Le condizioni d’abitazione degli immigrati
(italiani) in Svizzera hanno provocato qui e in Italia molti dibattiti,
alcune volte avviati da specifiche denunce di abusi e violazioni dei
regolamenti, altre volte da presunzioni di abusi, sfruttamento, discriminazione
della manodopera estera. Nella letteratura sull’emigrazione, in generale, è
stata operata un’azione inaccettabile di enfatizzazione degli aspetti più negativi,
per di più generalizzandoli, senza alcun serio tentativo di un’analisi
obiettiva della situazione, senza riferimenti a dati statistici ufficiali e
senza tener conto di descrizioni di segno positivo.
La situazione riguardante le baracche
Anzitutto è fondamentale distinguere le
abitazioni degli stagionali vicino ai cantieri (in prevalenza baracche) dalle
abitazioni dei dimoranti annuali o domiciliati nei centri abitati. I problemi
infatti erano molto diversi. Basti pensare che le baracche erano ritenute per
loro natura provvisorie, quindi destinate ad essere demolite o smontate e
portate eventualmente altrove una volta chiuso il cantiere, mentre le
abitazioni dei centri abitati erano in muratura e quindi stabili.
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Il sogno di molti immigrati degli anni '50-70 del secolo scorso |
Nella concezione delle baracche al primo posto
veniva la funzionalità, non il confort. Esse dovevano soddisfare i bisogni
essenziali dei lavoratori per un periodo ritenuto sempre limitato ed era
certamente nell’interesse del datore di lavoro offrire ai propri dipendenti
condizioni abitative dignitose e soddisfacenti, anche per evitare lamentale,
reclami e ispezioni degli ispettorati del lavoro. Era inoltre impensabile che
gli alloggi degli stagionali si trovassero troppo distanti dai cantieri e dai
luoghi di lavoro, per cui era inevitabile che soprattutto gli stagionali
addetti all’edilizia e al genio civile alloggiassero in baracche, come del
resto avveniva in tutti i Paesi europei d’immigrazione.
Non va neppure sottovalutato il fatto che le
baracche offrivano anche notevoli vantaggi agli utilizzatori. Per esempio,
essendo vicine ai cantieri, facevano risparmiare tempo e denaro per recarsi al
lavoro. Inoltre, esse erano relativamente a buon mercato, rispetto agli affitti
di un appartamentino proprio. Un immigrato italiano raccontava, presumibilmente
agli inizi degli anni ’70, che la stanza in cui erano sistemati 5 letti era
abbastanza grossa e pagava, vitto e alloggio, 300 franchi al mese; ne
guadagnava 7.70 l’ora.
Baracche e confort
Il confort delle baracche del dopoguerra era sicuramente
superiore a quello d’inizio secolo, soprattutto riguardo alle condizioni
igieniche, alla disponibilità di servizi sanitari, al riscaldamento. E’ probabile
tuttavia che gli alloggi dei primi immigrati ne fossero ancora carenti. La «qualità»
delle abitazioni degli stagionali cominciò a migliorare con l’entrata in vigore
(15 luglio 1948) del primo Accordo d’immigrazione tra la Svizzera e l’Italia.
Infatti le richieste di lavoratori italiani, inoltrate ai Consolati e alla Legazione
d’Italia in Berna (elevata nel 1953 al rango di Ambasciata) dovevano contenere
«indicazioni precise sulla natura dell’impiego, il genere e la qualificazione
della mano d’opera desiderata, le condizioni di lavoro, di retribuzione, di
alloggio e di sussistenza» (art. 6). Dunque, tanto la Legazione quanto i
diretti interessati potevano conoscere in anticipo le condizioni d’abitazione.
Una volta sul posto, se i connazionali
trovavano la baracca o altro tipo di alloggio non idoneo, avrebbero potuto
reclamare tramite il Consolato, il Sindacato o il Patronato, ma raramente lo
fecero per paura, per mancanza di sostegno o per ignoranza. In generale,
tuttavia, la stragrande maggioranza non aveva motivo di lamentarsi sia perché
l’alloggio era quello previsto nel contratto di lavoro e sia perché le alternative
erano quasi inesistenti. Chi, per esempio, avrebbe potuto trovare sul mercato
delle abitazioni un alloggio più idoneo e a costi sostenibili? Del resto la
maggioranza delle baracche non presentava particolari criticità.
Alcune testimonianze
Scriveva, per esempio, il giornalista Vasco
Fraccanelli sul quotidiano socialista Libera Stampa nel 1951
sulle baracche del cantiere della Maggia, nel Ticino: «Sopra un pianoro […] è
stato costruito un paesino di baracche. Ma intendiamoci, baracche in ordine col
pianterreno rialzato in sasso e il piano di sopra in legno ben immaschiato,
tanto che da una tavola all'altra non passa il ben che minimo filo d'aria. Lucide
e pulitissime, sia all'interno sia all'esterno. Le finestre sono ampie e munite
da gelosie, così queste casette ti sembrano più dei veri e propri «chalets»,
piuttosto che delle baracche…».
Dieci anni più tardi, nel 1961, un
altro cronista, del Corriere del Ticino, in un servizio sul cantiere
della Verzasca, scriveva fra l’altro a riguardo delle baracche che ospitavano
al momento 250 persone: «Più che baracche, dovrebbero essere definite casette. […]
Servizi igienici e logistici all'insegna della perfezione. Né vien trascurata
quella parte di sana ricreazione (un po' di musica, un po' di televisione,
tanta radio, lettura, ecc. ecc.) così che si è costruita una baracca
appositamente per tale scopo. […] Un bar e un vasto vano sono a disposizione
degli operai che, nelle ore libere, frequentano con piacere questo locale, ove
c'è di che rallegrare lo spirito, ove mentre tra una discussione e un'altra, si
trova il tempo di scrivere a casa.».
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L'«Hotel Ritz» della Grande Dixence (1951-1961)...ristrutturato |
Per la costruzione della più grande diga della
Svizzera, la Grande Dixence (1951-1961), furono predisposte baracche e un
grande edificio chiamato allora «Hotel Ritz», che lo scrittore Maurice
Zermatten descrisse così: «una costruzione ultramoderna, in alluminio, [che
ha ospitato anche più di 1000 operai …] comprende un ristorante, una sala di
proiezione per 400 persone, una ricca biblioteca con libri in tedesco, francese
e italiano; sale di lettura e di giochi…».
Anche le baracche principali, quelle a valle,
del cantiere di Mattmark erano di buona fattura, come ha confermato in più
occasioni uno dei sopravvissuti alla disgrazia del 30 agosto 1965, Ilario
Bagnariol. Le baracche a valle, dove dormivano e trascorrevano il tempo
libero gli operai, disponevano di acqua fredda e acqua calda, servizi igienici,
docce, riscaldamento e quanto serviva agli operai durante il tempo libero. Gli
alloggi non solo dei dirigenti ma anche quelli delle maestranze erano secondo
lui eccellenti, meglio di tanti alberghi. Purtroppo sulla sicurezza di alcune baracche
del cantiere situate in prossimità della diga in costruzione non fu fatto
abbastanza, diversamente la disgrazia si sarebbe potuta evitare.
Alloggi in città: rari e costosi
La situazione delle abitazioni nelle città era
più complessa a causa della penuria di abitazioni, anche per gli svizzeri, ma
soprattutto per gli stranieri. Era quasi impossibile, per uno straniero, trovare
subito un appartamento a causa dei costi elevati, oltre che per il diffuso
clima antistranieri degli anni ’60 e ’70.
Quando nel 1957 l’Unione Sindacale Svizzera
(USS) avanzava la prima richiesta di riduzione del numero degli stranieri, uno
degli obiettivi era di non aggravare la penuria degli alloggi e frenare
l’evoluzione dei salari (inflazione). Per le stesse ragioni nel 1965 presentò
un progetto di legge per ridurre gli stranieri a 500 mila e al 10% della
popolazione residente.
Quanto alle critiche dell’on. Giuseppe Pellegrino
(PCI) del 1963 (cfr. articolo precedente dell’11.10.2017), nella stessa seduta della Camera
dei Deputati l’on. Giuseppe Lupis (PSDI), pur riconoscendo la gravità
del problema, osservava che alla difficoltà oggettiva di trovare in Svizzera un
alloggio più confortevole e al tempo stesso economico si aggiungeva in molti
emigrati un «profondo senso del risparmio», che li spingeva a non cercare
nemmeno un’altra sistemazione, essendo «l’elemento predominante per i nostri lavoratori […] il desiderio di accantonare, di risparmiare il più possibile per sé e per la propria famiglia, in
vista di un ritorno in patria e dell'acquisto di una casa
nel proprio paese o città».
Credo che queste parole dell’on. Lupis
spieghino in buona parte fenomeni come quelli delle misere condizioni d’alloggio
di molti immigrati italiani nei primi decenni del dopoguerra. Tutto il
risparmio era finalizzato a mettere insieme un gruzzolo da impiegare al ritorno
in Italia. Pertanto era logico risparmiare anche sulle spese d’abitazione. Il
ricercatore Lucio Boscardin ha calcolato per il periodo 1946-1959, un tasso di risparmio (tra
vitto, alloggio, imposte, assicurazioni, ecc.) tra il 53 e il 63% delle entrate
lorde.
Situazione critica dalla metà degli anni ‘60
In base ai dati del censimento della popolazione
del 1960, l'Ufficio federale di statistica (UST) affermava che, nel
complesso, le condizioni abitative delle famiglie straniere erano simili a
quelle delle famiglie svizzere, ma variavano secondo i gruppi nazionali. Per
esempio, le famiglie francesi, tedesche e austriache che disponevano di un
bagno erano più numerose di quelle svizzere; per quelle italiane era il
contrario. Mentre il 64% delle abitazioni degli svizzeri erano dotate di bagno,
la percentuale di quelle degli italiani era solo del 36,9% (media 54,1% per
l'insieme delle famiglie straniere).
Anche la grandezza dell’abitazione differiva
secondo il gruppo nazionale. Riguardo alle abitazioni di grandezza media, austriaci
e italiani ne disponevano in una proporzione più elevata che nei loro Paesi
d’origine, mentre per i tedeschi era il contrario. Per quanto riguarda le
abitazioni grandi, solo gli italiani ne disponevano meno che al loro Paese
(spiegazione: le loro economie domestiche in Svizzera erano costituite in
maggioranza da giovani). Nel complesso, austriaci, tedeschi e italiani disponevano
in Svizzera di abitazioni meglio equipaggiate (bagno, doccia, riscaldamento,
acqua corrente) che nei loro Paesi d'origine.
Le considerazioni dell’UST si riferiscono al
1960, quando gli inquilini erano soprattutto immigrati provenienti dal Nord
Italia. In seguito, tuttavia, la situazione abitativa degli italiani, andata
via via migliorando riguardo alle baracche, ha incontrato nuove difficoltà per
quel che riguarda gli alloggi in città, in seguito all’immigrazione di massa prevalentemente
dal Sud, ai ricongiungimenti familiari, resi più facili dopo l’Accordo
italo-svizzero di emigrazione del 1964, e soprattutto all’accresciuta paura
dell’«inforestierimento». Solo negli anni ’80 e ’90 si registrerà un sostanziale
miglioramento, ma alcune differenze resteranno a lungo. Per esempio, gli
italiani continuano ad abitare in appartamenti a pigione medio-bassa e sono
relativamente pochi i proprietari della propria abitazione.
Giovanni Longu
Berna, 18.10.2017
Berna, 18.10.2017