11 settembre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 25. Schwarzenbach e gli italiani (2a parte)


Nella seconda metà degli anni Sessanta, quando lo sviluppo dell’economia svizzera richiedeva sempre più lavoratori stranieri (perché il mercato del lavoro svizzero, era completamente prosciugato), nessuno sembrava in grado di proporre soluzioni chiare e praticabili per conciliare due esigenze contrapposte: da una parte i bisogni dell’economia e dall’altra la riduzione, stabilizzazione e integrazione della popolazione residente straniera. Il tentativo del governo di «contingentare» il numero dei nuovi ingressi per bloccare l’«inforestierimento» non dava i frutti sperati e contribuiva ad alimentare malumori e critiche verso la politica federale degli stranieri, allora soprattutto italiani. Solo un partito, l’Azione nazionale (AN), e il suo leader, James Schwarzenbach, erano convinti di poter indicare la soluzione del problema.

La soluzione Schwarzenbach
L’Azione nazionale (AN) era un partito conservatore, ideologicamente di estrema destra, fondato nel 1961, il cui nome per intero, in italiano, era tutto un programma: «Azione nazionale contro l'inforestierimento del popolo e della patria». Alle elezioni federali del 1967 riuscì a far eleggere nel Consiglio nazionale un suo rappresentante, James Schwarzenbach. Egli, però, si rese subito conto che sarebbe stato impossibile trovare in Parlamento (allora dominato dai partiti borghesi di centro-destra) una maggioranza sulle sue idee, nonostante vi fossero parlamentari socialisti e sindacalisti che da tempo mettevano in guardia il governo contro un eccesso di immigrazione di lavoratori dall'Italia.
Per tentare di superare un eventuale ostacolo parlamentare, la Costituzione federale consente di ricorrere direttamente al popolo sovrano con una «iniziativa popolare». Questo potente strumento della democrazia diretta, consistente in una proposta di modifica costituzionale (corredata inizialmente di almeno 50.000 firme valide di cittadini elettori e dal 1977 di 100.000 firme), obbliga il governo a sottoporre la proposta al voto dell'intero corpo elettorale. Il risultato del voto diventa vincolante per il parlamento e per il governo. E’ stata la strada intrapresa da Schwarzenbach e dal suo partito nel 1968.

Governo federale sotto pressione
Kurt Furgler (1924-2008), grande
sostenitore dell'Accordo del 1964
Occorre ricordare a questo punto che fino al 1963 il governo federale non aveva ritenuto opportuno intervenire né per limitare l'afflusso dei lavoratori stranieri né per agevolare l'integrazione di quelli già residenti, confidando che in uno Stato liberale i meccanismi di autocontrollo dell’economia e della società siano sufficienti.
Dal 1963, invece, sotto la pressione dei sindacati, di numerosi socialisti e soprattutto dei movimenti xenofobi, il Consiglio federale aveva cominciato a intervenire con misure sempre più incisive finalizzate al contenimento della presenza straniera in Svizzera e alla stabilizzazione della popolazione straniera residente. La volontà del governo appariva chiara non solo dai vari decreti annuali (a partire dal 1° marzo 1963) per limitare gli ingressi, ma anche dal nuovo Accordo fra la Svizzera e l’Italia relativo all’emigrazione dei lavoratori italiani in Svizzera, firmato il 10 agosto 1964 a Roma in sostituzione del precedente accordo del 1948.
Fu proprio in occasione della lunga e appassionata discussione per la ratifica del nuovo Accordo al Consiglio nazionale che tutti i partiti, pur esprimendo preoccupazione per il pericolo dell’inforestierimento (per ben 160 volte fu pronunciata la parola Überfremdung) e chiedendo garanzie circa il mantenimento degli impegni da parte del governo, l’approvarono con 117 voti favorevoli e 26 contrari.
Le perplessità e le posizioni contrastanti emerse nella discussione, che impegnò i parlamentari per ben tre giorni (dal 16 al 18 marzo 1965) con sedute anche notturne, erano dovute non solo ad alcune innovazioni contenute nell’Accordo, ma anche all’opportunità che offriva di discutere (e criticare) in generale la politica federale in materia di immigrazione. Questo spiega sia l’insolita durata del dibattito che il voluminoso resoconto di circa 100 pagine, ma anche il grande interesse suscitato nell’opinione pubblica, evidenziato sia dalle tribune gremitissime del parlamento che dai lunghi servizi dei media nazionali (e internazionali) e dalle innumerevoli lettere ai giornali.

Importanza dell’Accordo con l’Italia del 1964
Non si può dire, tuttavia, che l’Accordo con l’Italia sia stato solo un pretesto per discutere d’altro, perché specialmente alcune concessioni fatte dalla Svizzera alle richieste italiane e inserite nell’Accordo stavano già ad indicare un cambiamento sostanziale nella politica del governo mirante alla stabilizzazione della popolazione immigrata.
Vignetta del Corriere della Sera (22.2.1965)
sui movimenti xenofobi svizzeri degli anni '60
Sotto la spinta di una trasformazione in atto della produzione industriale, delle conclusioni della
Commissione di studio sulla manodopera estera (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2019/09/immigrazione-italiana-1950-1970-24.html), delle rivendicazioni italiane e di altre istanze dell’economia e della politica, il Consiglio federale intendeva infatti superare il principio della rotazione dei lavoratori stranieri (incentrata sulla concessione di permessi di soggiorno solo a tempo determinato per garantire la massima flessibilità) a vantaggio della stabilizzazione e dell’integrazione degli immigrati residenti a tempo indeterminato.

In questa ottica andavano viste, per esempio, le agevolazioni sui ricongiungimenti familiari previste dall’Accordo, finalizzate a «migliorare le condizioni di soggiorno dei lavoratori italiani in Svizzera» e «assicurare loro lo stesso trattamento dei nazionali per quanto concerne le condizioni di lavoro» (dal preambolo all’Accordo). Venivano infatti garantite agli immigrati residenti la possibilità del ricongiungimento familiare dopo 18 mesi di ininterrotto soggiorno (sia pure a condizione che l’interessato disponesse di un alloggio adeguato) e ai lavoratori stagionali la possibilità di ottenere il permesso di dimora annuale dopo 45 mesi di lavoro svolto in Svizzera negli ultimi 5 anni.
Reazioni all’Accordo del 1964
In Italia, l’accordo raggiunto fu considerato un successo dal governo di centro-sinistra (2° Governo Moro) e usato come «arma politica nei confronti dell’opposizione comunista, che denunciava la situazione degli emigranti all’estero». La Camera dei deputati lo approvò quasi all’unanimità.
Anche in Svizzera il Consiglio federale si ritenne soddisfatto del risultato ottenuto, tenendo conto dei pericoli della xenofobia (rischi di conflitti sociali), della ragionevolezza delle concessioni («senza il ricorso al potenziale di lavoratori stranieri non sarebbe stato possibile il livello di vita di cui tutti ci rallegriamo»), del dovere di giustizia e di umanità nei confronti degli immigrati sposati (ricongiungimenti familiari), ma anche dell’opportunità politica (amicizia con l’Italia, Paese fondatore della Comunità Economica Europea).
L’unica voce discordante e frastornante fu quella dell’Azione Nazionale. Prima che l’Accordo fosse discusso dal Consiglio nazionale aveva scatenato specialmente a Zurigo, roccaforte del partito, un’offensiva d’insolita violenza (verbale) con opuscoli rossi e verdi, ingiuriosi nei confronti degli stranieri in generale e degli italiani in particolare. I più scalmanati pretendevano che «l’infiltrazione straniera» venisse fermata in ogni modo perché «la loro invasione appare nociva e pericolosa come quella delle cavallette», «significa tradimento all’avvenire dei nostri figli e all’eredità spirituale tramandataci dai nostri padri». Volantini e pamphlet antistranieri erano giunti anche nell’aula del Consiglio nazionale. 

Le prime iniziative antistranieri
Per dare seguito alle voci del dissenso, contribuendo per altro ad alimentarle, l’AN decise di lanciare un’iniziativa popolare per costringere il parlamento e il governo ad adottare misure atte a ridurre al 10 per cento la percentuale di stranieri residenti, che nel 1965 aveva raggiunto il 13,8% della popolazione totale ed era in costante ascesa. L’iniziativa, che aveva raccolto 59.164 firme valide, fu depositata il 30 giugno 1965. Voleva essere una risposta all’Accordo Svizzera-Italia, ma non venne sottoposta al voto popolare. Fu infatti ritirata dopo che il Consiglio federale aveva invitato il Parlamento e il Popolo a respingerla perché la riduzione prospettata non teneva conto delle realtà umane, politiche ed economiche, ma aveva anche dato alcune assicurazioni in merito a una politica più restrittiva.
Quando Schwarzenbach fu eletto in Consiglio nazionale, il tema dell’inforestierimento divenne il suo principale cavallo di battaglia. Durante un intervento al Consiglio nazionale (6 dicembre 1967) cercò di mettere in chiaro che la sua lotta non aveva nulla a che vedere col razzismo o la xenofobia, ma era una lotta politica contro il governo che copriva le spalle all’industria, principale beneficiaria dell’inforestierimento. Aggiunse che la sua lotta contro l’inforestierimento sarebbe proseguita senza esitazione. Nel 1968 si fece promotore di quell’iniziativa conosciuta come «Iniziativa Schwarzenbach». Conoscerla da vicino aiuta a capire una fase delicata e determinante della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 11 settembre 2019