Nella seconda metà degli anni Sessanta, quando lo sviluppo dell’economia
svizzera richiedeva sempre più lavoratori stranieri (perché il mercato del
lavoro svizzero, era completamente prosciugato), nessuno sembrava in grado di
proporre soluzioni chiare e praticabili per conciliare due esigenze
contrapposte: da una parte i bisogni dell’economia e dall’altra la riduzione,
stabilizzazione e integrazione della popolazione residente straniera. Il
tentativo del governo di «contingentare» il numero dei nuovi ingressi per
bloccare l’«inforestierimento» non dava i frutti sperati e contribuiva ad
alimentare malumori e critiche verso la politica federale degli stranieri,
allora soprattutto italiani. Solo un partito, l’Azione nazionale (AN),
e il suo leader, James Schwarzenbach, erano convinti di poter indicare
la soluzione del problema.
La soluzione Schwarzenbach
L’Azione
nazionale (AN) era un partito conservatore, ideologicamente di estrema
destra, fondato nel 1961, il cui nome per intero, in italiano, era tutto un
programma: «Azione nazionale contro l'inforestierimento del popolo e della
patria». Alle elezioni federali del 1967 riuscì a far eleggere nel Consiglio
nazionale un suo rappresentante, James Schwarzenbach. Egli, però, si
rese subito conto che sarebbe stato impossibile trovare in Parlamento (allora
dominato dai partiti borghesi di centro-destra) una maggioranza sulle sue idee,
nonostante vi fossero parlamentari socialisti e sindacalisti che da tempo
mettevano in guardia il governo contro un eccesso di immigrazione di lavoratori
dall'Italia.
Per tentare di superare un eventuale ostacolo parlamentare,
la Costituzione federale consente di ricorrere direttamente al popolo sovrano con
una «iniziativa popolare». Questo potente strumento della democrazia
diretta, consistente in una proposta di modifica costituzionale (corredata inizialmente di
almeno 50.000 firme valide di cittadini elettori e dal 1977 di 100.000
firme), obbliga
il governo a sottoporre la proposta al voto dell'intero corpo
elettorale. Il risultato del voto diventa vincolante per il parlamento e per il
governo. E’ stata la strada intrapresa da Schwarzenbach e dal suo partito nel
1968.
Governo federale sotto pressione
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Kurt Furgler (1924-2008), grande sostenitore dell'Accordo del 1964 |
Occorre ricordare a questo punto che fino al 1963 il governo
federale non aveva ritenuto opportuno intervenire né per limitare l'afflusso
dei lavoratori stranieri né per agevolare l'integrazione di quelli già
residenti, confidando che in uno Stato liberale i meccanismi di autocontrollo
dell’economia e della società siano sufficienti.
Dal 1963, invece, sotto la pressione dei sindacati, di
numerosi socialisti e soprattutto dei movimenti xenofobi, il Consiglio federale
aveva cominciato a intervenire con misure sempre più incisive finalizzate al
contenimento della presenza straniera in Svizzera e alla stabilizzazione della
popolazione straniera residente. La volontà del governo appariva chiara non
solo dai vari decreti annuali (a partire dal 1° marzo 1963) per limitare gli
ingressi, ma anche dal nuovo Accordo fra
la Svizzera e l’Italia relativo all’emigrazione dei lavoratori italiani in
Svizzera, firmato il
10 agosto 1964 a Roma in sostituzione del precedente accordo del 1948.
Fu proprio in occasione della lunga e appassionata
discussione per la ratifica del nuovo Accordo al Consiglio nazionale che tutti
i partiti, pur esprimendo preoccupazione per il pericolo dell’inforestierimento
(per ben 160 volte fu pronunciata la parola Überfremdung) e chiedendo garanzie
circa il mantenimento degli impegni da parte del governo, l’approvarono con 117
voti favorevoli e 26 contrari.
Le perplessità e le posizioni contrastanti emerse nella
discussione, che impegnò i parlamentari per ben tre giorni (dal 16 al 18 marzo 1965)
con sedute anche notturne, erano dovute non solo ad alcune innovazioni
contenute nell’Accordo, ma anche all’opportunità che offriva di discutere (e
criticare) in generale la politica federale in materia di immigrazione. Questo
spiega sia l’insolita durata del dibattito che il voluminoso resoconto di circa
100 pagine, ma anche il grande interesse suscitato nell’opinione pubblica,
evidenziato sia dalle tribune gremitissime del parlamento che dai lunghi
servizi dei media nazionali (e internazionali) e dalle innumerevoli lettere ai
giornali.
Importanza dell’Accordo con l’Italia del 1964
Non si può dire, tuttavia, che l’Accordo con l’Italia sia
stato solo un pretesto per discutere d’altro, perché specialmente alcune
concessioni fatte dalla Svizzera alle richieste italiane e inserite
nell’Accordo stavano già ad indicare un cambiamento sostanziale nella politica
del governo mirante alla stabilizzazione della popolazione immigrata.
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Vignetta del Corriere della Sera (22.2.1965) sui movimenti xenofobi svizzeri degli anni '60 |
Commissione di studio sulla manodopera estera (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/09/immigrazione-italiana-1950-1970-24.html), delle rivendicazioni italiane e di altre istanze dell’economia e della politica, il Consiglio federale intendeva infatti superare il principio della rotazione dei lavoratori stranieri (incentrata sulla concessione di permessi di soggiorno solo a tempo determinato per garantire la massima flessibilità) a vantaggio della stabilizzazione e dell’integrazione degli immigrati residenti a tempo indeterminato.
In questa ottica andavano viste, per esempio, le
agevolazioni sui ricongiungimenti familiari previste dall’Accordo, finalizzate
a «migliorare le condizioni di soggiorno dei lavoratori italiani in Svizzera» e
«assicurare loro lo stesso trattamento dei nazionali per quanto concerne le
condizioni di lavoro» (dal preambolo all’Accordo). Venivano infatti garantite
agli immigrati residenti la possibilità del ricongiungimento familiare dopo 18
mesi di ininterrotto soggiorno (sia pure a condizione che l’interessato disponesse
di un alloggio adeguato) e ai lavoratori stagionali la possibilità di ottenere
il permesso di dimora annuale dopo 45 mesi di lavoro svolto in Svizzera negli
ultimi 5 anni.
Reazioni all’Accordo del 1964
In Italia, l’accordo raggiunto fu considerato un successo
dal governo di centro-sinistra (2° Governo Moro) e usato come
«arma politica nei confronti dell’opposizione comunista, che denunciava la
situazione degli emigranti all’estero». La Camera dei deputati lo approvò quasi
all’unanimità.
Anche in Svizzera il Consiglio federale si ritenne
soddisfatto del risultato ottenuto, tenendo conto dei pericoli della xenofobia
(rischi di conflitti sociali), della ragionevolezza delle concessioni («senza
il ricorso al potenziale di lavoratori stranieri non sarebbe stato possibile il
livello di vita di cui tutti ci rallegriamo»), del dovere di giustizia e di
umanità nei confronti degli immigrati sposati (ricongiungimenti familiari), ma
anche dell’opportunità politica (amicizia con l’Italia, Paese fondatore della
Comunità Economica Europea).
L’unica voce discordante e frastornante fu quella dell’Azione
Nazionale. Prima che l’Accordo fosse discusso dal Consiglio nazionale
aveva scatenato specialmente a Zurigo, roccaforte del partito, un’offensiva
d’insolita violenza (verbale) con opuscoli rossi e verdi, ingiuriosi nei
confronti degli stranieri in generale e degli italiani in particolare. I più
scalmanati pretendevano che «l’infiltrazione straniera» venisse fermata in ogni
modo perché «la loro invasione appare nociva e pericolosa come quella delle
cavallette», «significa tradimento all’avvenire dei nostri figli e all’eredità
spirituale tramandataci dai nostri padri». Volantini e pamphlet antistranieri erano
giunti anche nell’aula del Consiglio nazionale.
Le prime iniziative antistranieri
Per dare seguito alle voci del dissenso, contribuendo per
altro ad alimentarle, l’AN decise di lanciare un’iniziativa popolare per
costringere il parlamento e il governo ad adottare misure atte a ridurre al 10
per cento la percentuale di stranieri residenti, che nel 1965 aveva raggiunto
il 13,8% della popolazione totale ed era in costante ascesa. L’iniziativa, che
aveva raccolto 59.164 firme valide, fu depositata il 30 giugno 1965. Voleva
essere una risposta all’Accordo Svizzera-Italia, ma non venne sottoposta al
voto popolare. Fu infatti ritirata dopo che il Consiglio federale aveva
invitato il Parlamento e il Popolo a respingerla perché la riduzione
prospettata non teneva conto delle realtà umane, politiche ed economiche, ma aveva
anche dato alcune assicurazioni in merito a una politica più restrittiva.
Quando Schwarzenbach fu eletto in Consiglio nazionale,
il tema dell’inforestierimento divenne il suo principale cavallo di battaglia.
Durante un intervento al Consiglio nazionale (6 dicembre 1967) cercò di mettere
in chiaro che la sua lotta non aveva nulla a che vedere col razzismo o la
xenofobia, ma era una lotta politica contro il governo che copriva le spalle all’industria,
principale beneficiaria dell’inforestierimento. Aggiunse che la sua lotta
contro l’inforestierimento sarebbe proseguita senza esitazione. Nel 1968 si
fece promotore di quell’iniziativa conosciuta come «Iniziativa Schwarzenbach».
Conoscerla da vicino aiuta a capire una fase delicata e determinante della
storia dell’immigrazione italiana in Svizzera (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 11 settembre 2019
Berna, 11 settembre 2019