Nell'articolo precedente si è cominciato a passare in rassegna le istituzioni di rappresentanza della collettività italiana residente in Svizzera, allo scopo di indicarne il «peso» nel contesto della valorizzazione del patrimonio ideale lasciato dagli immigrati italiani e dell’auspicabile sviluppo dell’italianità in questo Paese. Si è giustamente cominciato dall’Ambasciata perché ad essa spetta il peso preponderante e perché ad essa fanno riferimento diretto o indiretto tutte le altre. Del resto è notorio che il peso politico e pratico di queste è minimo, a cominciare dai rappresentanti degli italiani all'estero eletti nel Parlamento della Repubblica (due eletti proprio in Svizzera). Il CGIE potrebbe avere maggior peso essendo costituito da rappresentanti delle comunità italiane sparse nel mondo, ma è un organo di consulenza del Governo e del Parlamento, in grado di esprimere solo pareri non vincolanti. Anche i membri dei Comites potrebbero costituire una forza importante perché per legge sono «organi di rappresentanza degli italiani all'estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari», ma sono spesso disorientati e scarsamente rappresentativi.
Parlamentari eletti all'estero: inutili?
![]() |
Nonostante il diritto di voto all'estero, gli italiani ne fanno un uso scarso ... come se non interessasse! In Svizzera non è mai stata eletta una donna! |
Poiché attualmente il
loro numero esiguo è espressione solo di piccole minoranze poco rappresentative
e per di più di colore politico opposto (maggioranza e opposizione), la loro
efficacia è vicina allo zero, tanto da legittimare la domanda se sia il caso di
continuare ad eleggere parlamentari ininfluenti. Il risparmio che ne
deriverebbe potrebbe essere investito più utilmente in altre rappresentanze più
vicine agli italiani residenti all'estero e alle loro problematiche.
Gli eletti
naturalmente continueranno a ritenersi indispensabili per dar voce ai milioni
di italiani all'estero, ma sanno benissimo che non è così. Un esempio
significativo è stato fornito da uno dei due eletti in Svizzera, Toni Ricciardi (PD), che si è vantato di aver riproposto all'attenzione del governo il
tema dell’esenzione dell’IMU (Imposta Municipale Unica) sulla prima casa, come
se la maggioranza degli italiani residenti all'estero avesse una casa in Italia
e non esistessero altre rivendicazioni importanti per la loro vita nel Paese
d’immigrazione, per esempio nel campo dell’assistenza, della scuola, della
formazione professionale, dell’integrazione, del turismo, del sostegno
all'italianità, ecc.
Come Toni Ricciardi
anche gli altri eletti all'estero, tanto gli appartenenti alla maggioranza che
quelli dell’opposizione, rappresentano di fatto poco più di se stessi e
farebbero meglio, se fosse possibile, a dimenticare l’appartenenza partitica e
a unire le forze per rivendicare efficacemente soluzioni a qualcuno dei
problemi comuni che gli italiani all'estero vivono quotidianamente.
Un CGIE meno politicizzato e più forte
Il CGIE (Consiglio
Generale degli Italiani all'Estero) è
forse lo strumento centrale che potrebbe rappresentare meglio gli
italiani all'estero. Il condizionale è dovuto al suo condizionamento da parte
della politica e alla sua scarsa rappresentatività. Basti pensare che su 63
Consiglieri, 20 sono nominati dal governo, ma già al momento delle elezioni
all'estero gli altri 43 devono fare i conti con i partiti politici e le grandi
organizzazioni politicizzate, che hanno in mano la macchina elettorale più
capillare ed efficace degli italiani all'estero.
Il CGIE è poco rappresentativo: le donne all'estero vi sono rappresentate al 19% (quelle residenti in Svizzera al 16,6%). |
Va anche aggiunto che un organismo così eletto e funzionante
renderebbe inevitabilmente inutile l’elezione dei parlamentari della
Circoscrizione Estero, per cui l’idea di un più efficiente CGIE potrebbe avere
pochi sostenitori anche tra le organizzazioni politiche o politicizzate degli
italiani all'estero. Pertanto non è nemmeno pensabile, allo stato attuale,
organizzare un movimento trasversale per l’abolizione della Circoscrizione
Estero e il rafforzamento del CGIE come organismo nazionale di rappresentanza
degli italiani all'estero. E questo spiega forse a sufficienza perché si
preferisca, di fatto, avere due organismi deboli piuttosto che uno forte,
mantenere lo status quo, ossia l’indifferenza diffusa, piuttosto che
impegnarsi in una riforma dall'esito incerto, convivere pacificamente… e
ignorarsi reciprocamente.
Comites magari più efficienti
Una tale situazione, tuttavia, non è detto che tranquillizzi
tutti, che vada bene a tutti. Anzi, in alcune circoscrizioni consolari si
levano sempre più frequentemente voci critiche a riguardo dei servizi
consolari, dei tagli ai contributi per la formazione e la cultura,
dell’assistenza, ecc.
Recentemente è scoppiato anche il caso dei «corsi di lingua
e cultura italiana» perché in alcune località importanti, per esempio a Berna e
a San Gallo, i corsi sembrano sospesi e gli insegnanti lasciati senza stipendio
da mesi a causa del mancato versamento dei contributi dello Stato italiano,
dovuto a sua volta a presunte inadempienze amministrative di alcuni enti
gestori dei corsi. «A farne le spese - si poteva leggere già a novembre su tvsvizzera.it
- sono i numerosi/e scolari/e - non solo quelli/e di origine italiana - che
desiderano perfezionare le loro conoscenze dell’idioma di Dante, e ora sono
costretti/e nelle due città citate a far capo ad altri istituti o a ricorrere a
insegnamenti privati».
Comites poco efficienti perché poco rappresentativi? |
Ciò che maggiormente salta agli occhi in questa vicenda è la leggerezza con cui i vari organismi competenti sembrano trattare un tema così delicato e fondamentale come la diffusione della lingua e della cultura italiana specialmente tra gli italiani di origine migratoria. E poiché i Comites (Comitati degli Italiani all’Estero) in questa materia hanno competenze e responsabilità importanti viene da chiedersi a che servono davvero questi organismi di rappresentanza se non riescono nemmeno a garantire un servizio primario ai piccoli italiani.
Tutto colpa dei Comites interessati? Certamente no, anche
perché la realtà appare piuttosto seria e complessa, non sono sempre chiare le
competenze e spesso mancano le risorse finanziarie per trovare alternative.
Potrebbero però fare di più, per esempio informando e mobilitando l’opinione
pubblica, richiedendo l’intervento dei Consoli, dell’Ambasciatore, del CGIE,
dei parlamentari eletti all'estero, delle forze politiche più sensibili alle
tematiche degli italiani all'estero, denunciando il danno d’immagine all'Italia
e il mancato contributo all'italianità, ecc.
Quanto al presunto mancato versamento dei contributi
statali, a prescindere dalle motivazioni e dalle responsabilità (da verificare
urgentemente), si deve anche ritenere che non c’è ragione d’interrompere un
servizio promesso e garantito, tanto più che ogni allievo oggi è tenuto a
versare un piccolo contributo. Lo Stato per primo deve dare prova di coerenza,
ma forse lo Stato, nei confronti degli italiani all'estero, è spesso
indifferente, incoerente, senza progetti e senza visioni. Ma anche i cosiddetti
organismi di rappresentanza dovrebbero impedire l’aggravarsi della situazione.
E allora?
Allora qualche considerazione finale va pure fatta su queste
rappresentanze, ma sarà rimandata per questione di spazio al prossimo articolo.
Nei precedenti articoli sono emersi numerosi interrogativi sul presente e soprattutto
sul futuro degli italiani residenti in Svizzera, ma le risposte date, talvolta
complesse e aperte, meritano almeno un tentativo di unificazione. Non si può
infatti rinunciare a ipotizzare una specie di prolungamento ideale e reale
della lunga storia dell’immigrazione italiana in Svizzera né a spingere lo
sguardo al di là dell’orizzonte. Per questo nel prossimo articolo cercherò di
indicare in che direzione sembra muoversi questa realtà fluida e in continua
trasformazione. Cercare di individuarne il senso mi sembra una buona
conclusione di questa lunga trattazione. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 8.2.2023