06 giugno 2013

Carla Zuppetti e l’opera incompiuta



Mercoledì scorso 5 giugno 2013, nel corso di una commovente cerimonia religiosa nella chiesa della Missione Cattolica Italiana di Berna, una folta rappresentanza delle istituzioni italiane in Svizzera e numerosi rappresentanti svizzeri hanno reso l’estremo saluto a Carla Zuppetti, deceduta inaspettatamente il 1° giugno 2013. Da meno di un anno era Ambasciatrice d'Italia in Svizzera e nel Liechtenstein.


La conoscevo appena, ma dal primo incontro avuto con lei all'inizio del suo mandato, mi era sembrata buona conoscitrice dei problemi bilaterali Italia-Svizzera, consapevole delle difficoltà e ciononostante ottimista e determinata.
Sono convinto che se la morte non l’avesse stroncata improvvisamente, avrebbe avviato a soluzione almeno alcuni dei problemi più seri delle relazioni italo-svizzere. Non le è riuscito e toccherà al suo successore, speriamo presto, continuare il lavoro da lei appena cominciato e ricercare le soluzioni più idonee non solo alle questioni riguardanti la fiscalità e il frontalierato, ma anche a quelle concernenti la politica linguistica e culturale degli italiani residenti in Svizzera, l’ammodernamento dei servizi consolari, i rapporti della collettività italiana con gli organismi di rappresentanza, ecc.
Sincere condoglianze alla famiglia Zuppetti (gl)

05 giugno 2013

Frontalieri italiani nuovamente alla ribalta


Su queste colonne ho manifestato più volte la mia difficoltà a comprendere il ritardo da parte italiana nella ripresa del negoziato con la Svizzera per trovare finalmente soluzioni soddisfacenti sia sul tema dell’evasione fiscale del passato (modello Rubik) e sia sul tema dei frontalieri. Per provocare almeno la volontà di una ripresa, nel 2011 i ticinesi avevano bloccato una parte dei ristorni dell’imposta alla fonte prelevata ai frontalieri. Ora sono nuovamente tentati di fare altrettanto, visto che finora nulla di significativo è avvenuto nel frattempo.
Sembrerebbe che l’Italia, che pure non si muove in acque tranquille, almeno economicamente, non abbia alcun interesse né ai soldi svizzeri che potrebbe incassare accettando, magari con opportuni ritocchi, il modello Rubik, né a ripristinare i buoni rapporti col Ticino ridiscutendo lo stato dei rapporti bilaterali soprattutto in materia di frontalierato.

Accuse ticinesi
Leggendo la stampa ticinese, si resta alquanto impressionati dalle accuse (evidentemente tutte da provare e documentare) che vengono mosse all'Italia. Ne cito solo alcune giusto per rendere l’idea: L’Italia continua a considerare la Svizzera un paradiso fiscale e pertanto continua a inserirla nelle cosiddette black list, che comportano notevoli difficoltà alle imprese svizzere; la reciprocità nell'applicazione degli accordi bilaterali non aziende ticinesi sono discriminate nei concorsi pubblici; nel Ticino, invece, arrivano quotidianamente «lavoratori distaccati» e «padroncini» sfruttando i vantaggi degli accordi con l’Unione Europea e sconvolgendo il mercato del lavoro locale; i ristorni all'Italia non vanno a finire direttamente nelle casse dei Comuni di frontiera; l’Italia non dà alcuna garanzia sulla realizzazione della ferrovia Mendrisio-Varese/Malpensa nella tratta fra Stabio (Ticino) e Arcisate (Varese), nonostante i reciproci accordi internazionali di terminare l’opera nei tempi previsti (2014); ecc. ecc.
esiste o è tutta a favore dell’Italia; di fatto le
Di fronte a queste e ad altre simili accuse non si tratta di dare ragione all'una o all'altra parte, ma di riavviare urgentemente il dialogo per trovare le soluzioni appropriate e giuste. Da parte sua il Consiglio di Stato (governo) ticinese prenderà posizione ufficiale solo in settembre, dopo aver esaminato nel dettaglio la situazione. E da parte italiana, quando arriverà una presa di posizione? Si attendono forse nuovamente le dure reazioni del Ticino?
Al riguardo alcune dichiarazioni di membri autorevoli del governo ticinese non lasciano dubbi: dopo l’accurato esame della situazione durante l’estate, il Consiglio di Stato (governo) ticinese intende intervenire con decisione presso il Consiglio federale perché intervenga con fermezza sul governo italiano. Secondo Norman Gobbi (Lega dei Ticinesi), «Noi abbiamo più frontalieri di tutta la Svizzera tedesca, ma Berna non se ne accorge, lo dimentica. (…) Noi l’ascia di guerra non l’abbiamo messa via e sottolineo che questa non è una tematica partitica, qui non c’è destra o sinistra, ma tra Svizzera e Italia vi sono due sistemi economici diversi, per certi versi incompatibili. A fronte di un sistema liberale ticinese e svizzero, dall'altra parte ce n’è uno corporativo e medievale (…)».

Attenzione alle conseguenze
In questo clima di attesa e di diffidenza, è emerso purtroppo che quella che sembrava una ghiotta opportunità per il futuro delle aziende ticinesi, l’Expo 2015 di Milano, rischia di diventare un evento fieristico e basta. Solo il 13% delle imprese ticinesi pensa di parteciparvi, molte sono ancora incerte. Se questa sorta di boicottaggio avvenisse sarebbe un brutto segnale non solo per i rapporti tra la Lombardia e il Ticino, ma anche fra l’Italia e la Svizzera.
Non va infatti dimenticato che proprio la Svizzera è stata il primo Paese invitato ufficialmente a partecipare all'Expo 2015 e il suo padiglione figurerà accanto a quello italiano. Nelle intenzioni degli organizzatori si pensava al rafforzamento delle relazioni bilaterali italo-svizzere e al coinvolgimento del Ticino per un’azione promozionale per le imprese ticinesi e svizzere nel settore dell’alimentazione con ricadute importanti sul lungo periodo.
Come mai le imprese ticinesi, contro il loro stesso interesse, sembrano mostrare scarso interesse all’Expo? Da un recente studio sembrerebbe la conseguenza oltre che di una scarsa informazione, anche di insufficienti garanzie e troppa burocrazia. Ma a pesare sull'incertezza di molte aziende a partecipare è difficile non vedere anche il clima generale che si respira negli ambienti imprenditoriali ticinesi di fronte agli ostacoli che incontrano ogniqualvolta cercano di penetrare nel mercato italiano.
Per questo e per mille altre ragioni, è auspicabile che i rapporti bilaterali si rafforzino e si sviluppino in un clima di reciproco rispetto, non dimenticando mai, da una parte e dall'altra, che in Svizzera vivono e lavorano più di mezzo milione di italiani, che hanno tutto l’interesse a guardare con serenità e affetto a entrambe le patrie.

Giovanni Longu
Berna, 5 giugno 2013

Svizzera: esempio di democrazia diretta


In Italia, con l’avvento di Grillo e del Movimento 5 Stelle, si è avviata un’interessante discussione sulla democrazia diretta, per poi disperderla sulla controversia circa la validità e l’utilità della «rete». In pratica, si è cercato inizialmente di far coincidere la prima con l’espressione sempre più ampia attraverso la rete informatica per poi affermare che la comunicazione in rete non è facilmente intelligibile, anzi è contraddittoria, molto volatile e manipolabile. Alcuni personaggi sono stati in brevissimo tempo esaltati ed esecrati dalla stessa rete. Evidentemente la democrazia diretta è ben altra cosa, anche se la rete è sicuramente un potente mezzo d’informazione e di formazione dell’opinione pubblica soprattutto giovanile.

L’ultima parola al popolo
Un esempio di democrazia diretta è rappresentato dalla Svizzera che proprio fra pochi giorni, il 9 giugno, chiamerà nuovamente alle urne i propri cittadini per votare su una serie di questioni d’importanza nazionale, cantonale e comunale. Gli svizzeri lo fanno talmente sovente che all'estero, anche in Italia, molti stentano a capirne il perché. Eppure la risposta è semplice: gli svizzeri amano la democrazia diretta, ossia la partecipazione del popolo come ultima istanza alla presa di decisioni importanti per il Paese, a prescindere dal tasso di partecipazione effettiva. Recarsi tre-quattro volte l’anno a votare su questioni federali, cantonali e comunali, anche se non sempre di primaria importanza per il Paese, per gli svizzeri è un diritto sacrosanto, costituzionale e inalienabile, al quale nemmeno coloro che non lo esercitano sono disposti a rinunciare.
Data la frequenza, per taluni eccessiva, delle votazioni (in aggiunta alle elezioni), la partecipazione è spesso al di sotto del 50 per cento degli aventi diritto di voto. Al riguardo va tuttavia osservato che quando si tratta di decisioni importanti e molto controverse la partecipazione solitamente aumenta. Quando invece l’esito della votazione (sotto l’influsso dei sondaggi) appare scontato, generalmente la partecipazione scende. Altre volte, nel caso di modifiche costituzionali, anche una bassa partecipazione è compensata dalla doppia maggioranza del popolo e dei Cantoni richiesta per questo tipo di oggetti.

Astensionismo e fiducia nelle istituzioni
Il fenomeno dell’astensionismo, a differenza di quel che rappresenta in Italia, pur essendo denunciato da più parti, non appare preoccupante, a mio modo di vedere soprattutto per due ragioni. Anzitutto perché nei casi in cui è in votazione ritenuto «molto importante» dall’opinione pubblica, l’elettorato si mobilita e partecipa più numeroso. Inoltre perché i cittadini svizzeri sono consapevoli di essere generalmente ben governati e di vivere in un sistema politico e istituzionale generale equilibrato e stabile. La fiducia nelle istituzioni in Svizzera è sempre molto alta, soprattutto se confrontata alla situazione italiana.
E’ interessante osservare che nella storia della democrazia diretta svizzera, tra i temi in votazione più «importanti» e «controversi» ci sono sempre stati quelli riguardanti l’immigrazione e l’asilo. L’ormai famosa votazione popolare del 1970 sul ridimensionamento del fenomeno migratorio auspicato da Schwarzenbach (quando i migranti erano soprattutto italiani!) sfiorò col 74,7% il record di partecipazione (79,7%) registrato nel 1947 nella votazione sull'introduzione dell’assicurazione vecchiaia e superstiti, e mai più superato in seguito.

Richiedenti l’asilo e governo del popolo
Dal 1970 in poi, quasi tutte le votazioni riguardanti temi dell’immigrazione e dell’asilo hanno segnato tassi di partecipazione relativamente alti, ma tendenzialmente in diminuzione. Ciò non significa che questi temi non abbiano più presa nell'opinione pubblica. Con un po’ di pazienza se ne potrà avere una conferma (o una smentita) il prossimo 9 giugno quando i cittadini svizzeri voteranno su un ulteriore inasprimento della legge sull'asilo (introduzione di misure più severe per il riconoscimento del diritto d’asilo in Svizzera), dopo quello già approvato in votazione popolare nel 2006. Come allora, anche stavolta i pronostici sono per una netta approvazione dei provvedimenti, sostenuti dal Consiglio federale e dal Parlamento. In fondo, non si vuole affatto limitare il diritto d’asilo, ma si vogliono contrastare gli abusi.
Un altro tema in votazione il 9 giugno, eminentemente politico, riguarda l’iniziativa dell’Unione democratica di centro (in realtà di destra) denominata «Elezione del Consiglio federale da parte del Popolo». Si tratta di un tema vecchio quasi quanto la Confederazione, più volte discusso e sottoposto a votazione popolare, ma sempre bocciato. In genere, quando si tratta di modifiche istituzionali profonde, gli svizzeri sono piuttosto diffidenti e cauti, preferiscono il certo all’incerto. Lo dimostreranno con ogni probabilità anche prossimamente.

Giovanni Longu
Berna, 5 giugno 2013