Pio XII dovette lottare contro alcuni pericolosi nemici non solo della Chiesa, ma anche dell’Europa cristiana: il nazismo, il fascismo, il nazionalismo, il materialismo, il comunismo, il laicismo, ecc. I suoi successori se li ritrovarono tutti ad eccezione dei primi due spazzati via dalla seconda guerra mondiale. Ad essi si aggiunsero, purtroppo, anche i rischi di una nuova guerra mondiale, non essendo stati scongiurati né dai trattati di pace né dall'inadeguatezza della guerra per risolvere i problemi internazionali, come avevano evidenziato sia Benedetto XV che Pio XI e Pio XII. Il pericolo era addirittura cresciuto perché le grandi potenze disponevano di potenti armi atomiche. Giovanni XXIII, succeduto a Pio XII, si trovò investito di una enorme responsabilità di fronte sia alla Chiesa e sia al mondo, ma seppe reagire con genialità e intraprendenza.
Giovanni XXIII e la difficile eredità
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Giovanni XXIII, «il
«Papa buono», pro- clamato santo nel 2014 da papa Francesco |
Alla morte di Pio
XII (1958), ai cardinali riuniti in conclave per l’elezione del nuovo papa sembrava
impossibile trovare la persona giusta, che non rischiasse di essere messa in
ombra dalla grandezza del predecessore. Pensarono perciò a un «papa di
transizione», Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), già 77enne, in attesa che si profilasse una figura
corrispondente alle esigenze del mondo in rapida trasformazione. Si
sbagliarono, perché il neoeletto, che prese il nome di Giovanni XXIII,
capì subito le vere esigenze della Chiesa e del mondo in quel momento e ne
fornì in pochi anni le risposte magistrali con due encicliche memorabili (Mater
et Magistra e Pacem in Terris) e con l’indizione
del Concilio Vaticano II.
Attraverso le encicliche Giovanni XXIII ha voluto anzitutto
precisare che per la Chiesa il centro focale della società e degli Stati è
l’uomo creato da Dio «a sua immagine e somiglianza», «dotato di intelligenza e
libertà», secondo un ordine «meraviglioso» che tutti dovrebbero rispettare. In
questo universo ordinato, la Chiesa è presente come «madre e maestra di tutte
le genti», perché il suo Fondatore Gesù Cristo le ha affidato il compito «di generare figli, di educarli e
reggerli, guidando con materna provvidenza la vita dei singoli come dei popoli,
la cui grande dignità essa sempre ebbe nel massimo rispetto e tutelò con
sollecitudine».
Centralità della persona umana…
Pertanto, la
Chiesa, secondo Giovanni XXIII, benché abbia innanzi tutto il compito di «santificare
le anime e di renderle partecipi dei beni di ordine soprannaturale», non può trascurare
le «esigenze del vivere quotidiano degli uomini, non solo quanto al
sostentamento ed alle condizioni di vita, ma anche quanto alla prosperità ed
alla civiltà nei suoi molteplici aspetti e secondo le varie epoche». L’uomo è visto
«nella sua concretezza, spirito e materia, intelletto e volontà» ed è invitato
«ad elevare la mente dalle mutevoli condizioni della vita terrestre verso le
altezze della vita eterna».
Coerentemente, Giovanni XXIII
ha dedicato la sua prima enciclica Mater et
magistra (del 15 maggio 1961) non a temi teologici (per i quali aveva
probabilmente già in mente l’indizione di un apposito Concilio), ma ai problemi
sociali dell’uomo moderno, sviluppando temi già trattati dai suoi predecessori,
soprattutto Leone XIII, autore dell’enciclica Rerum novarum,
del 1891. Questa scelta è stata forse motivata anche dalla consapevolezza che, se
non si pone a fondamento delle attività umane (non solo economiche ma anche sociali
e politiche) «la dignità della persona umana», difficilmente si possono
regolare i rapporti interpersonali e internazionali secondo i principi della
«solidarietà umana» e della «fratellanza cristiana».
…e del «bene comune universale»
I principi
applicabili in campo economico e sociale per Giovanni XXIII dovevano essere
validi anche nei rapporti internazionali, alla base dei quali ce ne sono
tuttavia anche altri, in particolare questo: «il conseguimento del bene
comune è l'unica ragione dell'esistenza delle autorità civili» a livello
nazionale e internazionale. Concretamente questo comporta, come si legge nella
seconda enciclica Pacem in terris dell’11
aprile 1963 il riconoscimento che ogni essere umano «è soggetto di diritti e di
doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa
natura […] e perciò universali, inviolabili, inalienabili». Non c’è dubbio che
tra i diritti inalienabili ci sia anche quello di vivere in pace.
Scrivendo questa enciclica Giovanni XXIII aveva in mente il mondo intero e la Chiesa universale, ma non c’è dubbio che i principi enunciati, se applicati, avrebbero costituito una valida deterrenza contro il deteriorarsi della situazione europea durante la guerra fredda e forse anche oggi. Del resto si sa quanto sia stato determinante nel 1962 l’intervento di Giovanni XXIII nella soluzione della crisi dei missili a Cuba, quando si rischiò un conflitto nucleare.
Mentre si stava aprendo il Concilio Vaticano II, sollecitato dal presidente cattolico americano Kennedy, Giovanni XXIII intervenne discretamente ma decisamente con la preghiera per il «bene supremo della pace» e un forte appello a coloro che avevano la responsabilità del mondo, perché «con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angoscioso che da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!». La guerra fu evitata e sia Kennedy che Kruscev gli furono riconoscenti.
Berna 21.08.2024