La discussione sugli
stranieri degli inizi del XX secolo, fino allo scoppio della prima guerra
mondiale, fu caratterizzata dalla ricerca di una soluzione durevole e
soddisfacente alla difficile convivenza tra svizzeri e stranieri e al pericolo
dell’«inforestierimento» della nazione. Tutte le soluzioni proposte, dalla
limitazione dell’immigrazione alla naturalizzazione automatica (jus soli)
dei figli degli immigrati cresciuti in Svizzera, avevano qualche aspetto
insoddisfacente e/o impraticabile. D’altra parte, si faceva sempre più strada la
convinzione che la massa crescente di stranieri, allora soprattutto tedeschi e
italiani (insieme quasi l’80% della popolazione straniera), rappresentasse un
pericolo per la sopravvivenza stessa della Svizzera.
La guerra e la tregua
A diminuire furono
soprattutto i tedeschi (-69.697 persone) e gli italiani (-68.181). E’ interessante tuttavia
notare che mentre gran parte degli italiani abili al servizio militare rientrò
in Italia, molti tedeschi preferirono restare e chiedere la naturalizzazione
svizzera. Dal 1911 al 1920 l’ottennero ben 38.182 tedeschi contro appena 10.514 italiani. Segno e
vidente del diverso interesse che avevano gli uni e
gli altri a restare in Svizzera.
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«Giù le grinfie! La Svizzera agli Svizzeri» (manifesto del 1919) |
A prima vista sarebbe
stato logico che da queste costatazioni scaturisse almeno un’attenuazione della
problematica degli stranieri. Invece il periodo della guerra rappresentò solo
una tregua per i movimenti nazionalisti xenofobi già costituiti o in via di
organizzazione. La lotta contro l’inforestierimento riprese infatti ben presto più
deciso che mai, tanto da indurre il Consiglio federale già nel 1917 a intervenire
con una decisione che avrebbe avuto enormi conseguenze sulla successiva
politica migratoria svizzera.
La Polizia degli stranieri
Poiché la
responsabilità dell’«inforestierimento» ricadeva direttamente o indirettamente
sullo Stato centrale, avvalendosi dei poteri
straordinari concessigli durante la guerra, il Consiglio federale istituì con un’ordinanza
del 21 novembre 1917 l’Ufficio centrale di polizia degli stranieri,
che divenne lo strumento politico-amministrativo
contro l’inforestierimento. Da quel momento, l’entrata e la dimora degli
stranieri furono sottoposti a un controllo generale di polizia degli stranieri,
con cui il Consiglio federale intendeva regolare il flusso degli ingressi.
Il 1917 ha segnato nella
storia della politica migratoria svizzera una data fondamentale, perché la
priorità venne posta ormai non sull’integrazione (sebbene il termine non fosse
ancora in uso) degli stranieri che venivano in Svizzera per motivi di lavoro, ma
sul loro controllo, privilegiando una politica nazionale fondata sulla
sicurezza, sull’interesse economico e sulla difesa di una identità culturale
svizzera ritenuta ancora precaria.
Il pericolo rosso
Il controllo
degli stranieri appariva sempre più necessario perché il clima sociale generale
si stava deteriorando a causa della crisi provocata dalla guerra (nel 1917 si
dovette introdurre il razionamento dei generi alimentari) e con la riapertura
delle frontiere si temeva che entrassero in Svizzera oltre agli immigrati per
motivi di lavoro, anche profughi, disertori, anarchici, bolscevichi,
disoccupati, provocatori e persino delinquenti comuni provenienti da tutta
l’Europa in seguito al crollo degli imperi russo, austro-ungarico
e tedesco. Tanto più che, dopo il grande sciopero generale del 1918, considerato
dalla borghesia impaurita un tentativo rivoluzionario di presa del potere, autorità
politiche e militari avevano accusato i sovietici di esserne gli istigatori.
Nella popolazione
cominciava intanto a diffondersi in tutti gli strati della popolazione svizzera
quel che lo storico Mauro Cerutti ha chiamato «la paura della “peste
rossa”», ossia un anticomunismo che indurrà la polizia federale degli stranieri
a seguire con particolare attenzione le principali attività della sinistra
anarchica, comunista e socialista. Una ragione in più per un controllo rigido
delle frontiere. Contro l’inforestierimento e il pericolo “rosso”, un manifesto
del 1919 proclamava: «Giù le grinfie! La Svizzera agli svizzeri».
Fine dell’immigrazione libera
Per garantire un
efficace controllo degli ingressi la Confederazione doveva disporre di maggiori
poteri e di adeguati strumenti di controllo. In attesa della necessaria
modifica costituzionale e di una legge corrispondente, il 17 novembre 1919 il
Consiglio federale emanò un’altra ordinanza sul controllo degli stranieri, che riservava
la decisione di ammissione degli stranieri alla Confederazione nell’ambito di
un ampio potere discrezionale.
Gli Stati di
provenienza degli immigrati, Italia inclusa, riconobbero, tacitamente o
esplicitamente, tale potere. Fra l’altro, in quel periodo l’Italia aveva tutto
l’interesse a mantenere buone relazioni con la Svizzera, sia perché gli Stati
Uniti avevano introdotto misure restrittive all’immigrazione e sia perché il
Commissariato Generale all’emigrazione (1901-1927) intendeva favorire
l’espatrio del maggior numero possibile dei numerosi lavoratori disoccupati
(inizialmente soprattutto soldati smobilitati).
Per evitare i
tassi di crescita registrati fino al 1914, subito dopo la guerra la
Confederazione ritenne opportuno proseguire una politica restrittiva e
selettiva anche verso i lavoratori immigrati provenienti dai Paesi con cui
restavano formalmente validi i trattati bilaterali, ma resi praticamente
inapplicabili.
Era ormai finita
l’era dell’immigrazione libera. Da quel momento, il permesso di soggiorno degli
stranieri sarebbe stato legato al permesso di lavoro e questo sarebbe stato
accordato quasi esclusivamente per attività stagionali (edilizia, agricoltura,
alberghi) o per impieghi domestici. Dal momento del loro ingresso gli stranieri
sarebbero stati sottomessi a controlli periodici.
Pressioni dei movimenti xenofobi
Nella lotta
contro l’inforestierimento, il Consiglio federale era sempre più incalzato dai
movimenti antistranieri, ma anche dall’opinione pubblica, che ritenevano la
politica immigratoria liberale del governo praticata fino alla guerra
incompatibile con l’attuale situazione di crisi economica e sociale dovuta alla
crescente penuria di abitazioni (durante la guerra il settore edilizio si era
quasi fermato), all’aumento degli affitti, all’incremento della disoccupazione
(che si aggraverà nel corso della crisi del 1920-23), al rincaro generale del
costo della vita.
Per rendere ancor
più efficace il sistema di controllo sugli stranieri, l’organo centrale di
polizia degli stranieri fu mantenuto e potenziato. Tutte le domande di
soggiorno superiore a tre mesi e le domande di stabilimento (domicilio) per
motivi di lavoro dovevano essere controllate dalla Polizia degli stranieri. Con
questo controllo rigido (anche se sfuggivano a questa misura i turisti) il
Consiglio federale sperava in una effettiva diminuzione della popolazione
straniera in Svizzera e in un raffreddamento delle critiche nei suoi confronti.
Le reazioni della
politica e dell’opinione pubblica, invece, non accennarono a diminuire. Un
articolo della «Neue Zürcher Zeitung» del 1919, per esempio, si scagliava
contro la dominazione politica straniera (die politische Fremdherrschaft in
der Schweiz) e chiedeva la modifica della Costituzione
federale in modo che venisse proibita agli stranieri qualunque attività
politica e che i naturalizzati avessero il diritto di voto ma non di
eleggibilità, fatta eccezione per coloro che fossero vissuti in Svizzera senza
grandi interruzioni dall’età di sette anni.
La prima iniziativa xenofoba
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«Stop all’inforestierimento» (1966) |
Le due parti
dell’iniziativa saranno sottoposte al voto popolare nel 1922 e furono entrambe
respinte a grande maggioranza. L’esigenza di una politica organica del
Consiglio federale in materia di accordi di stabilimento (Niederlassungsverträge) e di politica di immigrazione sembrava
tuttavia ormai ineludibile. Un intervento regolatore del governo presupponeva
tuttavia una competenza costituzionale che al momento mancava. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 22.3.2017
Berna 22.3.2017