02 dicembre 2025

1960: Inaugurazione della MCI di Berna

Nel ventennio 1950-1970 l’immigrazione italiana in Svizzera ebbe un incremento eccezionale, passando dai 140.366 italiani residenti censiti alla fine del 1950 ai 583.855 italiani residenti rilevati alla fine del 1970. È facile immaginare i problemi che questa massa di «stranieri» portava in una terra molto differente da quella lasciata e in parte anche ostile per l’ondata di xenofobia che si sviluppò negli anni Sessanta e Settanta. Si era pensato di far venire dall'Italia manodopera a buon mercato e sono arrivati uomini con le loro aspirazioni e i loro problemi. Le strutture di accoglienza, quelle svizzere come quelle italiane, erano impreparate e insufficienti. Le Missioni cattoliche italiane (MCI) supplirono a questa carenza garantendo a una popolazione crescente e alquanto differenziata di immigrati forme fondamentali di assistenza, non solo in ambito religioso, ma anche personale, familiare (le famiglie erano allora più numerose di quelle di oggi), sociale, culturale e relazionale con gli svizzeri, le istituzioni (svizzere e italiane), i datori di lavoro, i sindacati locali …

L’immigrazione italiana e le Missioni cattoliche

Sede della MCLI di Berna.
Nel 1965, lo scrittore svizzero Max Frisch sintetizzò in una celebre frase, spesso citata nelle narrazioni sull'immigrazione italiana dei primi decenni del secondo dopoguerra («cercavamo braccia, sono arrivati uomini»), la realtà drammatica di molti immigrati in contrasto non solo con la politica immigratoria federale molto restrittiva e la crescente xenofobia, ma anche immersi in una realtà non omogenea e alquanto problematica. Basti pensare alla progressiva «meridionalizzazione» (perché gli immigrati provenivano ormai sempre più dal Meridione d’Italia e creavano talvolta problemi di convivenza con le ondate precedenti provenienti prevalentemente dal Nord).

Questa situazione è stata ampiamente descritta in molti racconti, memorie, narrazioni, film, per cui la si può supporre nota anche ai lettori di questo articolo. Del resto è facilmente immaginabile se si pensa che gran parte di quegli immigrati non aveva strumenti adeguati personali (conoscitivi, linguistici, professionali e relazionali) per affrontarla serenamente e i possibili aiuti esterni (svizzeri e italiani), compreso l’associazionismo, erano estremamente limitati. È invece ancora oggi poco noto e valorizzato il contributo offerto dalle Missioni cattoliche italiane per aiutare quegli immigrati a superare le difficoltà che incontravano in famiglia, sul lavoro, con le istituzioni e nella società. Eppure quel contributo è stato enorme e in molte situazioni particolarmente utile.

Merita pertanto ricordarlo e valorizzarlo anche perché i primi missionari, anche a Berna, dovettero affrontare compiti gravosi in condizioni difficili, alle quali spesso poco si pensa. Molte narrazioni, per esempio, sembrano dimenticare che gli interessi primari degli immigrati erano incentrati sul lavoro, il guadagno e il risparmio, non sulla pratica religiosa e nemmeno sulle possibilità del recupero scolastico, sull'apprendimento della lingua locale per facilitare la comunicazione, sull'informazione riguardante la storia, la cultura e le istituzioni del Paese ospite, sulla formazione professionale degli adulti e sulla scolarizzazione dei figli, ecc.

Molte narrazioni preferiscono ricordare, spesso acriticamente, le disposizioni restrittive svizzere sugli stranieri, il diffondersi di ideologie e comportamenti xenofobi, le presunte discriminazioni degli immigrati a scuola, sul lavoro e nella società, mentre non vengono quasi mai menzionati il diffuso anticlericalismo anche tra gli immigrati, la lacerante contrapposizione fra Colonie libere italiane (CLI) e MCI, la scarsa sindacalizzazione degli italiani nei sindacati svizzeri, ecc.

È in questo ambiente che i missionari seppero inserirsi, in puro spirito di carità evangelica, cercando di alleviare le sofferenze (specialmente psicologiche) di molti immigrati, curando molte ferite, appianando contrasti, offrendo a piene mani assistenza non solo religiosa e morale, ma anche sociale e culturale, promuovendo la crescita personale e collettiva e non da ultimo l’integrazione.

La Missione cattolica italiana di Berna

San Giovanni Battista Scalabrini, «padre dei migranti»
Poiché nel dopoguerra l’economia cresceva a ritmi impressionanti anche a Berna, dove già esisteva una Missione cattolica italiana con spazi e mezzi assai limitati, i missionari scalabriniani decisero di dotarsi di una sede più ampia e più adeguata al servizio che intendevano offrire anche ad altre collettività italiane del Cantone di Berna, specialmente nell'Emmental e nell'Oberland bernese. Nelle motivazioni di uno dei protagonisti, Padre Rino Frigo, c’era anche un esplicito riferimento all'italianità, perché si trattava di «un vero centro italiano: tutti i nostri connazionali vi si potrebbero rivolgere per sicuri consigli ed aiuti e per incontrarsi in un’atmosfera sana e accogliente sotto ogni rapporto».

La nuova sede si dotò presto di una ampia cappella dedicata alla Madonna dei migranti, di un ristorante aperto al pubblico, una sala-teatro, un asilo, una scuola elementare, una scuola di recitazione e di altri locali accoglienti per incontri, nuove associazioni e svariate attività. Per liberare i missionari da mansioni non sacerdotali, ad essi si aggiunse quasi subito un gruppo di suore della congregazione di San Giuseppe di Cuneo e di volontarie e volontari laici che erano di grande aiuto specialmente nella gestione dei locali, nell'organizzazione di incontri, esposizioni, proiezioni di film, partecipazioni a convegni, animazioni di gruppi, ecc. Il 4 settembre 1960 venne inaugurata la nuova sede della MCI con la benedizione del nunzio apostolico mons. Alfredo Pacini e la partecipazione dell'ambasciatore d'Italia Corrado Baldoni, grande sostenitore del progetto a favore degli italiani e di numerosi invitati laici e religiosi

La nuova sede di Berna non fu l’unica a veder la luce negli anni Sessanta. Infatti, se tra il 1947 e il 1949 erano sorte in Svizzera otto missioni (Turgovia, Baden-Wettingen, Aaretal, Winterthur, Sciaffusa, Altdorf, Sion, Romanshorn)  e ventuno negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta ne furono inaugurate ben cinquantatré. Del resto, allora il bisogno era enorme, non solo per il numero dei migranti ma anche la gravità e complessità dei problemi, e i missionari godevano di grande fiducia.

La vita dei missionari e delle missionarie di Berna non doveva essere facile, perché la situazione dell’immigrazione, che la MCI aveva il compito di accompagnare, già negli anni Sessanta cominciò ad appesantirsi col diffondersi della xenofobia. Negli anni Settanta e Ottanta si era ulteriormente aggravata per le misure restrittive imposte dalle autorità scolastiche bernesi all'accesso alla scuola della Missione e a seguito della crisi economica che spingeva molte famiglie a rientrare in Italia. La popolazione che prima gravitava attorno alla Missione si riduceva vistosamente anche in seguito al diffondersi della secolarizzazione della società e della diminuzione della pratica religiosa. Ne risentì inevitabilmente anche il ricambio generazionale tra i missionari e il rientro in Italia di tutte le suore che prima operavano a Berna.

Non fu un disastro perché la Missione cattolica di lingua italiana esiste ancora, si è integrata nella Chiesa locale, continua ad offrire l’attività che le è più consona, l’assistenza religiosa, e rappresenta sempre un richiamo religioso per l’intera popolazione italofona della regione di Berna.

Giovanni Longu
Berna 2 dicembre 2025