05 gennaio 2023

Benedetto XVI nella storia

 

Del papa Benedetto XVI si parlerà a lungo, perché è stato un papa fondamentale (e non di transizione, come spesso si sente dire in questi giorni) per la Chiesa cattolica, per i rapporti tra le Chiese, per i rapporti tra fede e ragione, tra coscienza e azione, tra vita e morte in un mondo che rischia se non la perdita almeno l’affievolirsi del senso del sacro, della trascendenza, della religione, della vita umana.

Opinioni discordanti

Benedetto XVI (1927-2022)
All'interno della Chiesa cattolica viene spesso classificato, semplicisticamente, come un papa «conservatore» in contrapposizione a «progressista», spesso senza nemmeno chiedersi se queste categorizzazioni nel suo caso abbiano un senso. Come se, per esempio, «conservare» i valori «non negoziabili» della Chiesa (Gesù di Nazareth, sacramenti, dogmi, tradizione, ecumenismo, primato della coscienza, senso della vita e della morte…) costituisse un impedimento al suo sviluppo e invece rappresentassero un «progresso» nella teologia e nella vita della Chiesa il relativismo, la secolarizzazione, l’alleggerimento della morale sessuale, l’accettazione dell’aborto, dell’eutanasia, del matrimonio omosessuale e di altre rivendicazioni «moderne» di cristiani che considerano la Chiesa «bloccata» su queste tematiche.

Nei media di questi giorni vengono ripercorsi i vari momenti della sua vita e soprattutto del suo pontificato e inevitabilmente si ricordano le tre encicliche, altri scritti, i numerosi viaggi apostolici, i rapporti di Benedetto XVI con i grandi della terra ma anche con la gente comune. Tutti riconoscono al papa Ratzinger grandi doti intellettuali e dottrinali, ma insieme alla sua grande intelligenza tutti mettono in rilievo anche l’umiltà e la mitezza che lo hanno caratterizzato. Nessuno dubita che sia stato un grande papa, forse ancora poco compreso.

Dimissioni strumentalizzate

Numerosi commentatori concentrano la propria attenzione sulle sue dimissioni e ritengono addirittura che Benedetto XVI sarà ricordato soprattutto per questa sua decisione, insolita ma non senza precedenti nella storia della Chiesa. In questi ultimi anni si è molto discusso sulle sue conseguenze, senza per altro guardare mai alla sostanza. Poteva infatti apparire anomala la situazione di due papi, anche se uno era «emerito» e l’altro «regnante», e qualche cattolico intransigente (e forse malintenzionato) ne ha magari approfittato per seminare zizzania tra i credenti. Un giornalista, buon conoscitore di Benedetto XVI, ritiene addirittura che solo con la sua morte «si torna alla normalità di un solo papa vestito di bianco, senza ombre di potere parallelo che i nemici possono usare contro quello legittimo».

In realtà, per la Chiesa, c’è sempre stato un solo papa, perché l’altro aveva rinunciato pubblicamente, davanti ai cardinali e davanti a Dio, all’esercizio della funzione. Il dimissionario era ben consapevole di diventare da quel momento un «Ex» e il suo successore papa Francesco non si è mai sentito delegittimato dal suo predecessore, anzi l’ha sempre considerato un validissimo sostegno in quanto «fedele servitore del Vangelo e della Chiesa». Oltre alla stima reciproca li legava l’amore per la Chiesa in cui ci sono diverse membra e funzioni.

Francesco è stato forse uno dei pochi a capire tutta la portata delle parole pronunciate da Benedetto XVI riguardo sia alle dimissioni che al dopo: «Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando ... per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio». Francesco lo sapeva e per questo gli è stato sempre riconoscente e ha voluto presiedere la celebrazione del suo funerale.

Benedetto XVI entra nella storia

Per quanto importanti possano essere state percepite nell'opinione pubblica le dimissioni di Benedetto XVI, la sua grandezza, per la Chiesa cattolica e per il mondo, va ricercata in quel che ha fatto, detto e scritto prima di quell'atto, ma anche dopo. Egli entra nella storia della Chiesa e del mondo non solo perché è stato un fine teologo, un grande papa e un convinto credente, ma anche perché è stato un grande intellettuale moderno che è riuscito ad armonizzare nella sua mente e nei sui scritti realtà apparentemente distanti e contrapposte come fede e ragione, coscienza e azione, vita e morte.

Come uomo di Chiesa, teologo e papa, è stato ampiamente detto e scritto, per cui non mi soffermo e rinvio alla lettura delle sue tre encicliche Dio è amore (sull’amore cristiano), Salvati dalla Speranza (sul valore della speranza) e La carità nella verità (sulla giustizia sociale), ma anche dei suoi libri (in particolare la trilogia su Gesù di Nazaret) e delle testimonianze di quanti lo hanno incontrato e conosciuto da vicino, molte delle quali riportate dalla stampa.

Tra queste testimonianze desidero ricordare quanto ebbe a dire del «papa emerito» papa Francesco qualche settimana fa: «E’ un santo. E’ un uomo di alta vita spirituale…vive in contemplazione» e recentemente quando ha invitato tutti i partecipanti a una udienza generale a «rendere grazie a Dio per il dono di questo fedele servitore del Vangelo e della Chiesa». Del resto, Benedetto XVI stesso, all’inizio del suo pontificato, si era definito «umile lavoratore nella vigna del Signore».

Aggiungo solo che dalla lettura dei suoi scritti e da numerose testimonianze si percepisce chiaramente che Benedetto XVI non era solo un fine teologo e un grande conoscitore della Bibbia, ma era anche un grande credente, «un credente innamorato di Cristo che ha sperimentato la gioia della fede». A Gesù di Nazaret Benedetto XVI ha dedicato tre libri stupendi, in cui si percepisce chiaramente non solo una conoscenza profonda del Vangeli, ma anche un ascolto costante della Parola di Dio intesa a far comprendere la verità autentica e profonda di Gesù.

Ragione e fede

Come fine intellettuale moderno Benedetto XVI-Josef Ratzinger entra nella storia perché ha detto e scritto parole chiare e convincenti, fondate filosoficamente e teologicamente, anche sui grandi temi che riguardano la stessa essenza dell’uomo: fede e ragione, coscienza e azione, vita e morte.

Sui rapporti tra fede e ragione, un tema sempre aperto da quando l’uomo ha preso coscienza di possederle entrambe, papa Ratzinger ha detto parole confortanti. Fede e ragione, due forze primordiali che danno il senso della vita e della morte all'uomo sulla terra, anche se apparentemente antagoniste, non lo sono in realtà per origine e funzione.

Tanto la fede quanto la ragione provengono da Dio e Dio non può entrare in conflitto con se stesso. Inoltre, entrambe aspirano alla verità e, con metodi diversi, la cercano, ma nella consapevolezza che «la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare».

La ragione arriva a postulare una Trascendenza e persino a dimostrarne l’esistenza (K. Jaspers), a sapere che Dio ha creato il mondo e l’uomo stesso a sua immagine e somiglianza; ma la fede, sostiene Ratzinger, va oltre, «permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un «sàpere, cioè un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo». «La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo».

Fede e ragione non possono lasciare indifferenti nessuno, ma compito dell’uomo di fede è soprattutto «dare testimonianza alla verità», ossia, «mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e delle sue potenze. Dio è la misura dell’essere». Sicché, «il mondo è “vero” nella misura in cui rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è scaturito. E diventa tanto più vero quanto più si avvicina a Dio. L’uomo diventa vero, diventa se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli raggiunge la sua vera natura. Dio è la realtà che dona l’essere e il senso».

Pertanto, fede e ragione non sono forze antagoniste, ma bisognerebbe parlare piuttosto, secondo Ratzinger, di forze complementari. La ragione senza il prolungamento della fede non può arrivare a svelare completamente non solo la Trascendenza, ma neppure il vero senso della vita umana. «La fede senza la ragione diviene non umana».

Primato della coscienza

Oggi, rileggendo pacatamente le motivazioni comunicate da Benedetto XVI ai cardinali al momento delle sue dimissioni si capiscono più facilmente non solo la ragionevolezza di quella decisione (per il venir meno delle forze necessarie all'esercizio «adeguato» del ministero petrino), ma anche la sua preparazione («dopo aver esaminato ripetutamente la mia coscienza davanti a Dio»), la consapevolezza della «gravità» di quell'atto e la sua finalità («per il bene della Chiesa»).

Il significato e il peso che la coscienza ha avuto nella vita e nel pensiero di Ratzinger non è stato, a mio avviso, sufficientemente sottolineato nei commenti e nelle testimonianze di questi giorni. Eppure essa ha avuto un ruolo determinante non solo nella decisione di rinunciare al ministero petrino, ma anche nella teologia e nella pastorale di Benedetto XVI, convinto del primato della coscienza sull'azione.

Non è indifferente che un teologo della statura di Ratzinger abbia dedicato uno scritto importante intitolato elogio della coscienza, intesa come «la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all'interno dell’uomo…. il superamento della mera soggettività nell'incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio».

La voce della coscienza, sosteneva Ratzinger, non ammette compromessi a prezzo della verità, anzi, «un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante».

Vita e morte

Il tema della coscienza è in Ratzinger un tema fondamentale anche perché incide sull'atteggiamento dell’uomo nei confronti non solo della vita ma anche della morte, sebbene di quest’ultima l’uomo moderno preferisca parlare il meno possibile.

Eppure, per tutti la morte è una certezza innegabile e in tutti, credenti e non credenti, è presente la «coscienza del limite», dei limiti dell’essere umano, «essere finito», «essere per la morte» (M. Heidegger), quindi la certezza della morte. Non tutti, però, la considerano allo stesso modo: se per gli uni può rappresentare la fine dell’esistenza, il nulla o l’ignoto dove comunque non c’è Dio, per i credenti, invece, la morte è un passaggio a uno stato diverso caratterizzato dall’incontro con Dio giudicante e misericordioso e dalla vita eterna, piena di luce e di gioia, per cui può non fare paura o addirittura dare sollievo, come nel caso proprio di Benedetto XVI.

Benedetto e Francesco, entrambi al servizio della Chiesa e del mondo.
In una lettera dell'8 febbraio 2022 il papa emerito scrisse: «Ben presto mi troverò di fronte al Giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all'inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: “Non temere! Sono io…” (cfr. Ap 1,12-17)».

Difficile non cogliere in queste frasi l’atteggiamento di Benedetto XVI non solo come credente nel Dio vivente e misericordioso, ma anche come «umile lavoratore nella vigna del Signore», «uomo di Dio», che con una «traccia di santità» ha cercato attraverso l’insegnamento, il magistero e l’esempio di «confermare nella fede i fratelli».

Papa Francesco, nel presiedere il rito funebre, oggi ha concluso la sua commossa omelia augurando al suo predecessore: «Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta nell'udire definitivamente e per sempre la Sua voce!». Amen.

Giovanni Longu
5.1.2023

 

04 gennaio 2023

Immigrazione italiana 1946-2000: 27. Considerazioni finali: 5. anche gli immigrati grandi beneficiari (2)

Come accennato nell'articolo precedente, vanno considerati beneficiari dell’immigrazione italiana del secondo dopoguerra non solo i discendenti degli immigrati, ma anche loro stessi, perché hanno acquisito un’esperienza straordinaria e molti hanno beneficiato delle numerose aperture agli immigrati iniziate negli anni Settanta. Se oggi è facile incontrare italiani in tutti gli ambiti e a tutti i livelli dell’economia, della finanza, della politica, della cultura, della ricerca, dell’insegnamento (anche universitario), della pubblica amministrazione… non va dimenticato che queste possibilità hanno cominciato a realizzarsi in quegli anni.

Difficile avvio, ma su solide basi

Soddisfazione di neodiplomati elettronici dopo un corso triennale al Cisap di Berna. 
Gli immigrati italiani residenti in Svizzera negli anni Settanta e Ottanta ricorderanno forse più facilmente i disagi, le restrizioni, le differenze tra svizzeri e stranieri sul lavoro, nei salari e nelle abitazioni, le difficoltà familiari alle prese col dilemma se restare o tornare in Italia, se per i figli era preferibile la scuola svizzera o quella italiana, le difficoltà di comunicazione tra genitori e insegnanti, ecc. (cfr. articolo precedente).

Eppure i cambiamenti benefici erano in atto anche per loro: l’economia cominciava a preferire la manodopera stabile invece di quella a rotazione, le autorità svizzere erano convinte che la popolazione straniera andasse trattata e integrata meglio, ovunque sorgevano associazioni e gruppi misti per favorire il dialogo tra svizzeri e stranieri, alcune associazioni italiane con difficoltà di sopravvivenza perché i giovani le disertavano, cominciavano a prendere coscienza dei nuovi problemi e della necessità di una loro radicale trasformazione, in vista soprattutto del futuro della seconda generazione, investendo in particolare nella scuola, nella cultura, nella formazione professionale.

Per esempio, dagli anni Settanta si sono moltiplicate, soprattutto nei Cantoni industrializzati, le iniziative italo-svizzere per la formazione professionale di base e l’acquisizione di nuove professionalità, destinate dapprima agli immigrati senza una qualifica professionale specifica e successivamente anche ai giovani della seconda generazione con difficoltà a seguire gli apprendistati normali. L’Italia, ma anche la Svizzera mettevano allora a disposizione ingenti risorse finanziarie per la formazione e il perfezionamento professionali degli italiani.

Soddisfazione finale meritata

Ne approfittarono in molti e solo chi ha vissuto o seguito da vicino esperienze formative del genere può comprendere la soddisfazione di coloro che alla fine dei corsi potevano esibire un diploma di automeccanico, tornitore, fresatore, disegnatore elettrico, installatore di impianti sanitari, elettronico, ecc. La meritavano perché per tre o quattro anni avevano sacrificato con grande abnegazione tempo libero, denaro, talvolta amicizie e familiari, per apprendere nuove conoscenze professionali, nuove tecniche di lavoro, metodi di formazione continua.

Era anche meritato il successivo riconoscimento dei datori di lavoro che premiavano con maggiorazioni salariali non solo gli sforzi praticati dai dipendenti nella studio, ma anche il titolo professionale conseguito. In alcune aziende molti ex-allievi furono anche promossi di funzione come capisquadra, capigruppo, addetti al controllo di qualità, ecc.

Ma la soddisfazione più grande e ben meritata dev'essere stata quella personale per aver vinto una sfida il cui esito non era per nulla scontato. Da quel momento la vita sarebbe stata più serena (con maggiori disponibilità finanziarie) e meglio garantita sia nell'ambito del lavoro (meno rischi di disoccupazione) che in quello familiare (l’esempio poteva indurre i figli a fare meglio e di più).

Non è pertanto esagerato affermare che pure gli immigrati della prima generazione, o almeno molti di essi, sono stati grandi beneficiari dei cambiamenti sociali e politici riguardanti l’immigrazione italiana in Svizzera negli ultimi decenni del secolo scorso. Contestualmente va ricordato però che le opportunità di cui seppero approfittare sono state il frutto di lotte politiche, lunghe trattative diplomatiche, decisioni delle commissioni miste previste dagli accordi bilaterali tra l’Italia e la Svizzera, interventi sindacali, ma anche dell’impegno di alcune associazioni italiane e italo-svizzere.

Guardando retrospettivamente le carriere «migratorie» dei pensionati e seniores italiani ancora residenti in questo Paese, almeno stando alle numerose memorie pubblicate o raccontate, è facile concludere che in tutti (o quasi) il bilancio tra benefici e svantaggi è senz'altro positivo, tant'è che sono rimasti. I maggiori beneficiari, tuttavia, sono, come si vedrà meglio prossimamente, i loro discendi di seconda e di terza generazione. (Segue)

Giovanni Longu
Berna 4.1.2023