26 settembre 2018

Xenofobia, malattia grave ma non incurabile (2a parte)


Negare che le migrazioni moderne, soprattutto quelle spontanee, possano costituire un grosso problema di accoglienza per molti Paesi di destinazione è impossibile. D’altra parte, affermare che questi grandi movimenti di masse umane rappresentano una «minaccia» per le società benestanti è esagerato e insostenibile. Di conseguenza, sostenere che i migranti vanno respinti come potenziali invasori non appena si avvicinano alle coste italiane e addirittura che si sarebbe dovuta impedirne la partenza dai loro Paesi d’origine, magari con un blocco navale, lo trovo inaccettabile. Del resto, nessun popolo, a mia conoscenza, è mai stato sottomesso e distrutto da migranti inermi; tutti i popoli scomparsi sono stati eliminati da eserciti agguerriti e da conquistadores o si sono autodistrutti. Ritengo pertanto sostenibile e giudizioso affermare che la migrazione è governabile nell’interesse reciproco dei migranti e dei popoli che sanno accoglierli e integrarli.

La migrazione è inevitabile
Poiché i flussi migratori spontanei ci sono sempre stati, perché meravigliarsi che nella nostra epoca da molti Paesi afflitti da guerre, povertà e discriminazioni di ogni genere molte persone cerchino altri luoghi più favorevoli? E poiché i più poveri cercano sempre di avvicinarsi alle mense dei ricchi epuloni sperando di potersi sfamare almeno con le briciole lasciate cadere dai commensali, perché alcuni Paesi vorrebbero respingerli come indegni di partecipare al nostro benessere? Che senso ha la graduatoria «prima i nostri», poi gli altri «se ne avanza», in un mondo in cui i cambiamenti possono essere repentini e ciò di cui tutti i popoli hanno maggiormente bisogno, nessuno escluso, è la solidarietà e la collaborazione, per non rischiare un domani di trovarsi tra le file dei bisognosi?
In una visione globalizzante le relazioni tra i popoli dovrebbero essere caratterizzate dalla collaborazione più che dalla ricerca della supremazia, dall’apertura più che dalla chiusura, dalla solidarietà più che dall’egoismo. Coloro che ritengono pericolosi o troppi gli stranieri che chiedono di entrare in Europa, magari attraverso l’Italia, dovrebbero anche cercare di soppesare meglio il rapporto costi-benefici, ma non sul breve periodo, bensì a medio e a lungo termine, quello che passa alla storia.
E’ facilmente dimostrabile che tutti i popoli hanno tratto grandi benefici dagli immigrati (persino da quelli giunti clandestinamente!) a condizione che le inevitabili difficoltà iniziali siano state superate attraverso mediazioni, accordi, volontà di pacificazione, sforzo reciproco d’integrazione. Tra questi popoli beneficiari potrei citare gli Stati Uniti, benché da qualche tempo molti americani sembrino aver dimenticato le loro origini, seguendo il vessillo America first, prima l'America, issato dal presidente Donald Trump. Potrei ricordare anche la Francia, la Spagna, il Lussemburgo… l’Italia; ma preferisco soffermarmi sul caso svizzero, perché ha coinvolto milioni di italiani e continua a coinvolgerne ancora tanti.

Un po’ di memoria e d’immaginazione
Purtroppo molti italiani non amano essere confrontati con altri popoli, soprattutto se dal confronto potrebbero uscirne penalizzati, ma non dovrebbero sottrarsi a un piccolo sforzo di memoria perché nella lunga storia dell’Italia unita (dal 1861) è solo da poche decine d’anni che il saldo migratorio (immigrati meno emigrati) è positivo. Per oltre un secolo il numero di emigrati italiani ha superato, spesso abbondantemente, il numero dei rimpatriati e dei nuovi immigrati. Tra il 1876 e il 1976 circa 26 milioni di italiani hanno lasciato temporaneamente o definitivamente l’Italia specialmente per motivi di lavoro. Gli italiani residenti all’estero sono oggi più di cinque milioni.
Per molti italiani l'esperienza migratoria è stata traumatica!
Chi conosce anche solo sommariamente la storia dell’emigrazione italiana sa certamente che per molte persone l’esperienza migratoria soprattutto agli inizi è stata traumatica, piena di ostacoli e di sofferenze. Il racconto triste e quasi disperato di questi emigrati non è riuscito tuttavia a trattenere i partenti alla volta delle Americhe o di Paesi europei. Evidentemente la speranza di una vita migliore è una forza irresistibile! Perché negarlo?
Eppure, ci sono molti in Europa e anche in Italia che questa speranza vorrebbero soffocarla sul nascere in quanti si avventurano nel Mediterraneo, rischiando grosso, alla ricerca di un porto sicuro e di un po’ di solidarietà. «Bisogna respingerli - ha detto un politico – perché non possiamo mica accoglierli tutti!». So che non è un esercizio agevole, ma si provi ad immaginare che cosa ne sarebbe stato dei 26 milioni (probabilmente molti di più) che cercarono fortuna fuori dell’Italia se anche solo alcuni Paesi li avessero ricacciati indietro. Per poche centinaia di italiani respinti alla frontiera dalle autorità svizzere nel 1965 perché sprovvisti dei necessari documenti «i rotocalchi pubblicarono fotografie strazianti di famigliole divise, di mamme e bambini pieni di freddo e di dolore dinanzi al confine sbarrato, la TV trasmise servizi speciali da Chiasso e da Domodossola, i quotidiani gridarono allo scandalo a causa dei nostri ragazzi spediti indietro in vagoni cellulari» (da un racconto di Attilia Venturini)

La qualità dell’emigrazione italiana
Il fatto stesso che ancora oggi il flusso emigratorio dall’Italia non si è completamente arrestato sta a significare che per gli italiani l’esperienza migratoria non è sempre (stata) negativa, anzi, verrebbe da dire che tutto sommato è (stata) positiva. La realtà è che l’emigrazione/immigrazione quasi sempre fa bene sia ai migranti che ai Paesi che li sanno accogliere. Il successo è quasi sempre legato a due fattori altrettanto importanti: la qualità degli emigrati e la capacità dei Paesi destinatari di valorizzarli. IL caso svizzero mi pare illuminante.
La qualità degli immigrati italiani in Svizzera è consegnata a una serie di opere grandiose, ma anche di ordinaria amministrazione, che hanno contribuito a rendere questo Paese «il più felice del mondo» (François Garçon). Mi riferisco in particolare alla realizzazione delle grandi infrastrutture ferroviarie di fine Ottocento e inizi del Novecento, all’intensa attività edilizia e di genio civile del secondo dopoguerra, alla grande produzione industriale, alle attività terziarie.
Gli immigrati italiani sia dell’Ottocento che del secondo dopoguerra hanno sofferto molto, a causa di ondate di xenofobia senza precedenti, ma hanno saputo resistere. Purtroppo la prima generazione non è riuscita a fare grandi passi avanti, ma è doveroso darle atto che ha fatto bene a trasferire i propri obiettivi di successo alle generazioni successive. Oggi i risultati parlano chiaro: gli italiani, in generale, sono stimati, sono presenti in tutte le attività economiche, culturali, politiche, sociali e occupano spesso posti di grande responsabilità. Un successo!
In Svizzera, come anche in molte altri parti del mondo, l’italianità o l’italicità, come preferisce qualcuno, rappresenta soprattutto un pregio, è sinonimo di qualità, buon gusto, stile. Da dove proviene questo riconoscimento internazionale? Non c’è dubbio, esso proviene soprattutto dai migliori ambasciatori del made in Italy, gli emigrati.

La politica immigratoria svizzera
Se la qualità degli immigrati italiani in Svizzera ha contribuito al loro successo e al benessere del Paese, non si può negare che una parte di esso spetti anche alla politica immigratoria svizzera. Benché spesso criticata, dalla stampa, dalla politica e dagli stessi immigrati, la Confederazione ha saputo interpretare bene il suo ruolo, tenendo conto dei diversi interessi in gioco, sia politici che economici. Le va dato atto, per esempio, di non aver mai ceduto alle pressioni dei movimenti xenofobi, che pretendevano il blocco dell’immigrazione, per paura dell’«inforestierimento». La xenofobia in Svizzera non è mai stata maggioritaria, non ha contagiato il governo che ha sempre riconosciuto il contributo essenziale degli immigrati alla prosperità dell’intera nazione.
Fin dagli anni Settanta del secolo scorso la Confederazione ha cercato di avviare una politica d’integrazione in grado di stimolare sinergie efficaci tra Cantoni, Comuni, Chiese, associazioni padronali e sindacali, associazioni di immigrati e singoli immigrati. Una serie di leggi, ordinanze, direttive favorisce la realizzazione di numerosi progetti integrativi basati sull’impegno degli stranieri ad integrarsi, sugli interventi degli enti pubblici a facilitare la loro integrazione, per esempio organizzando corsi linguistici e di formazione professionale, favorendo il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Che si tratti di una politica vincente, anche per gli italiani nuovamente in crescita da diversi anni, lo dimostra il fatto che la Svizzera di oggi, un Paese competitivo a livello mondiale e con un benessere largamente diffuso, continua ad aver bisogno di immigrati.

In conclusione
Ci sono in Europa e nel mondo Paesi che devono la loro prosperità all’immigrazione gestita in maniera che a trarne beneficio siano tutte le parti interessate. Questa condizione può svilupparsi soltanto se domanda e offerta sono in sostanziale equilibrio, ossia se lo Stato accogliente si trova in una situazione di crescita. Se manca questa, se manca il lavoro, non è però colpa dell’immigrazione, ma unicamente della politica che non è in grado di stimolare sviluppo. La xenofobia, quando contagia un governo o anche solo una sua parte importante, è spesso un’arma di distrazione di massa per nascondere le propria contraddizioni e incapacità. Andrebbe democraticamente disattivata. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 26.09.2018