Riprende con questo articolo la narrazione sintetica
dell’immigrazione italiana in Svizzera. Dopo aver trattato lo scorso anno i
primi decenni dal secondo dopoguerra al 1970, che hanno avuto quali protagonisti
principali la prima generazione di immigrati e la polizia degli stranieri
incaricata del loro controllo, in questa serie sarà analizzata la situazione
degli italiani nel periodo 1970-1990. I protagonisti sono in buona parte
diversi perché al centro dell’attenzione delle autorità svizzere risultano
soprattutto la seconda generazione di stranieri e la politica, che cerca
soluzioni utili ed efficaci ai molteplici problemi degli stranieri. Dal 1970
l’immigrazione tende ad essere sempre meno un problema di ordine pubblico e
sempre più un problema di politica d’integrazione sociale, professionale e
culturale degli stranieri. Ripercorrendo a brevi tappe questo periodo si
vorrebbe contribuire al rafforzamento dell’identità delle giovani generazioni
con un’origine migratoria.
Importanza della memoria storica
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Anche dopo il 1970 molti italiani emigrarono in Svizzera. |
Il tema della memoria storica sembra di grande attualità. Si
moltiplicano infatti gli studi scientifici, le ricerche, gli approfondimenti, i
romanzi, alcuni di successo, ambientati in epoche di un passato ancora vicino,
alla ricerca non so bene di quali risposte a quali domande. In ogni caso non mi
sembra che ci sia tanta voglia d’imparare soprattutto dagli errori del passato.
Nessuno in fondo crede più che la storia sia «maestra di vita» o «luce della
verità» come sembrava credere il grande oratore romano Cicerone.
Questo dubbio concerne anche la ricerca storica
sull’emigrazione italiana. Se ne parla e se ne scrive spesso con rabbia,
talvolta interpretandola secondo categorie improprie di bene, male, solidarietà,
odio, sfruttamento. Raramente si trovano saggi che registrano quel che è stato
e gli stati d’animo dei protagonisti e non s’incontra quasi mai lo spirito del
tempo che sempre aleggia sui grandi eventi umani. Più che un esercizio di senso
critico e di ricerca della verità alcune ricerche recenti sembrano critiche e
basta, una sorta di vendetta postuma contro personaggi, politici e
imprenditori, che agivano in fondo spinti dalle circostanze e non
necessariamente da sentimenti perfidi.
In questa nuova serie di articoli si cercherà di ricostruire
un ventennio di storia, per molti ancora recente, cercando di cogliere negli
avvenimenti, nella politica e nella trasformazione dell’immigrazione italiana
in Svizzera lo spirito del tempo che ha prodotto quel movimento dando vita alle
nuove generazioni di italiani in Svizzera, di italo-svizzeri e di svizzeri di
oggi.
Ricordare è utile, ma non per tutti
Ripercorrendo quegli anni, senza animosità e pregiudizi (sine
ira et studio, suggeriva lo storico romano Tacito), si vorrebbe dare
un contributo non solo alla ricostruzione oggettiva e pacata di eventi
fondamentali per l’immigrazione italiana in Svizzera, ma anche, almeno per
molti, alla ricerca delle proprie radici e al rafforzamento della propria
identità. Non si può infatti comprendere l’attualità senza conoscere la storia
e sé stessi senza la consapevolezza delle proprie radici.
Diventa un dramma, nelle persone care, costatare la perdita
della memoria in un famigliare, perché è come se, di riflesso, anche la propria
identità ne soffrisse. Paradossalmente non sembra rappresentare un problema per
molti giovani di seconda e terza generazione non avere nozioni certe sulle
proprie origini migratorie. Anche per essi, tuttavia, ripercorrere a grandi
linee il ventennio 1970-1990 può contribuire al rafforzamento della propria
identità.
Non mi sembra, invece, che la storia dell’emigrazione
italiana sia ritenuta utile in politica, tant’è che, nonostante la ripresa dei
flussi emigratori con grandi numeri, non risulta in Italia una diffusa
consapevolezza della «sciagura nazionale» che rappresenta l’emigrazione forzata
(T. Bertelè, Quaderni di affari internazionali, 1946). Anzi, sembra
crescere, nella politica e nella società, l’opinione deleteria che la sciagura
nazionale sia l’immigrazione di quelle poche migliaia di naufraghi raccolti in
mare mentre tentavano di arrivare in Italia.
1970, uno spartiacque simbolico
Il 1970 è ricordato, nella storia dell’immigrazione italiana
in Svizzera, specialmente per la votazione sull’iniziativa antistranieri
promossa da J. Schwarzenbach. Infatti quella votazione avrebbe potuto
cambiare radicalmente non solo la vita di moltissimi immigrati (italiani), ma
anche la storia soprattutto economica e sociale della Svizzera. Personalmente
preferisco considerare il 1970 una sorta di spartiacque simbolico, tra le due
principali fasi dell’immigrazione italiana in Svizzera dalla fine della seconda
guerra mondiale ad oggi.
L’iniziativa Schwarzenbach, mirava a limitare l’immigrazione
fissando le proporzioni massime di stranieri nei vari Cantoni. Non si giunse a
tanto perché il popolo svizzero e la maggioranza dei Cantoni respinsero quella
che avrebbe potuto essere una vera e propria «sciagura nazionale». La riduzione
forzata degli stranieri avrebbe infatti comportato, quasi certamente, conseguenze
nefaste per l’economia, per la società e per l’immagine della Svizzera nel
mondo. Tuttavia, quella votazione, con gli annessi e connessi, determinò di
fatto la rottura del tradizionale flusso di immigrati dall’Italia, che di lì a
qualche anno avrebbe generato un saldo immigratorio negativo.
Ciò che nelle narrazioni di quel periodo quasi mai risulta
messo in evidenza è che proprio in quegli anni venne avviato un radicale
cambiamento nella politica immigratoria svizzera e nella collettività immigrata
italiana iniziò un percorso virtuoso, anche se inizialmente molto difficile e
ostacolato, che culminerà negli anni Novanta e soprattutto dopo il 2000 in un
alto livello d’integrazione degli italiani. L’italianità diventerà una
componente essenziale, rafforzata e diffusa della cultura e della società
svizzera.
Per alcuni anni ancora continuarono ad arrivare dall’Italia
numerosi immigrati perché il settore secondario, dov’erano soprattutto attivi,
tirava ancora molto bene e generava molti profitti. Ma sempre più, grazie al
miglioramento dell’integrazione scolastica e professionale della seconda
generazione, gli italiani cominciarono a diversificare le loro attività
economiche, entrando massicciamente nel settore dei servizi. Contemporaneamente
miglioravano anche la loro posizione professionale e il loro tenore di vita.
L’integrazione fu un processo lungo, ma inarrestabile. E’
stata una storia straordinaria che merita di essere meglio conosciuta non solo
dal punto di vista dell’impegno delle autorità federali, ma anche dal punto di
vista degli italiani che credettero nell’efficacia dell’integrazione e
contribuirono al superamento del modello precedente dell’«assimilazione»,
reclamando e conquistando pari opportunità e parità di diritti.

Non si può dimenticare in questo contesto il sostegno
ricevuto dalle autorità politiche italiane e dalle rappresentanze diplomatiche
e consolari. Negli anni Settanta e Ottanta furono ben più numerose che in
passato le visite in Svizzera di deputati, senatori, sottosegretari, ministri e
persino di due capi di Stato, Pertini (1981) e Cossiga (1985). I rapporti
italo-svizzeri erano buoni e sempre più intensi, nonostante alcune difficoltà
presentatesi negli anni Settanta
Rapporti italo-svizzeri
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Nello Celio |
A rafforzare i buoni rapporti tra la Svizzera e l’Italia
provvidero anzitutto i ministri degli esteri dei due Stati Pierre Aubert e Arnaldo
Forlani nel corso di una visita a Roma nel luglio del 1978. Per la Svizzera, tenne a sottolineare Pierre Aubert,
«l’Italia non è solo un Paese confinante e un importante partner commerciale,
ma anche un prezioso partner politico». Del resto, aggiunse, «la Svizzera non
sarebbe quella che è senza il contributo degli italiani».
Non meno esplicito era stato nel 1972 il presidente della
Confederazione Nello Celio, in
occasione dell’inaugurazione di un moderno laboratorio linguistico destinato
all’apprendimento delle lingue da parte di lavoratori immigrati nei locali del
CISAP (Centro italo-svizzero di formazione professionale). Tirando una specie
di bilancio della presenza degli italiani in Svizzera aveva affermato che «se è
vero che noi diamo lavoro [agli stranieri], se è vero che noi diamo loro possibilità
di guadagno, è altrettanto vero che questa gente contribuisce a rafforzare la
nostra economia e ci consente di produrre, e dà di più di quanto noi diamo,
cosicché, per saldo, come si dice in contabilità, sono ancora questi operai,
questi lavoratori stranieri che sono in credito nei confronti del Paese».
Già questi cenni, credo, lasciano intravedere quanto siano
stati importanti i decenni presi in considerazione in questa serie di articoli
e quanto possa essere utile conoscerli più da vicino soprattutto dalle nuove
generazioni di origine migratoria. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 22.01.2020
Berna, 22.01.2020