Del
papa Benedetto XVI si parlerà a lungo, perché è stato un papa fondamentale (e non
di transizione, come spesso si sente dire in questi giorni) per la Chiesa
cattolica, per i rapporti tra le Chiese, per i rapporti tra fede e ragione, tra
coscienza e azione, tra vita e morte in un mondo che rischia se non la perdita
almeno l’affievolirsi del senso del sacro, della trascendenza, della religione,
della vita umana.
Opinioni discordanti
![]() |
Benedetto XVI (1927-2022) |
Nei
media di questi giorni vengono ripercorsi i vari momenti della sua vita e
soprattutto del suo pontificato e inevitabilmente si ricordano le tre
encicliche, altri scritti, i numerosi viaggi apostolici, i rapporti di
Benedetto XVI con i grandi della terra ma anche con la gente comune. Tutti
riconoscono al papa Ratzinger grandi doti intellettuali e dottrinali, ma
insieme alla sua grande intelligenza tutti mettono in rilievo anche l’umiltà e
la mitezza che lo hanno caratterizzato. Nessuno dubita che sia stato un grande
papa, forse ancora poco compreso.
Dimissioni strumentalizzate
Numerosi
commentatori concentrano la propria attenzione sulle sue dimissioni e ritengono
addirittura che Benedetto XVI sarà ricordato soprattutto per questa sua
decisione, insolita ma non senza precedenti nella storia della Chiesa. In
questi ultimi anni si è molto discusso sulle sue conseguenze, senza per altro
guardare mai alla sostanza. Poteva infatti apparire anomala la situazione di
due papi, anche se uno era «emerito» e l’altro «regnante», e qualche cattolico
intransigente (e forse malintenzionato) ne ha magari approfittato per seminare
zizzania tra i credenti. Un giornalista, buon conoscitore di Benedetto XVI,
ritiene addirittura che solo con la sua morte «si torna alla normalità di un
solo papa vestito di bianco, senza ombre di potere parallelo che i nemici
possono usare contro quello legittimo».
In
realtà, per la Chiesa, c’è sempre stato un solo papa, perché l’altro aveva rinunciato
pubblicamente, davanti ai cardinali e davanti a Dio, all’esercizio della
funzione. Il dimissionario era ben consapevole di diventare da quel momento un
«Ex» e il suo successore papa Francesco non si è mai sentito delegittimato dal
suo predecessore, anzi l’ha sempre considerato un validissimo sostegno in
quanto «fedele servitore del Vangelo e della Chiesa». Oltre alla stima
reciproca li legava l’amore per la Chiesa in cui ci sono diverse membra
e funzioni.
Francesco
è stato forse uno dei pochi a capire tutta la portata delle parole pronunciate
da Benedetto XVI riguardo sia alle dimissioni che al dopo: «Sono ben
consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere
compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e
pregando ... per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto
cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio». Francesco
lo sapeva e per questo gli è stato sempre riconoscente e ha voluto presiedere
la celebrazione del suo funerale.
Benedetto XVI entra nella storia
Per
quanto importanti possano essere state percepite nell'opinione pubblica le
dimissioni di Benedetto XVI, la sua grandezza, per la Chiesa cattolica e per il
mondo, va ricercata in quel che ha fatto, detto e scritto prima di quell'atto,
ma anche dopo. Egli entra nella storia della Chiesa e del mondo non solo perché
è stato un fine teologo, un grande papa e un convinto credente, ma anche perché
è stato un grande intellettuale moderno che è riuscito ad armonizzare nella sua
mente e nei sui scritti realtà apparentemente distanti e contrapposte come fede
e ragione, coscienza e azione, vita e morte.
Come uomo di Chiesa, teologo e papa, è stato ampiamente detto e
scritto, per cui non mi soffermo e rinvio alla lettura delle sue tre encicliche
Dio è amore (sull’amore cristiano), Salvati dalla Speranza (sul
valore della speranza) e La carità nella verità (sulla giustizia
sociale), ma anche dei suoi libri (in particolare la trilogia su Gesù di
Nazaret) e delle testimonianze di quanti lo hanno incontrato e conosciuto
da vicino, molte delle quali riportate dalla stampa.
Tra queste testimonianze desidero ricordare quanto ebbe a
dire del «papa emerito» papa Francesco qualche settimana fa: «E’ un santo. E’ un
uomo di alta vita spirituale…vive in contemplazione» e recentemente quando
ha invitato tutti i partecipanti a una udienza generale a «rendere grazie a Dio per il dono di questo fedele
servitore del Vangelo e della Chiesa». Del resto, Benedetto XVI stesso, all’inizio del suo
pontificato, si era definito «umile lavoratore nella vigna del Signore».
Aggiungo
solo che dalla lettura dei suoi scritti e da numerose testimonianze si
percepisce chiaramente che Benedetto XVI non era solo un fine teologo e un grande
conoscitore della Bibbia, ma era anche un grande credente, «un credente
innamorato di Cristo che ha sperimentato la gioia della fede». A Gesù di
Nazaret Benedetto XVI ha dedicato tre libri stupendi, in cui si percepisce chiaramente non
solo una conoscenza profonda del Vangeli, ma anche un ascolto costante della Parola di
Dio intesa a far comprendere la verità autentica e profonda di Gesù.
Ragione e fede
Come fine intellettuale moderno
Benedetto XVI-Josef Ratzinger entra nella storia perché ha detto e scritto
parole chiare e convincenti, fondate filosoficamente e teologicamente, anche sui
grandi temi che riguardano la stessa essenza dell’uomo: fede e ragione, coscienza e azione, vita e morte.
Sui
rapporti tra fede e ragione, un tema sempre aperto da quando l’uomo ha preso
coscienza di possederle entrambe, papa Ratzinger ha detto parole confortanti.
Fede e ragione, due forze primordiali che danno il senso della vita e della morte all'uomo sulla terra, anche se apparentemente antagoniste, non lo sono in
realtà per origine e funzione.
Tanto la fede quanto la ragione provengono da Dio e Dio non può entrare in conflitto con se stesso. Inoltre, entrambe aspirano alla verità e, con metodi diversi, la cercano, ma nella consapevolezza che «la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare».
La
ragione arriva a postulare una Trascendenza e persino a dimostrarne
l’esistenza (K. Jaspers), a sapere che Dio ha creato il mondo e l’uomo stesso a sua immagine
e somiglianza; ma la fede, sostiene Ratzinger, va oltre, «permette un sapere
autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un «sàpere,
cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo
gioioso di stare al mondo». «La fede porta a scoprire che
l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di
bello c’è nell’uomo».
Fede
e ragione non possono lasciare indifferenti nessuno, ma compito dell’uomo di
fede è soprattutto «dare testimonianza alla verità», ossia, «mettere in
risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e delle sue
potenze. Dio è la misura dell’essere». Sicché, «il mondo è “vero” nella misura
in cui rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è
scaturito. E diventa tanto più vero quanto più si avvicina a Dio. L’uomo
diventa vero, diventa se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli
raggiunge la sua vera natura. Dio è la realtà che dona l’essere e il senso».
Pertanto,
fede e ragione non sono forze antagoniste, ma bisognerebbe parlare piuttosto,
secondo Ratzinger, di forze complementari. La ragione senza il
prolungamento della fede non può arrivare a svelare completamente non solo la
Trascendenza, ma neppure il vero senso della vita umana. «La fede senza la
ragione diviene non umana».
Primato della coscienza
Oggi,
rileggendo pacatamente le motivazioni comunicate da Benedetto XVI ai cardinali
al momento delle sue dimissioni si capiscono più facilmente non solo la
ragionevolezza di quella decisione (per il venir meno delle forze necessarie
all'esercizio «adeguato» del ministero petrino), ma anche la sua
preparazione («dopo aver esaminato ripetutamente la mia coscienza davanti a
Dio»), la consapevolezza della «gravità» di quell'atto e la sua
finalità («per il bene della Chiesa»).
Il
significato e il peso che la coscienza ha avuto nella vita e nel pensiero di
Ratzinger non è stato, a mio avviso, sufficientemente sottolineato nei commenti
e nelle testimonianze di questi giorni. Eppure essa ha avuto un ruolo
determinante non solo nella decisione di rinunciare al ministero petrino, ma
anche nella teologia e nella pastorale di Benedetto XVI, convinto del primato
della coscienza sull'azione.
Non
è indifferente che un teologo della statura di Ratzinger abbia dedicato uno
scritto importante intitolato elogio della coscienza,
intesa come «la presenza percepibile ed imperiosa della voce
della verità all'interno dell’uomo…. il superamento della mera soggettività
nell'incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio».
La voce della coscienza, sosteneva Ratzinger, non ammette
compromessi a prezzo della verità, anzi, «un uomo di coscienza è uno che non
compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il
benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte
dell’opinione dominante».
Vita e morte
Il tema della coscienza è in Ratzinger un tema fondamentale
anche perché incide sull'atteggiamento dell’uomo nei confronti non solo della
vita ma anche della morte, sebbene di quest’ultima l’uomo moderno preferisca parlare
il meno possibile.
Eppure, per tutti la morte è una certezza innegabile e in tutti,
credenti e non credenti, è presente la «coscienza del limite», dei limiti dell’essere
umano, «essere finito», «essere per la morte» (M. Heidegger), quindi la
certezza della morte. Non tutti, però, la considerano allo stesso modo: se per gli
uni può rappresentare la fine dell’esistenza, il nulla o l’ignoto dove comunque
non c’è Dio, per i credenti, invece, la morte è un passaggio a uno stato
diverso caratterizzato dall’incontro con Dio giudicante e misericordioso e
dalla vita eterna, piena di luce e di gioia, per cui può non fare paura o
addirittura dare sollievo, come nel caso proprio di Benedetto XVI.
![]() |
Benedetto e Francesco, entrambi al servizio della Chiesa e del mondo. |
Difficile non cogliere in queste frasi l’atteggiamento di
Benedetto XVI non solo come credente nel Dio vivente e misericordioso, ma anche
come «umile lavoratore nella vigna del Signore», «uomo di Dio», che con una «traccia
di santità» ha cercato attraverso l’insegnamento, il magistero e l’esempio di «confermare nella fede i fratelli».
Papa Francesco, nel presiedere il rito funebre, oggi ha concluso la sua commossa omelia augurando al suo predecessore: «Benedetto, fedele amico dello Sposo,
che la tua gioia sia perfetta nell'udire definitivamente e per sempre la Sua
voce!». Amen.