21 gennaio 2015

Accordo italo-svizzero finalmente raggiunto


Finalmente una bella notizia dal fronte italo-svizzero: il 19 dicembre scorso (ma la notizia è stata ufficializzata solo pochi giorni fa) è stato infatti raggiunto un accordo preliminare (più precisamente, un’«intesa di principio») sulle questioni fiscali tra l’Italia e la Svizzera. L’accordo vero e proprio sarà firmato prossimamente e comunque entro il 2 marzo (in base alla nuova legge fiscale italiana).

Fine della guerriglia fiscale
Apponendo le loro sigle (quella che in gergo si chiama «parafatura») al testo dell’intesa raggiunta, i due negoziatori, l’italiano Vieri Ceriani e lo svizzero Jacques de Watteville, hanno di fatto posto fine al tormentone del contenzioso fiscale tra l’Italia e la Svizzera che durava ormai da una quindicina d’anni (dai tempi del ministro italiano Giulio Tremonti) e che negli ultimi quattro anni non faceva che alimentare tensioni col rischio d’incrinare gravemente i tradizionali buoni rapporti tra i due Paesi.
L’intesa raggiunta concerne i punti fondamentali, mentre per le questioni che richiedono ulteriori approfondimenti è stata stabilita la cosiddetta «road map» finalizzata allo loro definizione, che dovrà proseguire nei prossimi mesi.
Stando alle fonti abituali dei media, sia svizzere che italiane, l’accordo è ritenuto importante da entrambe le parti non solo perché pone fine alla «guerriglia fiscale tra la Svizzera e l’Italia» (Le Temps) ma anche perché consentirà benefici sia all'Italia che alla Svizzera. All’Italia perché faciliterà l’adesione all’autodenuncia (voluntary disclosure) ossia la regolarizzazione volontaria dei capitali depositati illegalmente in Svizzera da contribuenti italiani, ma anche perché farà arrivare nelle casse del fisco «molti denari, sia per le leggi approvate, sia per l’attuale momento del mercato dei cambi» (Matteo Renzi, Presidente del Consiglio). Alla Svizzera consentirà non solo di evitare inutili e gravi rischi al sistema bancario elvetico (soprattutto a quello ticinese), ma anche di uscire dalle «liste nere» italiane che penalizzano attualmente molte imprese elvetiche (perché la Svizzera non potrà più essere considerata un paradiso fiscale poco collaborativo) e di migliorare l’accesso degli operatori finanziari svizzeri nel mercato italiano.

Via libera alle informazioni bancarie
L’accordo prevede in particolare la firma, entro la fine di febbraio, di una nuova convenzione italo-svizzera contro la doppia imposizione e lo scambio d’informazioni di natura fiscale, ma solo «a richiesta» e successive alla firma dell’accordo (senza quindi possibilità di controlli retroattivi). Per l’entrata in vigore della convenzione, che è una modifica legale, bisognerà attendere la ratifica dei rispettivi parlamenti e quindi presumibilmente entro il 2017. L’accordo sullo scambio d’informazioni a richiesta entrerà invece in vigore subito dopo la firma dell’accordo, in attesa che entri in vigore a livello di Unione europea (UE) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) lo standard dello scambio automatico delle informazioni, accettato anche dalla Svizzera.
Pier Carlo Padoan
A partire dunque dal prossimo mese di marzo, la Svizzera garantirà all’Italia, e viceversa, lo scambio d’informazioni di natura fiscale «a richiesta». Ciò significa, ad esempio, che il fisco italiano potrà richiedere alla Svizzera informazioni bancarie su singoli contribuenti italiani che detengono conti in questo Paese.
Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, visibilmente soddisfatto del risultato raggiunto, ha tenuto a precisare che questa volta non si tratta in nessun caso di un condono più o meno velato, perché chi si autodenuncia, anche se non sarà sanzionato penalmente, dovrà pagare tutte le imposte evase. D’altra parte, ha assicurato il negoziatore svizzero Jacques de Watteville, i clienti italiani delle banche svizzere che si autodenunciano non saranno in alcun modo più penalizzati degli italiani che hanno capitali depositati in Italia, in Germania o altrove. Ben altro, invece, potrà succedere a chi non si autodenuncia.

Ulteriori conseguenze dell’accordo
L’accordo, come detto, prevede inoltre una road map, ossia una serie d’incontri finalizzati a definire e mettere a punto i meccanismi regolatori riguardanti l’uscita della Svizzera dalle liste nere, la regolarizzazione del passato, la tassazione sui frontalieri secondo un nuovo modello, e altro ancora.
La portata di questo accordo è notevole non solo nel contesto dei rapporti italo-svizzeri, ma anche nel più ampio contesto della difficile costruzione dell’Unione europea sotto il profilo dell’armonizzazione fiscale. L’accordo, infatti, non solo regola la questione dello scambio di informazioni di natura fiscale tra l’Italia e la Svizzera, ma in qualche modo completa anche l’eliminazione dei «paradisi fiscali» nell’UE e nell’OCSE.
Del resto non è più nemmeno nell’interesse della piazza finanziaria svizzera continuare ad essere considerata un «paradiso fiscale», mentre sarà certamente più vantaggioso far sapere che il sistema bancario svizzero è efficiente anche senza segreto bancario e garantendo lo scambio delle informazioni bancarie previsto dall’OCSE, dall’UE e ora anche dall’accordo italo-svizzero.
Se questo accordo italo-svizzero contribuirà a migliorare anche i rapporti tra la Svizzera e l’UE non si sa, ma sicuramente rappresenta un ostacolo in meno.

Giovanni Longu
Berna, 21.01.2015

Un presidente come un direttore d’orchestra

Svizzera: Simonetta Sommaruga presidente della Confederazione

Simonetta Sommaruga
In Svizzera si sa con molto anticipo chi sarà il prossimo presidente della Confederazione e in genere basta una votazione per deciderlo. L’anno presidenziale spetta infatti normalmente al o alla vicepresidente dell’anno precedente. Nel 2014 il presidente Didier Burkhalter, liberale radicale, aveva come vicepresidente Simonetta Sommaruga, socialista. Quasi inevitabile, dunque, che il 3 dicembre 2014 l’Assemblea federale eleggesse presidente per il 2015 Simonetta Sommaruga. Per la cronaca, Johann Schneider-Ammann è stato eletto vicepresidente e quindi prossimo presidente della Confederazione.

«Primus inter pares»
In Svizzera la presidenza della Confederazione è assunta a turno per anzianità di servizio da tutti i membri del Consiglio federale, ma da alcuni anni sta diventando una carica prestigiosa. La Costituzione federale non assegna molti poteri al presidente, se non quelli di rappresentanza e di direzione dei lavori dell’esecutivo. Il presidente della Confederazione è solo un «primus inter pares», primo tra pari. Dipende dalla personalità di chi riveste la carica e anche dalle circostanze emergere e acquistare prestigio all’interno e all’estero.
Nel 2014 l’anno presidenziale ha messo in luce le doti organizzative e diplomatiche di Didier Burkhalter, che aveva iniziato bene il suo mandato con una brillante elezione: 183 voti su 202. La votazione di Sommaruga non è stata altrettanto gratificante: 181 voti su 210 schede valide, ma questo risultato, giudicato per altro buono dagli osservatori, non le impedirà certamente di esprimere al meglio le sue qualità umane e organizzative, soprattutto all’interno.
Mentre all’esterno continuerà a primeggiare Burkhalter per il suo ruolo di ministro degli esteri conosciuto e affermato soprattutto in Europa, è probabile che Sommaruga acquisti maggiore visibilità e peso politico all’interno, grazie anche a una congiuntura politica piuttosto favorevole e finora unica. Il 2015, che è anno di elezioni, vede infatti per la prima volta le tre più alte cariche dello Stato controllate da esponenti socialisti: Simonetta Sommaruga alla presidenza della Confederazione, Stéphane Rossini al Consiglio Nazionale e Claude Hêche al Consiglio degli Stati.

Difesa della democrazia diretta
Nel suo programma presidenziale Sommaruga non ha messo tuttavia ai primi posti il rilancio del suo partito, né il rafforzamento di questa o quella istituzione, ma la difesa della democrazia diretta, sotto attacco da più parti, soprattutto dopo la votazione del 9 febbraio scorso sulla limitazione dell’immigrazione di massa.
Già nel suo discorso d’insediamento in Parlamento ha ricordato proprio alle istituzioni che la democrazia diretta si esprime al meglio quando le istituzioni, Governo, Parlamento o Cittadini interpretano i loro ruoli in armonia, come in un concerto a più voci: le sette voci del Consiglio federale, i 246 strumentalisti parlamentari e il coro dei cittadini. Non so se Simonetta Sommaruga in quel momento interpretava il ruolo di direttrice d’orchestra, ma l’immagine mi è parsa pertinente e apprezzabile.
Nel suo discorso di Capodanno ha insistito: «alcuni pensano che la democrazia diretta non sia un sistema al passo coi tempi: ritengono che nel mondo interconnesso di oggi la popolazione non è più in grado di decidere su temi molto complessi. È un’opinione che non condivido per nulla. Anzi, sono convinta che il nostro sistema politico sia particolarmente adatto alla nostra epoca. Da noi, infatti, le responsabilità sono assunte non soltanto dal Consiglio federale e dal Parlamento, ma anche dalle cittadine e dai cittadini che possono esercitare la loro influenza e partecipare alle decisioni. È proprio questa partecipazione che crea vicinanza e fonda la nostra identità. Ed è proprio questo di cui abbiamo bisogno».

Italia: presidente quale direttore d’orchestra cercasi!

Prossimamente assisteremo all’elezione del Presidente della Repubblica in seguito alle dimissioni di Giorgio Napolitano. Le due presidenze, quella svizzera e quella italiana, non sono paragonabili né per durata né per competenze. Eppure potrebbero avere alcuni tratti comuni. Mi piacerebbe, ad esempio, che anche il Capo dello Stato italiano interpretasse più che il ruolo dell’arbitro, come spesso gli viene attribuito, quello di un buon direttore d’orchestra, capace di tenere uniti tutti gli elementi che la compongono e farli suonare in armonia.
Fuori metafora, la gente, il popolo italiano, credo che si aspetti dal prossimo presidente della Repubblica una figura possibilmente carismatica, rispettosa di tutti, certamente non di parte ma «super partes», difensore della democrazia più che delle istituzioni, ma soprattutto fine interprete delle sollecitazioni e aspirazioni che provengono dal basso, specialmente in tempi di crisi.

Giovanni Longu
Berna, 21.01.2015