Per comprendere il senso del cambiamento intervenuto negli
anni Settanta in seno alla collettività italiana in Svizzera è opportuno precisare,
per quanto possibile, la situazione di partenza. Impresa non facile,
soprattutto alla luce delle esigenze terminologiche descritte nell’articolo
precedente, ma non impossibile perché disponiamo di molti dati precisi
riferibili a tutto il periodo considerato1970-1990. Come già indicato altre
volte la popolazione presa in considerazione è soprattutto quella degli
italiani residenti. Va anche tenuto presente che i cambiamenti maggiori che li hanno
riguardati sono intervenuti nella prima metà del decennio a seguito degli
attacchi dei movimenti xenofobi, ma soprattutto a causa della crisi della metà
del decennio.
Italiani «residenti»
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Primi anni '70: il flusso migratorio tra l'Italia e la Svizzera era ancora intenso.
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In Svizzera i residenti erano censiti generalmente alla fine
dell’anno. Nel 1970 gli italiani che avevano la loro residenza stabile in
Svizzera, con un permesso di domicilio o annuale, erano oltre mezzo milione,
esattamente 583.855. Di questi, ben 133.763 erano nati in Svizzera.
Specialmente i domiciliati erano in rapida ascesa: in dieci anni erano passati
da 183.496 (nel 1960) a 373.666 (nel 1970).
Gli italiani costituivano il gruppo straniero più numeroso e
anche più importante, sia perché sopravanzavano di gran lunga tutti gli altri e
sia perché, insieme ai ticinesi, garantivano alla componente svizzera italofona
una massa critica di oltre il 10 per cento (precisamente l’11,9%). Purtroppo
quella potenzialità non fu adeguatamente sfruttata e in seguito diventerà
un’impresa impossibile recuperarla.
Tuttavia qualche frutto l’ha dato perché, per esempio, in
quegli anni fu potenziata l’emittente televisiva della RSI e nel 1972 la
Deputazione ticinese alle Camere federali riuscì ad ottenere che i testi delle
leggi federali venissero pubblicati anche in italiano data la numerose presenza
in Svizzera d’italofoni. Da sola la componente svizzera, che allora non
arrivava nemmeno al 4 per cento, non avrebbe potuto ottenere tanto.
Merita anche ricordare che gli italiani erano concentrati
soprattutto in cinque circoscrizioni consolari: Zurigo (con 137.985 persone), Basilea
(102.293), Ticino (72'008), Losanna (67.908) e Berna (54.548) e in cinque
agglomerazioni urbane: Zurigo (che contava 30.897 italiani), Basilea (16.738),
Ginevra (17.446), Berna (10.922) e Losanna (10.654). In queste grandi città
l’italiano costituiva la seconda lingua nazionale e la mutata situazione
stimolò le amministrazioni comunali e universitarie ad ampliare l’offerta
formativa per venire incontro alle esigenze degli italofoni e ad avviare
progetti ambiziosi d’incontro e d’integrazione tra svizzeri e stranieri.
Italiani «soggetti a controllo»
Gli italiani «residenti» erano solo una parte della collettività
italiana legata alla migrazione in Svizzera per motivi di lavoro o di residenza.
Mentre quella residente stabilmente (costituita da domiciliati e annuali) era
in progressivo aumento, specialmente per l’incremento demografico naturale
(seconda e successive generazioni), la parte non residente era molto fluttuante
perché dipendeva dall’andamento dell’economia. Era costituita dagli stagionali e
dai frontalieri. Nel 1970 erano rispettivamente 101.555 e 25.743. Dieci anni
prima gli stagionali erano 128.725 e i frontalieri 11.638.
L’alto numero degli stagionali è dovuto in larga parte alla
tradizione dei grandi lavori all’aperto (soprattutto cantieri di montagna e di
città), in passato praticati per buona parte dell’anno, ma non durante i mesi
più freddi d’inverno. Gli stagionali facevano anche comodo alla politica
praticata in Svizzera per buona parte del secolo scorso, impegnata a evitare
l’«inforestierimento» e quindi a limitare il più possibile l’accrescimento
della popolazione residente e il diritto di domicilio.
Stagionali e frontalieri, insieme agli annuali che pur
essendo residenti con un permesso facilmente rinnovabile erano gravati di
alcune limitazioni, facevano parte della cosiddetta popolazione straniera «soggetta
a controllo» (specialmente attraverso il rinnovo o meno del permesso di lavoro
e di soggiorno). E’ interessante osservare, sia pure nel breve periodo di un
decennio (1960-1970), l’andamento di questa popolazione, passata da 303.090 immigrati
italiani (di cui 162.727 annuali,
128.725 stagionali e 11.638 frontalieri) a 371.814 (di cui 244.516 annuali, 101.555
stagionali e 25.743 frontalieri).
Popolazione «attiva» e «non attiva»
Nel decennio appena esaminato si notano in particolare due
tendenze. Anzitutto l’aumento degli annuali. Sta a denotare due fenomeni che
soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta s’intrecciano: da
una parte l’incremento dei permessi annuali concessi a nuovi immigrati e
dall’altra l’incremento della popolazione non attiva per effetto dei
ricongiungimenti familiari, agevolati grazie all’accordo italo-svizzero del
1965, e il boom delle nascite degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta.
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Anni '70: immigrati italiani a un bivio: partire o restare e integrarsi |
L’altra tendenza è la diminuzione, sia pure con fasi
altalenanti, del numero di stagionali. Il permesso di lavoro stagionale,
infatti, già negli anni Sessanta aveva suscitato molte polemiche soprattutto
perché numerosi datori di lavoro ne abusavano, consentendo ai loro
collaboratori stagionali di restare in Svizzera anche durante i mesi in cui
avrebbero dovuto trovarsi in Italia. Di qui la tendenza a usufruire del minor
numero possibile di stagionali per lavoro effettivamente «stagionali».
La popolazione «attiva» era costituita dalle persone in età
lavorativa, occupati e disoccupati, con l’esclusione delle persone «non
attive», ossia non in condizione di poter lavorare o perché troppo giovani o
perché già in età della pensione.
Specialmente per i giovani figli di immigrati annuali cominciava
a diventare acuto il problema dell’integrazione, perché i loro genitori,
specialmente quelli arrivati negli anni Sessanta, presentavano spesso carenze
scolastiche, conoscevano poco o niente la lingua locale e incontravano enormi
difficoltà di comunicazione e di comprensione con gli svizzeri. La convivenza
risultava alquanto problematica.
Mentre i primi immigrati giunti in Svizzera provenienti dal
Nord Italia si erano in gran parte integrati, gli immigrati dal Mezzogiorno difficilmente
riuscivano a superare la barriera dell’incomunicabilità. Già parlare con loro
d’integrazione era un’impresa difficile, ma bisognava che almeno la seconda
generazione incontrasse sulla propria strada meno difficoltà. Per loro, l’integrazione
apparire già agli inizi degli anni Setta una strada obbligata.
Xenofobia e altre difficoltà
Questa situazione, unita all’accusa pesante rivolta alle
autorità federali da parte delle destre e anche di una parte del sindacato di
gestire male il fenomeno immigratorio, veniva sfruttata cinicamente dai
movimenti xenofobi, diffondendo soprattutto nell’opinione pubblica del ceto
sociale medio-basso la paura dello straniero, dell’inforestierimento, della
penuria di abitazioni, della perdita di posti di lavoro, dell’abbassamento
della qualità della produzione, ecc.
In quest’atmosfera avvelenata non fu difficile al noto
politico di estrema destra James Schwarzenbach lanciare un’altra
iniziativa popolare per obbligare il Parlamento e il Governo a limitare
l’immigrazione, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze economiche e
umane che avrebbe provocato una sua eventuale vittoria in votazione popolare.
Con questa nuova iniziativa il politico zurighese sosteneva
anche di lottare per il bene del suo Paese contro il pericolo comunista che si
infiltrava sempre più soprattutto tra gli immigrati italiani attraverso le
Colonie libere italiane e tra gli immigrati spagnoli attraverso organizzazioni simili.
Per questo era anche decisamente contrario alla naturalizzazione di questi
immigrati ritenendoli «non assimilabili».
Secondo i calcoli del Consiglio federale, se l’iniziativa
fosse stata accolta dal popolo svizzero e dalla maggioranza dei Cantoni, almeno
310.000 stranieri avrebbero dovuto lasciare la Svizzera entro quattro anni. Non
si arrivò a tanto perché l’iniziativa fu sonoramente bocciata nel 1974 dalla
grande maggioranza dei votanti (con 1.691.632/65,8% di no e 878.891/34,2% sì) e
da tutti i Cantoni.
La partecipazione al voto era stata alta e fu interpretata
dagli ambienti politici e dall’opinione pubblica come una seria indicazione del
progressivo regresso della xenofobia. Le difficoltà per gli stranieri non erano
tuttavia ancora finite e proprio quell’anno si presentarono con la crisi
economica più minacciose che mai. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 29.04.2020