22 gennaio 2014

Reintrodurre i contingenti? Inutile e dannoso!


L’iniziativa popolare «Contro l’immigrazione di massa», lanciata dall’Unione democratica di centro (UDC) nel 2011 e sulla quale deciderà il popolo svizzero il prossimo 9 febbraio, vorrebbe che si fissassero annualmente i «contingenti» massimi degli ingressi globali in Svizzera, applicabili a tutte le categorie di stranieri. Verosimilmente sarà respinta dalla maggioranza del popolo e dei Cantoni, ma questa ennesima votazione riguardante l’immigrazione dovrebbe suggerire a tutti una più attenta riflessione sul tema degli stranieri e sui rischi sempre attuali del populismo e del razzismo.
Non credo che in Svizzera ci sia persona seria che propugni una politica delle porte completamente aperte e incustodite all'immigrazione, ma non credo nemmeno che ci siano persone che sognino una Svizzera rinchiusa in sé stessa, autarchica, con le frontiere ermeticamente chiuse come in tempo di guerra. Tra questi due estremi l’opinione pubblica è divisa, ma non in parti uguali.

Maggioranza contraria ai contingenti
Secondo i sondaggi più recenti, la maggioranza degli svizzeri non vorrebbe che si reintroducesse il contingentamento delle entrate di nuovi stranieri, ma nemmeno che si praticasse una politica troppo liberale degli ingressi. Una minoranza, invece, sempre secondo i sondaggi, vorrebbe una pura e semplice limitazione dell’immigrazione, introducendo contingenti e selezionando gli immigrati «in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli svizzeri».
Sono convinto che il popolo svizzero respingerà come in passato questo ennesimo tentativo di limitare l’immigrazione essenzialmente in base a tabelle e calcoli (non solo aritmetici!). Dovrebbe tuttavia far riflettere il fatto stesso che il tema sia nuovamente messo in votazione come negli anni ’70 del secolo scorso, con espressioni divenute nel frattempo obsolete come «immigrazione di massa», «invasione di stranieri», «preferenza agli svizzeri» e simili.
A chi conosce anche solo sommariamente la storia dell’immigrazione in questo Paese non può sfuggire che la reintroduzione dei contingenti per limitare gli ingressi, dopo anni di libera circolazione delle persone che hanno giovato e giovano all'economia, alla scienza e al benessere svizzeri, sarebbe inutile e dannosa, sia sul piano interno e sia sul piano internazionale.

Pericolosità dell’iniziativa dell’UDC
Il sistema dei contingenti introdotto dal Consiglio federale negli anni ’60 per limitare l’immigrazione di massa (allora questa espressione era adeguata) non si dimostrò risolutivo e generò non poche difficoltà all'economia e alla società. Reintrodurlo oggi significherebbe anche rievocare un passato poco glorioso della politica migratoria svizzera in cui gli stranieri erano ancora visti soprattutto come numeri da controllare, limitare, autorizzare, contingentare, inserire in quote giuste, necessarie, equilibrate... come se i numeri, da soli, fossero decisivi per risolvere la complessa problematica relativa agli stranieri e all'immigrazione.
E’ anche probabile, anzi quasi certo, che la reintroduzione dei contingenti risulterebbe dannosa per l’economia e per la Svizzera in generale. Dalla libera circolazione la Svizzera ha tratto molti più vantaggi che svantaggi. E’ inoltre inimmaginabile che la Svizzera possa recedere unilateralmente dagli accordi con l’Unione Europea (UE) sulla libera circolazione delle persone, senza subirne alcuna conseguenza. L’UE ha infatti ripetuto più volte che la libera circolazione non è rinegoziabile e che in caso di rottura di un accordo verrebbero «ghigliottinati» anche gli altri, dai quali la Svizzera trae molti benefici.

Migliorare la politica d’integrazione
Pertanto non credo che l’iniziativa dell’UDC avrà successo e spero che la proporzione dei suoi sostenitori resti nei limiti fisiologici di una società complessa in tempi se non di crisi di difficoltà occupazionali (ciò che gli svizzeri temono maggiormente in questo momento è la disoccupazione). In ogni caso questa votazione dovrà far riflettere i responsabili della politica migratoria, perché è un’aspettativa generale che le autorità competenti esercitino un maggior controllo dell’immigrazione e intervengono con maggiore efficacia per evitare, ad esempio, il dumping salariale e sociale.
Mi auguro anche che nella società civile cresca la consapevolezza che i problemi sociali derivanti dalla forte presenza di stranieri si risolvono meglio se la società di accoglimento si dimostra aperta e accogliente nei loro confronti e se gli stranieri si sentono rispettati e accettati non come numeri o come subalterni utili solo economicamente, ma come persone responsabili e desiderose di contribuire a tutti i livelli al benessere comune.
Giovanni Longu
Berna 22.01.2014


Unioni omosessuali in Italia e in Svizzera


Di fronte alla gravità dei problemi sociali che riguardano moltissime persone oggi in Italia, faccio fatica a comprendere come tra le priorità della politica (anche di chi oggi sembra voler dettare le regole del gioco) figuri il tema delle unioni omosessuali.
In realtà, parlando con la gente comune, si ha la netta sensazione che davvero l’argomento non appassioni nessuno, nonostante sia chiaro a tutti (e del resto lo ha evocato anche il Papa) che si tratta di un problema reale, anche se concerne un’esigua minoranza. Sembrerebbe che gli italiani in fondo abbiano già deciso, ideologicamente, che una cosa è il matrimonio religioso, un’altra il matrimonio civile e un’altra ancora le coppie di fatto, ma soprattutto che l’intera questione è essenzialmente di natura privata, nel senso che ognuno decide liberamente della propria forma di vita, da singolo o in coppia, a prescindere dagli aspetti dei diritti e dei doveri connessi a ciascuna forma di unione.
Dibattito fuorviante
Il disinteresse del grande pubblico è dovuto probabilmente anche alla confusione del dibattito in cui si continua a equivocare sulle parole, mettendo sempre a confronto il matrimonio con l’unione civile omosessuale, introducendo nella discussione considerazioni di natura etica e religiosa o aspetti del matrimonio (religioso e civile) come la figliolanza o l’adozione che quasi tutte le legislazioni hanno tenuto separate.
Perché, allora, se ne continua a parlare in numerosi dibattiti politici? La mia risposta è che, trattandosi di un tema almeno apparentemente delicato e controverso, serva a segnare le distanze tra forze politiche non proprio in sintonia su molti altri aspetti della politica e della società. Diversamente una soluzione adeguata sarebbe già stata trovata da tempo, come è avvenuto in gran parte dei Paesi occidentali, senza che abbia provocato crisi di religione o contrasti insanabili.
Credo che per una discussione serena finalizzata alla soluzione dei problemi posti dalle coppie omosessuali andrebbe detto chiaramente fin dall’inizio ciò che s’intende per coppia omosessuale, quali sono i campi in cui si possono far valere i diritti (e i doveri) civili e quali campi devono essere considerati esclusi dalla soluzione proposta.

La soluzione svizzera
La soluzione adottata in Svizzera mi sembra un esempio di chiarezza. La legge che ormai da anni regola l’intera materia non ha provocato finora praticamente alcuna discussione o controversia né sul piano politico né sul piano sociale. Al centro dell’attenzione del legislatore c’era la necessità di regolare giuridicamente interessi legittimi di due persone conviventi soprattutto in campo patrimoniale, ereditario, assistenziale, ed escludendone altri.
Mi preme sottolineare anzitutto la chiarezza della soluzione adottata fin dalla definizione del nuovo «stato civile» della coppia omosessuale che si è fatta registrare come tale: «unione domestica registrata». Al riguardo la legge precisa inoltre che «due persone dello stesso sesso» (senza vincoli di parentela) che hanno deciso di far «registrare ufficialmente la loro unione domestica», «si uniscono in una comunione di vita con diritti e doveri reciproci».

Diritti e doveri
La legge disciplina poi gli effetti dell’unione domestica, a cominciare dall’obbligo reciproco dell’assistenza e del rispetto e proseguendo per il «debito mantenimento dell’unione domestica» («ciascuno secondo le proprie forze»), le decisioni comuni riguardanti l’abitazione, la responsabilità solidale per i debiti contratti in rappresentanza della stessa, il regime patrimoniale (di regola la separazione dei beni, salvo convenzione diversa stipulata per atto pubblico), ecc.
Per quanto riguarda il diritto successorio, il diritto delle assicurazioni sociali, della previdenza professionale e del diritto fiscale, per legge le coppie omosessuali sono equiparate ai coniugi.

Esclusioni
Con altrettanta chiarezza la legge precisa che per le unioni domestiche registrate sono esclusi sia l’adozione e sia il ricorso a metodi della medicina riproduttiva. Su questa materia, indubbiamente la più problematica, il legislatore ha dovuto decidere ispirandosi al bene del bambino. Se infatti la legge ammettesse l’adozione o la filiazione, lo si metterebbe nella situazione sociale eccezionale di avere due madri o due padri.
Poiché in una democrazia la minoranza accetta la decisione ragionata della maggioranza, in Svizzera non si sono avute particolari reazioni alla scelta operata dal legislatore, che ha raggiunto così pienamente l’obiettivo essenziale che si era proposto, ossia quello di eliminare le (vere) discriminazioni e mitigare i pregiudizi.
Perché almeno questi obiettivi non si raggiungono in Italia?

Giovanni Longu
Berna 22.01.2014