Il periodo in esame (1970-1990) ha rappresentato per
l’immigrazione italiana in Svizzera una fase di grandi cambiamenti ed è stato
soprattutto il primo decennio a segnare le svolte più significative nelle sue caratteristiche
principali e nel contesto generale. In meno di dieci anni gli italiani persero
definitivamente tra la popolazione straniera residente in Svizzera la maggioranza
assoluta che detenevano dal 1960 (1960: 59,2%; 1970: 53,6%: 1980: 44,3%) e la tendenza
era in calo (1990: 30,8%). Dai primi anni Settanta i rientri in Italia
cominciarono a superare i nuovi arrivi in Svizzera. Gli italiani non erano
insostituibili, ma mentre si assottigliava la prima generazione, cresceva la
seconda. Cambiavano i problemi, ma aumentavano le opportunità. Tanto le cause
quanto le conseguenze di quei movimenti meritano un approfondimento.
Quadro di riferimento sostanziale
Dalla metà degli anni Settanta, in alcune attività economiche (per es. siderurgia), dove gli italiani erano insostituibili, lo saranno sempre di meno. |
Le ragioni che alimentavano l’immigrazione e le ragioni che
spingevano ad emigrare in questo Paese erano da una parte la carenza di
manodopera indigena, l’espansione dell’economia, la necessità di garantire a
una popolazione in crescita nuove infrastrutture abitative, sociali, commerciali,
industriali, ecc. e dall’altra l’opportunità di un’occupazione ben retribuita e
relativamente sicura, la possibilità di fare risparmi, la prospettiva di
offrire maggiori garanzie alla famiglia, ecc.
L’immigrazione, tuttavia, non era un movimento spontaneo di
persone senza regole o in balia di avidi capitalisti senza scrupoli, ma aveva
un quadro di riferimento generale e specifico. Nell’ambito delle convenzioni
internazionali, si trattava di uno scambio ordinato (almeno nelle sue linee
fondamentali) tra economie forti ed economie deboli, secondo le regole tipiche
del mercato libero in cui domanda e offerta si richiamano reciprocamente e
talvolta dialetticamente.
Non c’è dubbio che nel dopoguerra l’economia svizzera era
forte e attirava molta manodopera straniera, mentre l’economia italiana era
debole e tutte le forze politiche vedevano nell’emigrazione una necessità e
persino un’opportunità. Non solo i bisogni ma anche le convinzioni dell’utilità
dell’emigrazione erano talmente grandi che i flussi emigratori italiani
soprattutto in Europa e specialmente verso la Svizzera furono praticamente
ininterrotti e assai consistenti per quasi un trentennio.
Quadro di riferimento giuridico
Non andrebbe nemmeno dimenticato che i flussi migratori tra
l’Italia e la Svizzera avvenivano in un quadro giuridico ben preciso costituito
sia dalla legislazione svizzera riguardante gli stranieri, il lavoro e la
sicurezza sociale e sia dagli accordi italo-svizzeri in materia di
emigrazione/immigrazione, come pure dagli accordi collettivi di lavoro convenuti
tra le parti sociali e dagli accordi individuali di lavoro.
Le possibilità di abusi, di forme di sfruttamento e persino di
ingiustizie erano reali, ma altrettanto possibili ed esigibili erano i
controlli sindacali, la sorveglianza delle autorità (anche italiane), i servizi
di patronato e altri servizi di protezione, anche se spesso venivano ignorati e
trascurati.
Specialmente da parte dello Stato italiano c’era l’impegno,
almeno formale, di tutelare il lavoro italiano all’estero (art. 35 della
Costituzione) e da parte delle opposizioni governative, ma anche di numerose associazioni
di emigrati, venivano segnalate spesso inadempienze generiche, inadeguatezze
dei servizi e una certa sottomissione dell’Italia alle decisioni della
Svizzera. I vari governi democristiani succedutisi nel dopoguerra non erano
insensibili alle critiche e alle richieste dei connazionali, ma spesso si
sentivano deboli nei confronti dei Paesi d’immigrazione e non solo della
Svizzera. In più occasioni le rappresentanze diplomatiche italiane chiesero
provvedimenti per tacitare le opposizioni, non per risolvere i problemi dei
concittadini emigrati.
Problemi a non finire
La sconfitta di Schwarzenbach il 7 giugno 1970 non aveva
rasserenato il clima difficile tra svizzeri e stranieri che si era venuto a
creare con la propaganda xenofoba, anche perché, come già ricordato,
Schwarzenbach si era subito ripresentato minaccioso con un’altra iniziativa popolare
per la riduzione del numero di stranieri. Quella votazione aveva anzi messo in
evidenza la proporzione enorme di svizzeri che non amavano gli immigrati e
aveva indotto moltissimi di questi a prendere in seria considerazione un
prossimo rientro in Italia.
Molti non presero subito la decisione di rientrare perché
nei loro progetti mancava ancora qualche risparmio da mettere da parte, non era
ancora ben matura la scelta della scuola per i loro figli, mancava soprattutto
la certezza di un futuro più tranquillo in Italia. Il problema dei figli stava
diventando ogni giorno più delicato e serio perché qualsiasi soluzione
possibile non era priva di incognite. D’altra parte, le autorità svizzere
premevano sulla necessità di inserire anche gli stranieri nelle scuole locali e
pure quelle italiane, pur suggerendo e favorendo qualche compromesso
temporaneo, erano sempre più orientate alla frequenza della scuola svizzera.
Ristrutturazione delle imprese produttive
A parte la crisi economica del 1974-75, imprevista agli
inizi degli anni Settanta, un altro problema, solo in parte legato alle
pressioni dei movimenti xenofobi, stava emergendo velocemente in tutta la sua
gravità e costituirà in pochi anni uno dei banchi di prova più importanti non
solo per molte aziende, ma anche per la popolazione immigrata, compresi gli
stagionali: l’economia aveva deciso di ristrutturare intere attività del
settore industriale, specialmente quelle con un alto tasso di manodopera
(straniera). Si trattava per molte aziende di una strada obbligata per poter
sopravvivere alla concorrenza internazionale diventata sempre più agguerrita.
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Nelle nuove tecnologie,
invece, gli italiani saranno sempre più presenti (foto CISAP). |
Molte aziende preferirono continuare come prima, altre procrastinarono
l’acquisto e l’introduzione di nuovi macchinari e moderne tecnologie, altre
avviarono quasi subito il rinnovamento, pur con una certa gradualità. Di fronte
all’esigenza di importanti cambiamenti tecnologici, molti immigrati italiani senza
alcuna base scolastica e professionale adeguata si trovarono nell’impossibilità
di seguirli, altri riuscirono a seguirli almeno in parte e solo una minoranza
riuscì a inserirsi nei vari processi di rinnovamento. Le conseguenze, come si
vedrà prossimamente, si faranno sentire nel giro di pochi anni.
Italiani non più insostituibili, ma ancora importanti
Negli anni Sessanta e primi anni Settanta i lavoratori italiani
residenti stabilmente costituivano la spina dorsale di un gran numero di
imprese del settore secondario (come gli stagionali italiani lo erano nell’edilizia
e nel genio civile), tanto da non poterne fare a meno. Diversi segnali (ripresa
economica in Italia, boom economico in alcuni Paesi della Comunità economica
europea (CEE) di cui faceva parte l’Italia, rivendicazioni ritenute eccessive degli
immigrati italiani, velate minacce di alcuni politici italiani alla Svizzera, ecc.)
lasciavano intendere che il bacino italiano fino ad allora quasi inesauribile di
manodopera a buon mercato si stava prosciugando, per cui la Svizzera aprì le
frontiere ad altri immigrati di diverse nazionalità. Di fatto, per tutto il
decennio 1970, i rientri in Italia superarono abbondantemente gli arrivi in
Svizzera.
La Svizzera non fece nulla per trattenerli, anche per non
creare disparità di trattamento con gli immigrati di altre nazionalità, ma soprattutto
perché stavano venendo alla ribalta le nuove generazioni. Nel 1970, su 583.850
italiani residenti, 246.218 avevano meno di 25 anni, 150.692 avevano meno di 15
anni. Molti giovani italiani o naturalizzati che avevano terminato i loro studi
e appreso una professione erano già professionalmente attivi. I matrimoni misti
italiani/e-svizzere/i superavano i matrimoni tra connazionali. In molte famiglie
la lingua comune era l’italiano.
Comunque fosse evoluta l’immigrazione dall’Italia, in
Svizzera restava una sorta di zoccolo duro che avrebbe continuato a rafforzare
la componente italofona e l’italianità della Svizzera. La strada non sarebbe
stata però senza ostacoli. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 6 maggio 2020
Berna, 6 maggio 2020