Si è soliti considerare la Rivoluzione russa del 1917 come se si fosse compiuta interamente in quell’anno. In realtà il vero inizio va anticipato di dodici anni, perché nel gennaio 1905 una massa di oltre centomila persone marciò pacificamente a Pietroburgo verso il Palazzo d’Inverno per chiedere allo zar Nicola II «giustizia e protezione» contro la miseria, l’ignoranza e la prepotenza delle autorità. Non giunsero a destinazione perché l’esercito ebbe ordine di sparare contro la massa inerme. Persero la vita mille persone e duemila furono ferite. Fu quell’eccidio a dare inizio alla rivoluzione, che si diffuse poi in tutta la Russia. Non decretò subito la fine dell’impero russo, ma l’accelerò. Il colpo mortale gli fu assestato nel 1917, quando Lenin prese la guida dei rivoltosi, travolse il regime zarista e impose un governo bolscevico guidato dai Soviet (consigli rivoluzionari composti da operai, contadini e soldati). L’Occidente, Svizzera compresa, cominciò a tremare, temendo che la furia rivoluzionaria travalicasse i confini russi, e cercò di stroncare sul nascere qualsiasi principio di disordine, ribellione o manifestazione non autorizzata. Per evitare infiltrazioni bolsceviche molti Stati e anche la Svizzera introdussero severi controlli alle frontiere, una misura che penalizzò anche l’immigrazione dall'Italia.
Inizio Novecento in fermento
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Le rivendicazioni del 1905 avviarono la rivoluzione russa del 1917. |
La Svizzera non faceva eccezione, anche se i contrasti
raramente sfociavano in scontri e tumulti. La costituzione liberale, la cura
dei buoni rapporti di vicinato con gli Stati confinanti e una politica
industriale e commerciale forte, la rendevano un Paese piuttosto tranquillo,
quasi un’isola di pace in un mare in tempesta. Una delle poche preoccupazioni
delle autorità federali e cantonali era la dipendenza, in alcuni settori, dalla
numerosa popolazione straniera (specialmente tedesca e italiana) che sembrava
creare un pericolo di Überfremdung, di «inforestierimento» (cfr.
articolo del 19 febbraio 2025) non solo demografico ma anche economico e
culturale.
Poiché la convivenza non era senza problemi, le autorità
federali e cantonali divennero sempre più attente agli ingressi (ma senza
poterli impedire o limitare a causa dei numerosi accordi bilaterali con molti
Stati europei) e soprattutto ai fenomeni che avrebbero potuto provocare
disordini, subbugli, scioperi. Erano osservati speciali soprattutto i rifugiati
provenienti da Paesi in cui erano in atto rivoluzioni e forti repressioni perché
spesso trovavano facile accoglienza nei partiti di sinistra. Ciò nonostante, si
sa, poterono entrare ed essere (bene) accolti in Svizzera, rifugiati politici
come Lenin, Trotskij, Angelica Balabanoff e altri.
Riuscirono persino ad organizzare conferenze internazionali (Zimmerwald,
Kiental, ecc.) e a pubblicare materiale di propaganda proibito.
Conseguenze per l’immigrazione dall'Italia
Nel 1917, infatti, la
Confederazione istituì l’Ufficio centrale di polizia degli stranieri,
più noto come Polizia degli stranieri (1909-1998), col
compito di esercitare un sistematico controllo (anche con schedature!) degli
stranieri, ufficialmente per lottare contro l'inforestierimento, in realtà per
il controllo politico e amministrativo della popolazione straniera. Il suo
atteggiamento nei confronti degli immigrati per motivi di lavoro divenne sempre
più restrittivo e da allora si cercò di limitare sistematicamente per via
legislativa e amministrativa la libertà d’insediamento degli stranieri e la
mobilità lavorativa.
Da allora cominciò
a diffondersi in tutti gli strati della popolazione svizzera anche la paura
della «peste rossa», ossia un anticomunismo che indurrà la polizia federale
degli stranieri a seguire con particolare attenzione le principali attività
della sinistra anarchica, comunista e socialista. A numerosi italiani
costerà nei decenni successivi l’espulsione.
L’effetto di tutto ciò sulla popolazione italiana residente
in Svizzera fu notevole: dalle oltre 200 mila unità del 1910 si toccherà nel
1941 il minimo storico di nemmeno 100 mila italiani residenti.
Giovanni Longu
Berna 19.03.2025
Contro l’inforestierimento e
il pericolo “rosso”, un manifesto del 1919 proclamava: «Giù le grinfie! La
Svizzera agli svizzeri».