Oggi, in Svizzera, è normale per quasi tutti i giovani acquisire dopo la scuola obbligatoria una formazione di secondo grado di tipo teorico-generale (maturità liceale) o di tipo tecnico-pratico (formazione professionale). Nel periodo in esame (1970-1990) non era normale nemmeno per gli svizzeri, ma soprattutto per gli stranieri. Erano rari i figli (seconda generazione) di immigrati (prima generazione) che riuscivano a superare la selezione per entrare in un liceo, ma non era facile nemmeno ottenere un buon posto di apprendistato, di quelli cioè che durano 3-4 anni prima di poter conseguire un attestato federale di capacità. L’ostacolo principale era rappresentato dalla conoscenza della lingua del posto, ma ce n’erano anche altri. Poiché con gli anni ad uno ad uno saranno superati tutti, per capirne la dinamica può essere interessante ripercorrerne di seguito le tappe più significative.
Intesa italo-svizzera iniziale
Nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera ci sono stati eventi particolarmente importanti perché ne hanno determinano l’orientamento e avviato i processi per il raggiungimento degli obiettivi mirati. Uno di questi eventi è stato l’Accordo di emigrazione/immigrazione tra l’Italia e la Svizzera del 1964, perché ha consolidato la presenza italiana in questo Paese, ritenendola utile e necessaria, e ha gettato le basi per garantire soprattutto alle giovani generazioni una piena e soddisfacente integrazione.
Nel corso delle prime riunioni della Commissioni mista italo-svizzera, prevista dall'Accordo, vennero precisati meglio gli obiettivi e i mezzi per raggiungerli. Nella sostanza, l’Italia chiedeva per i lavoratori italiani, che allora sfioravano il mezzo milione, lo stesso trattamento riservato ai lavoratori svizzeri per quel che concerneva non solo le condizioni di vita e di lavoro, ma anche le possibilità di promozione professionale e sociale.
Concretamente, il
governo italiano auspicava un mercato del lavoro svizzero più omogeneo, in cui
tutti i lavoratori, svizzeri e italiani, beneficiassero sostanzialmente degli
stessi diritti lavorativi, assicurativi e salariali, della stessa mobilità
geografica e professionale, del diritto al ricongiungimento familiare, del
diritto alla formazione dei giovani e degli adulti. Pur non essendo menzionati
esplicitamente nell'Accordo del 1964, la formazione e il perfezionamento
professionale apparivano chiaramente all'Italia come strumenti fondamentali per
raggiungere i principali obiettivi e quindi da implementare il più presto
possibile.
L’auspicio italiano
era sostanzialmente condiviso dalla controparte svizzera e non poteva essere
altrimenti, perché era anche nell'interesse della Svizzera ridurre i disagi
della collettività straniera più numerosa, eliminare le tensioni tra svizzeri e
stranieri (fonti di paure e pregiudizi su cui facevano leva i movimenti
xenofobi, sempre pronti a lanciare iniziative contro l'inforestierimento e
contro il governo) e, soprattutto, integrare le giovani generazioni.
L’impegno del governo svizzero
Il Presidente della Confederazione N. Celio (al centro) in visita al CISAP sostiene la formazione professionale degli stranieri (1972) |
Che il Consiglio
federale fosse deciso a ridurre le tensioni, a stabilizzare la popolazione
straniera e a favorirne l’integrazione, lo dimostrò fin dai primi anni Settanta
con una serie di interventi finalizzati, per esempio, a risolvere il problema
dei «falsi stagionali» (ossia immigrati che pur avendo un permesso «stagionale»
di fatto lavoravano gran parte dell’anno), a limitare lo statuto stagionale ai
lavoratori che svolgevano attività davvero stagionali, a diminuire il tempo di
attesa per la trasformazione dei permessi stagionali in annuali, a ridurre
gradualmente le limitazioni esistenti per i residenti annuali, a facilitare il
più possibile i ricongiungimenti familiari, a favorire anche ai cittadini
stranieri l’accesso alle abitazioni con pigioni moderate, ad incoraggiare e
sostenere finanziariamente le iniziative private di formazione professionale
degli stranieri adulti e della seconda generazione, ecc.
Un segnale di vicinanza e di
sostegno a queste iniziative lo diede il Presidente della Confederazione Nello
Celio nel 1972 con la visita al CISAP (Centro italo-svizzero di
formazione professionale) di Berna, durante la quale disse, fra l’altro, di essere venuto «per dimostrare innanzitutto la
simpatia del governo di questo Paese per il CISAP e per tutte le iniziative che
tendono a integrare e ad elevare la sorte dei lavoratori, a qualsiasi nazione
appartengano» e «per dimostrare che il governo svizzero vuole seguire con la più viva
attenzione la vita degli stranieri che operano nel nostro Paese, perché se è
vero che noi diamo lavoro, se è vero che noi diamo possibilità di guadagno, è
altrettanto vero che questa gente contribuisce a rafforzare la nostra economia
e ci consente di produrre, e dà di più di quanto noi diamo, cosicché, per
saldo, come si dice in contabilità, sono ancora questi operai, questi
lavoratori stranieri che sono in credito nei confronti del Paese».
Poiché il
raggiungimento dei vari obiettivi, e soprattutto del mercato del lavoro
omogeneo, avrebbe comunque richiesto tempi lunghi e risorse considerevoli, il
Consiglio federale coinvolse giustamente in questa vasta opera di sensibilizzazione
e di integrazione non solo l’amministrazione federale e la Commissione federale
degli stranieri (dal 1970), ma anche i Cantoni, le grandi città, le parti
sociali e altre organizzazioni interessate.
L’impegno del governo italiano
I sottosegretari A. Bemporad (a sin.) e M. Toros all'inaugurazione del centro Cisap di Langenthal (1970) |
Specialmente in questo
campo, poiché in varie località venivano organizzati da associazioni e gruppi
di immigrati corsi di tipo professionale, ma di breve durata, poco strutturati
e poco incisivi, a livello di Ambasciata si cercò fin dal 1970 un loro
coordinamento e un controllo di qualità in modo da garantirne una maggiore
efficacia e un’equa ripartizione delle cospicue somme che il Governo italiano
intendeva destinare alle attività formative.
Una ricca
documentazione su quegli anni testimonia con quanta energia, intelligenza ed
entusiasmo si dedicarono alla soluzione dei vari problemi dell’immigrazione
italiana in Svizzera segretari di Stato come Mario Pedini, Alberto Bemporad, Mario Toros, Luigi Granelli, Franco Foschi,
ambasciatori come Enrico Martino, Adalberto Figarolo di Gropello,
Girolamo Pignatti
Morano di Custoza, ministri consiglieri all’ambasciata
d’Italia a Berna come Ugo Barzini, Tullio Migneco, Mario Sica,
consiglieri d’ambasciata come Mario Alberigo, per citare solo alcuni politici
e alti funzionari degli anni Settanta. Ovviamente, sul terreno, erano i consoli
che sostenevano i progetti, ne controllavano l’avanzamento e spingevano a fare
sempre meglio e di più.
L’opera pionieristica del CISAP
L'ultima sede del CISAP a Berna |
Il CISAP aveva potuto
svilupparsi perché, soprattutto dopo il 1970, aveva deciso di armonizzare
completamente i propri programmi di formazione a quelli ufficiali svizzeri e i
risultati erano apprezzati sia dai diretti interessati che dal mondo delle
imprese svizzere. Questa istituzione, nata italiana e trasformatasi in breve
tempo italo-svizzera, sembrava incarnare l’ideale stesso della collaborazione
internazionale e dell’integrazione socio-professionale degli immigrati e per
questo era considerata non solo una sorta di fiore all'occhiello della
diplomazia italiana, ma anche un’opera prestigiosa per la Confederazione.
Che l’intesa
italo-svizzera e l’impegno comune siano stati fruttuosi lo dimostra il fatto
che tutte le iniziative antistranieri degli anni Settanta sono state ampiamente
respinte, che l’integrazione soprattutto della seconda generazione ha
cominciato a concretizzarsi, che sempre più giovani facevano seguire alla
scuola dell’obbligo una formazione di secondo grado, che nelle grandi Città e
nei Cantoni dove più accentuata era la presenza di italiani si sono costituite fin
dai primi anni Settanta commissioni miste degli stranieri, alcune finalizzate
espressamente alla promozione della formazione professionale dei lavoratori
italiani. Tuttavia, era ancora tanto, come si vedrà nel prossimo articolo, quel
che restava da fare. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 15.12.2021