26 ottobre 2022

Immigrazione italiana 1991-2000: 19. L’eredità degli immigrati italiani: emancipazione femminile (terza parte)

Quando in questi articoli si parla di «emancipazione femminile» non si deve pensare che tutte le donne italiane abbiano raggiunto effettivamente all'inizio del millennio quel traguardo di parità, competenza, responsabilità e autonomia, che molte di esse ritenevano facilmente raggiungibile sia nei confronti dei connazionali che rispetto alle donne svizzere. Il senso di quell'espressione è un altro: (quasi) tutte le donne italiane hanno ormai la possibilità di raggiungere gli stessi traguardi, perché le condizioni di partenza, soprattutto per le giovani generazioni, sono pressoché identiche. Questa situazione costituisce per esse una preziosa eredità lasciata dalle prime generazioni.

Le condizioni di partenza

Emancipazione femminile: da lavoratrici (a cottimo) a cittadine!
Tutta la storia della prima generazione di immigrati italiani, per la quale il completo riconoscimento e la parità con gli svizzeri è sempre stato un miraggio, può essere vista come una lotta, lunga e sofferta, con se stessi e con l’ambiente, per raggiungere quei traguardi. Non li hanno raggiunti, ad eccezione di pochi, perché le condizioni di partenza erano diverse. Basti pensare all'origine, alla mentalità, alle competenze scolastiche e professionali, all'eterno dilemma se restare o ritornare, ecc.

Per le nuove generazioni le condizioni di partenza sono divenute ormai uguali o molto simili a quelle degli svizzeri e delle svizzere, per cui d’ora in poi tutti i traguardi sono possibili. In materia civile, nemmeno la nazionalità rappresenta più l’handicap che costituiva fino ad alcuni decenni orsono. Non è questa la migliore condizione di partenza per qualunque persona con origini migratorie italiane?

Parlando di «eredità», inoltre, non si deve pensare solo alle opportunità ch'essa rappresenta, ma anche alle responsabilità che comporta. Sarebbe giusto ma insufficiente mostrare riconoscenza per le opportunità ricevute senza sentire allo stesso tempo lo stimolo di sviluppare le proprie conoscenze e competenze, la partecipazione politica, l’impegno sociale. Sui risultati raggiunti non è ancora il momento di fare bilanci, perché l’emancipazione è un processo tuttora in corso, ma qualche osservazione è certamente lecita e inevitabile.

Emancipazione sociale e professionale

Oggi le donne italiane hanno conseguito in campo sociale praticamente gli stessi livelli delle donne svizzere e credo che desideri repressi, sentimenti d’invidia, forme di paura e di frustrazione … per eventuali traguardi non raggiunti appartengano definitivamente a un passato che si allontana sempre più. Oggi le donne italiane vivono, vestono, spendono, fanno una vita sociale esattamente a loro piacimento né più né meno come le donne svizzere, per restare al termine iniziale del confronto. E non dovrebbe apparire strano se in qualche ambito le donne italiane emergono di più o di meno, perché come già sentenziavano i latini, «sui gusti non si deve discutere» (de gustibus non est disputandum). L’importante è che la parità sociale sostanziale sia stata ormai raggiunta. Lo spaesamento di una volta è finito.

A parità di condizioni di partenza, anche nell'ambito professionale le differenze si sono molto assottigliate. Osservando, per esempio, il gruppo sempre più numeroso delle donne con la doppia nazionalità, difficilmente si notano differenze significative riguardanti la condizione occupazionale (occupate, disoccupate, in cerca di lavoro), la posizione professionale (quadri, dipendente, indipendente), la retribuzione, le possibilità di carriera. Già i dati del censimento federale della popolazione del 2000 (rispetto a quelli del 1990) evidenziavano che sempre più donne italiane appartenevano al management medio-superiore, erano attive in professioni accademiche e di ricerca, svolgevano attività indipendenti.

Ritardi da colmare

Purtroppo non in tutti i campi le donne italiane hanno raggiunto gli stessi livelli dei connazionali e delle donne svizzere. Per esempio nel campo dei media dedicati alla collettività italofona. Benché siano molte le donne che svolgono attività professionale nella stampa scritta e nelle radio locali e tre di esse dirigano i settimanali cartacei più diffusi (L’ECO, Corriere dell’italianità, La Pagina), le funzioni apicali sono esercitate ancora in maggioranza da uomini, soprattutto nella stampa mensile e online.

La consigliera nazionale Ada Marra,
«decana» delle donne italo-svizzere
elette nel parlamento svizzero

La carenza di donne nelle direzioni e nelle responsabilità dell’informazione e della comunicazione si spiega probabilmente col fatto che alcuni media fanno capo ad associazioni tradizionalmente dominate da uomini, che stentano a passare il testimone (e soprattutto il bastone del comando) all'altro sesso. Per quanto tempo ancora? Forse non molto. Si sa che le donne, in generale, sono più pazienti e più lungimiranti degli uomini e forse anche meglio preparate in questi campi.

Un altro ambito in cui le donne italiane fanno registrare qualche ritardo è proprio quello in cui tradizionalmente hanno esaltato il proprio carisma: l'attività ecclesiale. Purtroppo si stanno perdendo le tracce e il ricordo di quando suore, assidue insegnanti, collaboratrici generose gestivano segretariati, scuole, asili, associazioni assistenziali nell'ambito delle Missioni. Oggi sembra persino che venendo meno le suore (forse destinate ad altri compiti e in altri Paesi) si sia ristretto anche il ruolo responsabile delle donne.

Eppure, in questo settore le donne potrebbero svolgere ruoli importanti, soprattutto ora che il numero dei sacerdoti diminuisce e la secolarizzazione aumenta. In alcune situazioni, per esempio, non sarebbe auspicabile che a dirigere comunità ecclesiali o ad amministrare parrocchie ci fossero donne? Perché in molte realtà cattoliche ancora non ci sono diacone o teologhe italiane che leggano e commentino il Vangelo, dirigano la liturgia, guidino la pastorale, svolgano funzioni che non richiedono l’ordinazione sacerdotale, liberino i sacerdoti da gran parte delle incombenze materiali che sottraggono tempo ed energie al loro ministero? Se la Chiesa è di tutti, perché le donne non se ne possono far carico anche a livelli dirigenziali? Dove sta l’impedimento?

La rappresentanza politica

Il presidente della Confederazione Ignazio Cassis,
 massimo esempio di riuscita politica di un «secondo»
.
In Svizzera, un altro terreno dove le donne hanno fatto passi da gigante, ma che rivela anche grandi ritardi è quello della rappresentanza politica. Rispetto al passato hanno sicuramente guadagnato molte posizioni, ma il livello raggiunto non è ancora sufficiente. Per esempio, nei Comites (Comitati degli Italiani all'Estero) rinnovati l’anno scorso, benché su 102 persone elette le donne siano ben 40 (39%), alla presidenza dei sette Comites ci sono solo due donne (28,6%). Il cattivo esempio, purtroppo, viene dall'alto. Alle elezioni politiche nella Circoscrizione Estero-Europa la Svizzera non è ancora riuscita a eleggere una donna. Al CGIE (Consiglio Generale degli Italiani all'Estero) con sede a Roma la collettività italiana in Svizzera è rappresentata da una sola donna (16,6%) e da 5 uomini. Del resto nel CGIE su 63 membri (tra eletti e nominati) le donne sono solo 12 (19%).

Guardando ancora più in alto è facile notare che al Ministero degli affari esteri i maschi sono da sempre dominanti e anche il linguaggio ne è stato influenzato a tal punto che Elisabetta Belloni, che dirige il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza è ufficialmente «Ambasciatore» e «Direttore generale». Recentemente è stata inaugurata nella sede dell’Ambasciata d’Italia a Berna una lapide commemorativa dell’«Ambasciatore Carla Zuppetti», deceduta a Berna nel 2013. Evidentemente nemmeno l’esimio letterato e attuale ambasciatore Silvio Mignano ha potuto modificare questa denominazione inappropriata e antiquata per una donna. C’è da meravigliarsi? No, se si pensa che su oltre 150 personalità con la funzione di ambasciatori/ambasciatrici le donne col grado di «Ambasciatore» sono meno del 5 per cento.

Donne italiane nei legislativi svizzeri

La partecipazione di donne italiane con origini migratorie nei parlamenti svizzeri è ancora insufficiente ma promettente. Fino a pochi anni fa era un’eccezione leggere tra i componenti dei legislativi federale, cantonali e comunali cognomi che richiamavano facilmente le origini italiane. Oggi non sorprende che nel Consiglio Nazionale siano almeno una decina i consiglieri che hanno anche la nazionalità italiana, tra cui cinque donne, e che probabilmente nelle stesse proporzioni uomini e donne di origini migratorie italiane siedano nei parlamenti cantonali e comunali.

La partecipazione di queste persone nei legislativi svizzeri è un segnale evidente non solo dell’emancipazione politica delle (giovani) donne italiane qui residenti, ma anche del loro impegno a contribuire con le loro idee e con i loro progetti allo sviluppo di questo Paese. E’ importante segnalare l’attività di questo gruppo, benché ancora piccolo, perché queste donne costituiscono un esempio. Sono come apripista che invitano a seguirne le tracce, ad avere non solo coraggio, ma anche senso civico e magari anche un pizzico di riconoscenza per i loro genitori e nonni che hanno preparato loro la strada. Sta a loro, soprattutto, valorizzare il tesoro che hanno ricevuto in eredità, perché a beneficiarne siano tutti, svizzeri e stranieri, e in particolare quanti ancora si riconoscono e potrebbero riconoscersi anche domani nell’italianità. (Fine)

Giovanni Longu
Berna, 26.10.2022