Tra le associazioni
che hanno visto la trasformazione dell’immigrazione italiana in Svizzera due in
particolare hanno attirato di recente la mia attenzione: la Missione
Cattolica Italiana (MCI) e la Casa d’Italia di Berna. Entrambe
celebrano quest’anno importanti anniversari, che mi suggeriscono rievocazioni
storiche e riflessioni sul presente e sul futuro di
entrambe. Trovo utile trattarne nello stesso articolo perché, nonostante il
loro differente inizio «ufficiale», sono in realtà coetanee e si sono sviluppate
nello stesso ambiente migratorio, sebbene con motivazioni e caratteristiche
assai differenti. Allora la collettività italiana in Svizzera era consolidata e
in Italia dominava il regime fascista.
L’origine della MCI di Berna
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Missiona cattolica italiana di Berna |
All’inizio del Novecento c’era in Svizzera
solo una Missione cattolica italiana, quella di Zurigo. Nel resto del Paese,
tuttavia, l’assistenza agli immigrati italiani era regolarmente o
saltuariamente assicurata da sacerdoti italiani inviati e coordinati dall’Opera
Bonomelli, un’istituzione fondata nel 1900 dal vescovo di Cremona monsignor
Geremia Bonomelli, per prestare assistenza spirituale e materiale agli
operai emigrati. In pochi anni l’Opera aprì nei grossi centri industriali e nei
grandi cantieri di montagna appositi «segretariati» per l’assistenza agli
immigrati italiani, a cui facevano capo i vari sacerdoti, spesso assistiti da
suore. Anche a Berna venne aperto un segretariato.
Alcuni segretariati si trasformarono in vere e
proprie Missioni quando, durante il periodo fascista, furono costretti a
chiudere per incompatibilità con le pretese del regime mussoliniano, che voleva
assoggettarli alle direttive e ambizioni fasciste. Nel 1927, per non cedere al
ricatto fascista, la Santa Sede decise la soppressione dell’Opera Bonomelli, ma non delle attività di assistenza. Fu così
che il segretariato di Berna divenne la prima Missione cattolica italiana della
capitale federale e fu affidata a don Ireneo Rizzi, che la diresse per
vent’anni, evitando per quanto possibile le contestazioni e dedicandosi sempre
più alle attività spirituali. A giusta ragione, dunque, la MCI celebra
quest’anno il suo 90° compleanno.
Sviluppo della MCI
Nel dopoguerra, com’è noto, l’immigrazione
dall’Italia riprese vigore e col crescere della collettività italiana,
aumentarono anche le esigenze pastorali e assistenziali. Nel frattempo, le
attività dei sacerdoti bonomelliani erano state riprese in buona parte dai
missionari scalabriniani, una congregazione fondata dal vescovo di Piacenza
monsignor Giovanni Battista Scalabrini e, come l’Opera Bonomelli,
anch’essa dedita particolarmente all’assistenza degli emigrati.
Per far fronte ai nuovi bisogni degli italiani
immigrati nella regione di Berna, nel 1947, la Missione fu affidata ai
missionari scalabriniani. «Era il 2 maggio 1947 – si legge nel sito della MCI
di Berna - quando arrivò padre Giuseppe Vigolo, primo direttore». Era
l’inizio di un impegno crescente dei missionari per far fronte ai bisogni di
una collettività immigrata in continuo aumento (nel 1950, gli italiani presenti
nel Cantone di Berna erano già più di 10.000) e spaesata.
I bisogni a cui i missionari dovevano
rispondere erano, secondo numerose testimonianze, immensi. Non si trattava
infatti solo di fornire i servizi religiosi richiesti, ma anche assistenza
sociale ai più bisognosi, assistenza scolastica ai figli degli immigrati,
disponibilità per aiutare a risolvere ogni sorta di problema delicato. Un altro
compito, molto sentito, soprattutto nel dopoguerra, era anche quello di «essere
ponte tra una cultura e l’altra, quella di partenza e quella di accoglienza…
ponte che sostiene il cammino e che permette il passaggio da una sponda
all’altra sia all’emigrato che all’autoctono, affinché i fratelli nella fede
possano crescere sempre più nella conoscenza e nel rispetto reciproco, affinché
le reciproche diffidenze siano abbattute» (P. Renato Famengo). Per
fortuna i missionari non erano soli. Attorno alle Missioni e alle parrocchie si
sviluppò tutta una serie di attività sociali che coinvolsero preti, suore,
assistenti sociali, organizzazioni cattoliche, associazioni culturali e
ricreative, ecc. per dare alla religione anche un’estensione sociale di grande
ampiezza, che coinvolgesse anche gli stranieri.
L’origine della Casa d’Italia di Berna
La seconda istituzione
che celebra quest’anno un importante anniversario «ufficiale» è la Casa
d’Italia. Dico «ufficiale» perché verosimilmente s’intende ricordare sia la
costituzione dell’Associazione «Casa d’Italia», avvenuta
l’11 marzo 1937, e sia l’inaugurazione
dell’attuale sede il 25 ottobre 1937. In realtà l’attuale Casa d’Italia non è
altro che la continuazione di una preesistente «Casa degli Italiani», fondata con
molta probabilità dieci anni prima e sarebbe quindi contemporanea alla MCI di
Berna.
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Casa d'Italia di Berna |
Il contesto storico è
noto. In Svizzera vivevano all’epoca circa 130.000 immigrati italiani, di cui
circa 30000 nel Ticino. Nel Cantone di Berna erano circa 7000, di cui 2000
nell’agglomerazione di Berna. Erano cifre importanti che il regime fascista
non poteva ignorare e anche per questo la Svizzera era ritenuta dall’Italia un
Paese amico con cui era conveniente avere buoni rapporti. L’opinione era
condivisa dalla maggioranza del Consiglio federale dell’epoca, certamente dal
capo del Dipartimento politico federale Giuseppe Motta, che almeno inizialmente,
secondo alcuni storici, era un ammiratore di Mussolini e come tale era visto
dalla diplomazia italiana.
Di fatto, il Consiglio
federale, nonostante fosse contrario alla propaganda politica in Svizzera di
qualsiasi Paese straniero, tollerò a lungo che il regime fascista costituisse
soprattutto nelle principali città fasci, scuole, asili, mense, ecc. e
sovvenzionasse le associazioni che accettavano le direttive fasciste. Tutte le
Case d’Italia ancora esistenti, a parte qualcuna in Ticino sorta prima,
risalgono al periodo fascista.
Anche Berna doveva
avere il suo Fascio, la sua Scuola e la sua «Casa degli Italiani».
Questa fu inaugurata probabilmente nel 1927, alla Marienstrasse n. 4, in un
edificio che non esiste più, non lontano dalla sede dell’Ambasciata
(allora Legazione) d’Italia e dei servizi consolari. Vi avevano sede, a quanto
è dato sapere, le diverse associazioni italiane ammesse dal fascismo. Questo spiega,
fra l’altro, perché nell’agosto 1927 fosse stato inaugurato proprio nella «Casa
degli Italiani» uno dei primi «cinema-dopolavoro» e dunque la notevole
frequenza dei locali.
Dalla «Casa degli Italiani» alla «Casa d’Italia»
La «Casa degli Italiani» restò in attività
almeno fino al 1937, quando venne acquisita la nuova sede nel quartiere della
Länggasse. Non è dato sapere il motivo che indusse i suoi dirigenti a cambiare
sede, per cui sono lecite diverse ipotesi. Una sarebbe legata alla prevista
demolizione dell’edificio, un’altra sarebbe suggerita dal fatto che ormai la
maggioranza degli italiani viveva nei quartieri periferici della città,
specialmente in quello della Länggasse, e non dispiaceva trasferire la «Casa
degli Italiani» in quella zona della città, fra l’altro ben servita da una
efficiente linea tranviaria.
Tra la «Casa degli Italiani» e la nuova «Casa
d’Italia» ci fu continuità di gestione e d’intenti, in sintonia con la
politica del regime. Tanto è vero che l’assemblea di fondazione dell’Associazione
«Casa d’Italia» si tenne nella «Casa degli Italiani», i soci fondatori erano
tutti espressione del regime fascista e all’inaugurazione della nuova sede
partecipò, oltre al ministro d’Italia e al segretario del fascio locale, la
marchesa Paolucci Calboli figlia dell'ex ministro d'Italia a Berna durante la
guerra, che donò una somma importante per l’acquisizione della nuova casa
d’Italia. Una cronaca (di parte) riferì anche che alla manifestazione aveva
assistito «la colonia italiana al completo».
La «Casa d’Italia» restò ancora a lungo (fino
agli anni ’50) dominata dai «fascisti», anche perché, dopo la caduta del
fascismo, alcune associazioni si erano rigenerate solo in apparenza, ma negli
anni ’60 lentamente si affrancò completamente dall’ideologia fascista. Oggi la
Casa d’Italia è non solo la sede delle principali associazioni italiane di
Berna, ma è anche di proprietà dell’associazionismo italiano.
Uno sguardo al futuro
Nella celebrazione di questi importanti
anniversari è inevitabile volgere anche lo sguardo al futuro. Certamente,
chiunque ha a cuore le sorti della MCI e della Casa d’Italia non può che
augurare a entrambe le istituzioni lunga vita, ma sarebbe miope non vedere che
anche per loro il futuro richiede dei cambiamenti.
Se è vero, come io ritengo, che la MCI ha
svolto e svolge un’importante funzione, spirituale e sociale, in seno alla
collettività straniera a Berna e dintorni, credo anche che sempre più debba
svestirsi della connotazione «italiana» e impegnarsi per favorire il
processo d’integrazione degli italiani e di altri stranieri nella chiesa e
nelle strutture ecclesiali locali. Il contributo dei laici appare sempre più
indispensabile e utile.
Quanto alla Casa d’Italia, ritengo importante
che oltre a profilarsi come un ottimo ristorante «italiano» e una sede
accogliente di manifestazioni di ogni sorta organizzate da terzi, siano essi
partiti politici, Comites o altre organizzazioni, cerchi al suo interno le idee
e le forze per divenire protagonista attiva e proattiva d’italianità,
dando piena attuazione al suo statuto che mette ai primi posti finalità
artistiche e culturali.
[Attenzione! Nel periodo estivo la
trattazione della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera è sospesa]
Giovanni Longu
Berna, 21.06.2017
Berna, 21.06.2017