e addirittura che si sarebbe dovuta impedirne la partenza dai
loro Paesi d’origine, magari con un blocco navale, lo trovo inaccettabile. Del
resto, nessun popolo, a mia conoscenza, è mai stato sottomesso e distrutto da
migranti inermi; tutti i popoli scomparsi sono stati eliminati da eserciti
agguerriti e da conquistadores o si sono autodistrutti. Ritengo pertanto
sostenibile e giudizioso affermare che la migrazione è governabile
nell’interesse reciproco dei migranti e dei popoli che sanno accoglierli e
integrarli.
La migrazione è inevitabile

In una visione globalizzante le relazioni tra
i popoli dovrebbero essere caratterizzate dalla collaborazione più che dalla
ricerca della supremazia, dall’apertura più che dalla chiusura, dalla
solidarietà più che dall’egoismo. Coloro che ritengono pericolosi o troppi gli
stranieri che chiedono di entrare in Europa, magari attraverso l’Italia,
dovrebbero anche cercare di soppesare meglio il rapporto costi-benefici, ma non
sul breve periodo, bensì a medio e a lungo termine, quello che passa alla
storia.
E’ facilmente dimostrabile che tutti i popoli
hanno tratto grandi benefici dagli immigrati (persino da quelli giunti
clandestinamente!) a condizione che le inevitabili difficoltà iniziali siano
state superate attraverso mediazioni, accordi, volontà di pacificazione, sforzo
reciproco d’integrazione. Tra questi popoli beneficiari potrei citare gli Stati
Uniti, benché da qualche tempo molti americani sembrino aver dimenticato le
loro origini, seguendo il vessillo America first, prima l'America, issato dal presidente Donald Trump. Potrei ricordare anche la
Francia, la Spagna, il Lussemburgo… l’Italia; ma preferisco
soffermarmi sul caso svizzero, perché ha coinvolto milioni di italiani e
continua a coinvolgerne ancora tanti.
Un po’ di memoria e
d’immaginazione
Purtroppo molti italiani non amano essere
confrontati con altri popoli, soprattutto se dal confronto potrebbero uscirne
penalizzati, ma non dovrebbero sottrarsi a un piccolo sforzo di memoria perché
nella lunga storia dell’Italia unita (dal 1861) è solo da poche decine d’anni
che il saldo migratorio (immigrati meno emigrati) è positivo. Per oltre un
secolo il numero di emigrati italiani ha superato, spesso abbondantemente, il
numero dei rimpatriati e dei nuovi immigrati. Tra il 1876 e il 1976 circa 26
milioni di italiani hanno lasciato temporaneamente o definitivamente l’Italia
specialmente per motivi di lavoro. Gli italiani residenti all’estero sono oggi
più di cinque milioni.
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Per molti italiani l'esperienza migratoria è stata traumatica! |
Chi conosce anche solo sommariamente la storia
dell’emigrazione italiana sa certamente che per molte persone l’esperienza
migratoria soprattutto agli inizi è stata traumatica, piena di ostacoli e di
sofferenze. Il racconto triste e quasi disperato di questi emigrati non è
riuscito tuttavia a trattenere i partenti alla volta delle Americhe o di Paesi
europei. Evidentemente la speranza di una vita migliore è una forza
irresistibile! Perché negarlo?
Eppure, ci sono molti in Europa e anche in
Italia che questa speranza vorrebbero soffocarla sul nascere in quanti si
avventurano nel Mediterraneo, rischiando grosso, alla ricerca di un porto
sicuro e di un po’ di solidarietà. «Bisogna respingerli - ha detto un
politico – perché non possiamo mica accoglierli tutti!». So che non è un
esercizio agevole, ma si provi ad immaginare che cosa ne sarebbe stato dei 26
milioni (probabilmente molti di più) che cercarono fortuna fuori dell’Italia se
anche solo alcuni Paesi li avessero ricacciati indietro. Per poche centinaia di
italiani respinti alla frontiera dalle autorità svizzere nel 1965 perché
sprovvisti dei necessari documenti «i rotocalchi pubblicarono fotografie
strazianti di famigliole divise, di mamme e bambini pieni di freddo e di dolore
dinanzi al confine sbarrato, la TV trasmise servizi speciali da Chiasso e da
Domodossola, i quotidiani gridarono allo scandalo a causa dei nostri ragazzi
spediti indietro in vagoni cellulari» (da un racconto di Attilia Venturini).
La qualità dell’emigrazione italiana
Il fatto stesso che ancora oggi il flusso
emigratorio dall’Italia non si è completamente arrestato sta a significare che
per gli italiani l’esperienza migratoria non è sempre (stata) negativa, anzi,
verrebbe da dire che tutto sommato è (stata) positiva. La realtà è che
l’emigrazione/immigrazione quasi sempre fa bene sia ai migranti che ai Paesi
che li sanno accogliere. Il successo è quasi sempre legato a due fattori
altrettanto importanti: la qualità degli emigrati e la capacità dei Paesi
destinatari di valorizzarli. IL caso svizzero mi pare illuminante.
La qualità degli immigrati italiani in
Svizzera è consegnata a una serie di opere grandiose, ma anche di ordinaria
amministrazione, che hanno contribuito a rendere questo Paese «il più felice
del mondo» (François Garçon). Mi riferisco in particolare alla realizzazione
delle grandi infrastrutture ferroviarie di fine Ottocento e inizi del
Novecento, all’intensa attività edilizia e di genio civile del secondo
dopoguerra, alla grande produzione industriale, alle attività terziarie.
Gli immigrati italiani sia dell’Ottocento che
del secondo dopoguerra hanno sofferto molto, a causa di ondate di xenofobia
senza precedenti, ma hanno saputo resistere. Purtroppo la prima generazione non
è riuscita a fare grandi passi avanti, ma è doveroso darle atto che ha fatto
bene a trasferire i propri obiettivi di successo alle generazioni successive.
Oggi i risultati parlano chiaro: gli italiani, in generale, sono stimati, sono
presenti in tutte le attività economiche, culturali, politiche, sociali e
occupano spesso posti di grande responsabilità. Un successo!
In Svizzera, come anche in molte altri parti
del mondo, l’italianità o l’italicità, come preferisce qualcuno, rappresenta
soprattutto un pregio, è sinonimo di qualità, buon gusto, stile. Da dove
proviene questo riconoscimento internazionale? Non c’è dubbio, esso proviene
soprattutto dai migliori ambasciatori del made in Italy, gli emigrati.
La politica immigratoria svizzera
Se la qualità degli immigrati italiani in
Svizzera ha contribuito al loro successo e al benessere del Paese, non si può
negare che una parte di esso spetti anche alla politica immigratoria svizzera.
Benché spesso criticata, dalla stampa, dalla politica e dagli stessi immigrati,
la Confederazione ha saputo interpretare bene il suo ruolo, tenendo conto dei
diversi interessi in gioco, sia politici che economici. Le va dato atto, per
esempio, di non aver mai ceduto alle pressioni dei movimenti xenofobi, che
pretendevano il blocco dell’immigrazione, per paura dell’«inforestierimento».
La xenofobia in Svizzera non è mai stata maggioritaria, non ha contagiato il
governo che ha sempre riconosciuto il contributo essenziale degli immigrati
alla prosperità dell’intera nazione.
Fin dagli anni Settanta del secolo scorso la
Confederazione ha cercato di avviare una politica d’integrazione in grado di
stimolare sinergie efficaci tra Cantoni, Comuni, Chiese, associazioni padronali
e sindacali, associazioni di immigrati e singoli immigrati. Una serie di leggi,
ordinanze, direttive favorisce la realizzazione di numerosi progetti
integrativi basati sull’impegno degli stranieri ad integrarsi, sugli interventi
degli enti pubblici a facilitare la loro integrazione, per esempio organizzando
corsi linguistici e di formazione professionale, favorendo il loro inserimento
nel mondo del lavoro.
Che si tratti di una politica vincente, anche
per gli italiani nuovamente in crescita da diversi anni, lo dimostra il fatto
che la Svizzera di oggi, un Paese competitivo a livello mondiale e con un
benessere largamente diffuso, continua ad aver bisogno di immigrati.
In conclusione
Ci sono in Europa e nel mondo Paesi che devono
la loro prosperità all’immigrazione gestita in maniera che a trarne beneficio
siano tutte le parti interessate. Questa condizione può svilupparsi soltanto se
domanda e offerta sono in sostanziale equilibrio, ossia se lo Stato accogliente
si trova in una situazione di crescita. Se manca questa, se manca il lavoro,
non è però colpa dell’immigrazione, ma unicamente della politica che non è in
grado di stimolare sviluppo. La xenofobia, quando contagia un governo o anche
solo una sua parte importante, è spesso un’arma di distrazione di massa per
nascondere le propria contraddizioni e incapacità. Andrebbe democraticamente
disattivata. (Fine)
Giovanni LonguBerna, 26.09.2018