Gli immigrati italiani
in Svizzera di fine Ottocento e inizio Novecento lavoravano non solo sui
cantieri delle infrastrutture ferroviarie e stradali, ma anche nell’edilizia
urbana e nelle fabbriche dei grandi centri industriali di Zurigo, Basilea,
Winterthur, Berna, La Chaux-de-Fonds, ecc. Il loro contributo alla creazione del
benessere diffuso e, più in generale, di quella che anche in Svizzera fu la «Belle
Époque» (dall’ultimo decennio dell’Ottocento al 1914), è stato
determinante, ma non è stato sempre apprezzato quanto meritava.
Forte crescita demografica a cavallo tra XIX
e XX secolo
L’apertura della
galleria del San Gottardo (1882) e la possibilità di trasporti veloci tra nord
e sud diedero slancio a tutta l’economia elvetica, proiettandola decisamente
verso la modernità. In breve tempo, sul finire del XIX secolo, fu raggiunto un
livello di produzione industriale e di prosperità pari o superiore a quello
degli Stati europei più avanzati. Il prodotto interno lordo (PIL) pro capite
della Svizzera superava nettamente quello di tutti i Paesi vicini. Le
condizioni d’abitazione e di vita miglioravano ovunque. I beni di consumo si
diffondevano rapidamente, il tenore di vita si elevava, la speranza di vita
aumentava.
Berna: tipiche case in mattoni nel quartiere di Kirchenfeld (gl) |
Ad aumentare non era
solo la popolazione svizzera, nonostante fosse ancora considerevole fino alla
fine del secolo l’emigrazione, ma anche quella straniera, che compensava ormai
abbondantemente le partenze degli svizzeri e soddisfaceva con forze giovani le
esigenze crescenti di un’economia in espansione. Tra il 1880 e il 1910 gli
stranieri passarono dal 7,4 al 14,7% della popolazione residente. Il contributo
maggiore a questo incremento lo fornivano gli italiani. Infatti, mentre nello
stesso periodo la percentuale dei tedeschi (fino ad allora il gruppo nazionale
di gran lunga più numeroso) sull’insieme degli stranieri scendeva dal 45,1 al
39,8 per cento, quella degli italiani cresceva dal 19,7 al 36,7 per cento.
Trasformazione delle città e boom edilizio
Il segno forse più
evidente dello sviluppo economico e dell’incremento demografico era la
trasformazione in corso di tutte le grandi città svizzere con nuovi piani
urbanistici, creazione di nuovi quartieri, sistemazioni di strade e piazze,
costruzione di edifici industriali, commerciali, amministrativi (per la
Confederazione e per i Cantoni e Comuni), di servizio (stazioni, uffici
postali, scuole, ospedali, chiese, musei…), turistici e di svago (alberghi,
teatri, caffè, ristoranti, cinematografi…), residenziali (ville lussuose, ma
anche case-giardino per operai e impiegati e «alloggi di utilità pubblica»),
alimentando un boom edilizio senza precedenti.
Se nel 1888 l’attività
edilizia occupava poco più di 62.000 addetti in tutta la Svizzera, nel 1910 il
loro numero era più che doppio. Il 40% di essi (nelle grandi città addirittura
il 50%) era costituito da stranieri. Molti erano italiani.
La costruzione della
ferrovia e della galleria del San Gottardo ebbe l’effetto, fra l’altro, di
accreditare gli italiani come ottimi lavoratori non solo nel ramo del genio
civile (strade e ferrovie in particolare), ma anche nell’edilizia generale. Sul
finire dell’Ottocento, l’attività edilizia frenetica richiamò pertanto nelle
grandi città svizzere un gran numero di muratori e operai generici italiani da
adibire nell’urbanizzazione dei terreni e nella costruzione di edifici di ogni
genere. Provenivano, come per le costruzioni ferroviarie e stradali,
prevalentemente dall’Italia settentrionale e trovavano facilmente lavoro.
I muratori italiani
erano molto richiesti perché costavano di meno e producevano più di tutti gli
altri. Nonostante i salari bassi, fissati dall’imprenditore e non certo dai
salariati, spesso gli italiani riuscivano a guadagnare più di molti svizzeri
perché lavoravano generalmente a cottimo. Già questo bastava per attirarsi
molte invidie e accuse da parte delle maestranze e degli operai svizzeri. Il
colmo si raggiungeva quando, nei periodi di contrazione dell’attività edilizia,
molti svizzeri restavano disoccupati e gli italiani continuavano a lavorare. Le
risse erano inevitabili e frequenti.
Violenze contro gli italiani
L’episodio più
clamoroso fu quello avvenuto a Berna nel 1893, mentre si stava
edificando un intero quartiere, Kirchenfeld. Ne ho già parlato in
passato, ma merita ricordarlo ancora perché alquanto significativo dell’impatto
(negativo) che avevano spesso gli italiani nell’opinione pubblica svizzera,
anche quando le presunte cause dei contrasti non dipendevano dai loro
comportamenti o dalla loro volontà.
Berna 1893: Käfigturmkrawall (disegno dell'epoca) |
In questa situazione,
per muratori e manovali svizzeri diventava sempre più difficile trovar lavoro.
A molti di essi, il fatto che la stessa sorte non colpisse gli italiani dovette
apparire un’onta insopportabile. Il passaggio dalle proteste alle violenze fu
quasi inevitabile. Il 19 giugno 1893, 50-60
manovali bernesi, per lo più disoccupati, decisero di dare una lezione agli
italiani. Radunata una piccola folla, marciarono in direzione dei cantieri dove
c’erano molti italiani. Giunti sul luogo, distrussero ponteggi e quant’altro, picchiando
gli operai italiani che non erano riusciti a scappare prima. Fortunatamente non
ci furono morti, ma molti immigrati italiani decisero in quel momento di andar
via da Berna.
Per evitare
l’estendersi della violenza intervenne la polizia e arrestò una settantina di assalitori,
sistemandoli nella Torre delle prigioni (Käfigturm). Attorno all’edificio si
radunò allora una folla inferocita, che si era nel frattempo ingrossata a più
di mille persone, reclamando la liberazione degli arrestati. Per paura di
essere sopraffatta, la polizia chiese l’intervento dell’esercito e solo dopo
l’arrivo di centinaia di militari da Thun e da Lucerna si riuscì a disperdere i
manifestanti. Per precauzione, tuttavia, per oltre un mese 450 soldati venuti
dall’Argovia restarono a presidiare i cantieri
più a rischio, al fine di evitare altre violenze e danni materiali.
Opinioni discordanti tra pubblico e autorità
A differenza di quanto
era avvenuto in seguito allo sciopero durante lo scavo della galleria del San
Gottardo, l’opinione pubblica si divise nel giudicare la «rivolta del
Käfigturm» (Käfigturmkrawall). Una parte considerava legittime le
rivendicazioni dei disoccupati bernesi, un’altra riteneva invece che la rabbia
dei manovali svizzeri non fosse altro che un tentativo rivoluzionario della
classe operaia organizzata sotto la guida di capi stranieri (tedeschi).
Le autorità
cantonali bernesi, invece, pur essendo intervenute in questa occasione in
difesa degli operai italiani, adottarono un atteggiamento del tutto in linea
con quello delle autorità del Cantone di Uri quando fecero intervenire la
milizia contro i manifestanti italiani. Per esse, infatti, «gli imprenditori
non devono cedere alle rivendicazioni degli scioperanti e devono fare di tutto
per trattenere i loro operai italiani pronti a partire. Facendo così agiranno nell’interesse
superiore del Paese e saranno certi di avere il sostegno di una popolazione
giustamente irritata». Evidentemente gli italiani era ritenuti quantomeno
utili.
Le autorità
federali agirono invece diversamente. Per evitare altri disordini, esclusero
gli italiani dalla costruzione del Palazzo federale che stava per essere
avviata (1894-1902), ma si attirarono non poche critiche. Per esempio, il corrispondente
da Berna di un quotidiano romando, non avendo dubbi sulla superiorità dell’operaio italiano nei
confronti di quello svizzero perché più produttivo, si domandava ironicamente
se le amministrazioni pubbliche pensassero seriamente di migliorare l’operaio
indigeno escludendo dai cantieri il lavoro italiano. Per lui, infatti, sopprimendo
la concorrenza si sopprimeva «uno stimolo al progresso» e lanciava una pesante
accusa alle autorità federali affermando: «questo protezionismo costa caro allo
Stato che, sotto forma di prezzo unitario più elevato ha dovuto prendere a suo
carico l’inferiorità della manodopera locale».
Italiani utili, anzi indispensabili
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Numa Droz (1844-1899) |
La difficile
convivenza non impedirà, tuttavia, l’arrivo in Svizzera di decine di migliaia
di italiani fino a divenire, specialmente in alcuni rami dell’economia, una
forza insostituibile, come attestò nel 1899 l’ex presidente della
Confederazione Numa Droz: «considero l’immigrazione italiana non solo
utile, ma necessaria». (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 14.02.2017
Berna, 14.02.2017