Quando si parla degli
emigrati italiani residenti (stabilmente) in Svizzera nel periodo considerato
(1950-1970), si omette spesso di caratterizzarli sotto l’aspetto culturale,
socio-demografico e socio-economico, benché soprattutto allora alcune
caratteristiche abbiano determinato il successivo sviluppo dell’intera
collettività italiana. In questo e nei prossimi articoli ne verranno presentate
alcune.
Giovani e forti…

Per molti giovani, maschi e femmine, l’emigrazione
rappresentava una sorta di liberazione da molte forme di chiusura vissute prima
di partire e un’opportunità irrinunciabile di nuove esperienze. Il coraggio non
mancava. La speranza, più che la fortuna, era la stella polare.
Data l’età, gli immigrati del dopoguerra erano
anche forti. Dovevano esserlo, anche perché il diritto di entrata e di soggiorno
in Svizzera era dato, allora, solo da un permesso di lavoro e le attività che
dovevano svolgere erano spesso dure e pesanti. Del resto la visita medica al
passaggio della frontiera doveva accertare non solo l’assenza di malattie
trasmissibili, ma anche l’idoneità a svolgere il lavoro indicato sul permesso.
Spesso si trattava di lavori oltre che pesanti anche rischiosi, che fecero,
purtroppo centinaia di vittime. Il loro contributo al miglioramento delle
condizioni di lavoro degli immigrati è stato determinante.
… e belli!
Quanto gli immigrati del dopoguerra fossero
belli nel senso comune del termine è difficile da stabilire, ma non c’è dubbio
che quei giovani esprimevano una bellezza interiore particolare, che si
manifestava in mille forme, per esempio cantando o mostrando una certa spavalderia,
ma soprattutto con il coraggio nell’affrontare ogni tipo di difficoltà, la
lotta per la realizzazione di un sogno, la voglia di andare avanti, la gioia di
vivere nonostante tutto, ecc.
L’allegria di molti giovani immigrati fu
contagiosa anche nel campo femminile svizzero. Il desiderio di nuovi contatti
spinse molti italiani a rompere la cerchia dei connazionali e, superando l’ostacolo
della comunicazione dovuto alle note difficoltà linguistiche, a tentare l’approccio
con le giovani svizzere. Riuscì spesso, anche perché molte di esse,
indifferenti alle paure dell’inforestierimento, non lo erano al carattere
estroverso e allegro degli italiani, subendone il fascino.
Matrimoni e divorzi
Man mano che l’immigrazione si stabilizzava,
cresceva tra gli italiani la propensione al matrimonio, con qualche
particolarità che merita di essere rilevata. Poiché fino ai primi anni
Cinquanta le donne italiane erano più numerose dei coetanei maschi (nel 1950: 77.423
contro 62.857), questi sposavano soprattutto concittadine, mentre un numero
cospicuo di italiane sposava cittadini svizzeri (negli anni Cinquanta con una
media di circa 1150 l’anno). Quando invece negli anni Sessanta i maschi divennero
prevalenti rispetto alle connazionali (217.428 contro 128.795) fu inevitabile
che molti italiani volgessero lo sguardo anche alle giovani indigene.
Comunque, dagli anni Sessanta i matrimoni tra
italiane/i e svizzeri/e divennero sempre più numerosi e all’inizio degli anni
Settanta i matrimoni misti cominciarono a prevalere (51,3%). Anche a causa
della diversa proporzione tra maschi e femmine, fino al 1961 prevalsero i
matrimoni tra svizzeri e donne italiane (nel 1960: 1041, contro soli 764 tra
italiani e svizzere), dal 1962, invece, furono sempre più numerosi i matrimoni
tra italiani e svizzere (nel 1970: 1326, contro appena 524 tra svizzeri e
italiane). Occorre tuttavia aggiungere che molti di questi matrimoni, talvolta
dopo soli pochi anni, si conclusero con un divorzio.
Da questi matrimoni con almeno un coniuge
italiano nacquero molti figli, in numero proporzionalmente superiore a quello
dei nati da connazionali svizzeri. Dalla seconda metà degli anni Sessanta la
seconda generazione verrà sempre più alla ribalta e sarà essa, anche se
indirettamente, a far cambiare (lentamente) la politica immigratoria svizzera.
Dovrà tuttavia passare ancora molto tempo prima che diventi protagonista. (Segue)
Giovanni
LonguBerna, 10.07.2019