Superata la crisi economica del 1974-76 e spazzate via tre
nuove iniziative popolari antistranieri (1974: 65,8% di no, 1977a: 70,5% di no,
1977b: 66,2% di no), la Confederazione si trovò nella condizione di poter
avviare finalmente una vera politica d’integrazione di una popolazione
straniera ormai stabilizzata (quasi ¾ degli stranieri residenti in Svizzera
erano titolari del permesso di domicilio) e ridotta dal 16,1% (1975) al 14,1%
(1980). Anche la popolazione straniera che aveva deciso di restare non aveva
altra scelta che integrarsi o mettersi in condizione di poter vivere in questo
Paese un po’ più serenamente. Si trattava, com’è facile capire, di due sfide
che svizzeri e stranieri dovevano affrontare insieme. Oggi si sa che la
collaborazione non fu sempre facile, ma fu positiva.
Stabilizzazione e riduzione
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«Integrazione» divenne dopo il 1970 la parola d'ordine della nuova politica d'immigrazione della Svizzera. |
Le quattro sconfitte subite dai sostenitori delle tre
principali iniziative antistranieri degli anni Sessanta e Settanta (1970, 1974,
1977) furono interpretate dalle forze politiche come un’approvazione popolare e
dei Cantoni della politica federale di stabilizzazione e riduzione della
manodopera estera. In effetti, alla vigilia della votazione del 1970, il
Consiglio federale si era proposto di stabilizzare la popolazione straniera
entro il 1980. Nel 1973 vi era già riuscito in parte, ma fu negli anni
seguenti, complice la crisi del 1974-76, che riuscì a raggiungere
anticipatamente quell’obiettivo.
Sarebbe tuttavia un’interpretazione parziale e troppo
riduttiva della politica federale degli anni Settanta, se si pensasse che il
Governo si proponesse solo obiettivi quantitativi, ossia limitare e ridurre il
numero degli stranieri. E’ infatti una costante della politica svizzera verso
gli stranieri l’obiettivo dell’integrazione (anche se fino agli anni Settanta
il termine maggiormente usato era «assimilazione»), come emerge da numerosi
interventi del Consiglio federale dall’inizio del secolo.
Primi passi verso l’integrazione
Già nel 1909 la
Commissione della gestione del Consiglio nazionale aveva suggerito al Consiglio
federale di studiare la possibilità di ovviare al pericolo d'inforestierimento
agevolando l’integrazione (assimilazione) e la naturalizzazione. Alla vigilia
della prima guerra mondiale, quando l’afflusso di stranieri era particolarmente
intenso, il Consiglio federale pensava che si potessero adottare «come misure
adeguate a contenere il fenomeno, l'incremento dell'assimilazione e lo
snellimento della naturalizzazione», senza ricorrere a interventi restrittivi
per arginare il fenomeno.
Lo scoppio della guerra impedì alle Camere di legiferare al riguardo, ma la
direzione della politica federale d’immigrazione era segnata.
Dovettero tuttavia passare diversi decenni prima che il
problema si ripresentasse con un’intensità simile a quella d’inizio secolo, ossia
dopo la seconda guerra mondiale. Inizialmente alla Confederazione non occorsero
misure speciali perché l’economia svizzera aveva urgente bisogno di molta
manodopera straniera. Anzi fu relativamente facile accordarsi con l’Italia
(1948) per «mantenere e sviluppare il
movimento emigratorio tradizionale dall'Italia in Svizzera».
Segnali
favorevoli e incoraggianti
Alla fine degli anni
Cinquanta, quando i flussi immigratori aumentarono considerevolmente e
cominciarono a creare preoccupazione in alcuni ambienti della popolazione, il
problema degli stranieri ridivenne attuale e la politica federale dovette
rivedere la sua politica liberale in materia immigratoria. Il Consiglio federale
finì per prendere in considerazione anche misure di contingentamento degli
ingressi, ma non smise mai di ritenere irrinunciabile una seria politica
d’integrazione.
Quando nella prima
metà degli anni Sessanta venne ridiscusso l’accordo d’immigrazione con l’Italia
(concluso il 10 agosto 1964), la prospettiva dell’integrazione, soprattutto per
la seconda generazione, fu sempre presente. Nel messaggio governativo all'Assemblea federale del 4 novembre 1964, in cui
si chiedeva l'approvazione di quell'accordo, il Consiglio federale non aveva
dubbi: i lavoratori stranieri stabilizzati vanno integrati perché «sono
diventati ormai un fattore irrinunciabile della nostra vita economica.
Conseguentemente, la nostra futura politica dell'immigrazione non potrà
limitarsi alla funzione negativa di frenare l'entrata di nuovi lavoratori, ma
dovrà assumersi anche la funzione positiva di facilitare il mantenimento e
l'assimilazione della manodopera idonea. Il nuovo ordinamento migratorio con
l'Italia va appunto in tale direzione».
Di fronte alla pressione dei movimenti xenofobi e dei
partiti dell’estrema destra, ma anche di alcuni ambienti sindacali, il
Consiglio federale intervenne dapprima con misure di contingentamento e di
controllo al fine di stabilizzare la manodopera straniera ritenuta utile e
necessaria, rinviando ad una fase successiva la politica d’integrazione, che
restava comunque un obiettivo irrinunciabile.
L’esito delle quattro iniziative antistranieri (1970, 1974,
1977°, 1977b), ma anche la partecipazione calante degli elettori (1970: 74%,
1974: 70,3%, 1977: 45,2%) apparvero al Consiglio federale non solo come una
seria indicazione del crescente disinteresse della popolazione alle discussioni
sul numero degli stranieri, ma anche come un segnale di approvazione della sua
politica di stabilizzazione della popolazione straniera finalizzata
all’integrazione soprattutto della seconda generazione.
Ostacoli e superamento
Il Consiglio federale si rendeva tuttavia conto che la
strada non sarebbe stata esente da ostacoli. I movimenti xenofobi non perdevano
occasione per evocare paure nella popolazione. Poiché nei primi anni Settanta
si era registrato un forte aumento delle nascite di stranieri (nel 1973, su 86
mila nascite, 27 mila erano figli di stranieri, con un tasso del 79 per mille,
contro appena il 31 per mille nelle case svizzere) e il numero delle
naturalizzazioni tendeva vistosamente a salire, il 15 marzo 1974 fu depositata
la quinta iniziativa antistranieri denominata «per una limitazione del
numero annuale delle naturalizzazioni».
Già l’iniziativa di Schwarzenbach, respinta nel 1970, voleva
impedire che il Consiglio federale potesse adottare provvedimenti straordinari
di naturalizzazione al fine di ridurre in questo modo il numero degli stranieri
residenti. Con la nuova iniziativa del 1974 se ne voleva limitare il numero a
4000 l’anno «fintanto che la
Svizzera conta una popolazione residente totale superiore a 5.500.000 persone…».

Anche questa
iniziativa fu chiaramente respinta il 13 marzo 1977 dal 66,2% dei votanti e da tutti i Cantoni e si
capì che ormai, per la maggioranza del popolo svizzero, non c’era alternativa
all’integrazione degli stranieri e la via della naturalizzazione andava
incoraggiata. Di fatto il numero delle naturalizzazioni (ordinarie e
agevolate), che negli anni Sessanta erano circa 4000 l’anno, negli anni
Settanta sono state circa 9800 l’anno. In vent’anni la nazionalità svizzera è
stata accordata a circa 140.000 stranieri.
Integrazione, problema nazionale
Il Consiglio federale era tuttavia ben consapevole che la
paura dell’inforestierimento non sarebbe , dovessero poter usufruire facilmente della naturalizzazione.
stata superata stabilizzando e riducendo il numero degli stranieri e che la loro integrazione non sarebbe avvenuta solo per mezzo della naturalizzazione. Anche in futuro ci sarebbero stati in Svizzera stranieri che avrebbero preferito
continuare a restare tali e
bisognava tenerne conto. Riteneva tuttavia che soprattutto coloro che erano
nati in questo Paese o avevano trascorso qui la loro infanzia ed erano
considerati integrati e ben accetti anche dagli svizzeristata superata stabilizzando e riducendo il numero degli stranieri e che la loro integrazione non sarebbe avvenuta solo per mezzo della naturalizzazione. Anche in futuro ci sarebbero stati in Svizzera stranieri che avrebbero preferito
Per il Consiglio
federale, «non dobbiamo accontentarci di una semplice coabitazione fra
svizzeri e stranieri: deve essere risvegliata la comprensione reciproca, i
malintesi vanno dissipati ed i pregiudizi eliminati; l'adattamento alle
condizioni di vita del nostro Paese deve permettere agli stranieri di prendere
contatto con la popolazione svizzera e di partecipare alla nostra vita sociale»
Restava aperto una vasto campo d’interventi e di
sensibilizzazione che la Confederazione non avrebbe potuto assumersi da sola.
Per questo, fin dagli anni Settanta furono coinvolti in una politica attiva
d’integrazione tutti le principali istituzioni interessate, Confederazione,
Cantoni, Comuni, Parti sociali, Chiese ed evidentemente anche associazioni e
cittadini svizzeri e stranieri. La questione degli stranieri doveva diventare
una questione nazionale e coinvolgere direttamente anche loro. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 10.06.2020
Berna, 10.06.2020