22 marzo 2017

Italiani in Svizzera: 9. La guerra e il pericolo «rosso»



La discussione sugli stranieri degli inizi del XX secolo, fino allo scoppio della prima guerra mondiale, fu caratterizzata dalla ricerca di una soluzione durevole e soddisfacente alla difficile convivenza tra svizzeri e stranieri e al pericolo dell’«inforestierimento» della nazione. Tutte le soluzioni proposte, dalla limitazione dell’immigrazione alla naturalizzazione automatica (jus soli) dei figli degli immigrati cresciuti in Svizzera, avevano qualche aspetto insoddisfacente e/o impraticabile. D’altra parte, si faceva sempre più strada la convinzione che la massa crescente di stranieri, allora soprattutto tedeschi e italiani (insieme quasi l’80% della popolazione straniera), rappresentasse un pericolo per la sopravvivenza stessa della Svizzera.

La guerra e la tregua
Sotto questo aspetto, fu provvidenziale per la Svizzera lo scoppio della prima guerra mondiale, che aveva praticamente chiuso le frontiere e resi di fatto inapplicabili i principali trattati con i Paesi vicini (Francia, Italia, Germania). Le conseguenze immediate furono una drastica diminuzione dell’immigrazione e, in seguito ai forzati rientri nei Paesi belligeranti, della popolazione straniera presente in Svizzera, che passò da 552.011 persone (1910) a 402.385 (1920).
A diminuire furono soprattutto i tedeschi (-69.697 persone) e gli italiani (-68.181). E’ interessante tuttavia notare che mentre gran parte degli italiani abili al servizio militare rientrò in Italia, molti tedeschi preferirono restare e chiedere la naturalizzazione svizzera. Dal 1911 al 1920 l’ottennero ben 38.182 tedeschi contro appena 10.514 italiani. Segno e
«Giù le grinfie! La Svizzera agli Svizzeri»
(manifesto del 1919)
vidente del diverso interesse che avevano gli uni e gli altri a restare in Svizzera.
A prima vista sarebbe stato logico che da queste costatazioni scaturisse almeno un’attenuazione della problematica degli stranieri. Invece il periodo della guerra rappresentò solo una tregua per i movimenti nazionalisti xenofobi già costituiti o in via di organizzazione. La lotta contro l’inforestierimento riprese infatti ben presto più deciso che mai, tanto da indurre il Consiglio federale già nel 1917 a intervenire con una decisione che avrebbe avuto enormi conseguenze sulla successiva politica migratoria svizzera.

La Polizia degli stranieri
Poiché la responsabilità dell’«inforestierimento» ricadeva direttamente o indirettamente sullo Stato centrale, avvalendosi dei poteri straordinari concessigli durante la guerra, il Consiglio federale istituì con un’ordinanza del 21 novembre 1917 l’Ufficio centrale di polizia degli stranieri, che divenne lo strumento politico-amministrativo contro l’inforestierimento. Da quel momento, l’entrata e la dimora degli stranieri furono sottoposti a un controllo generale di polizia degli stranieri, con cui il Consiglio federale intendeva regolare il flusso degli ingressi.
Il 1917 ha segnato nella storia della politica migratoria svizzera una data fondamentale, perché la priorità venne posta ormai non sull’integrazione (sebbene il termine non fosse ancora in uso) degli stranieri che venivano in Svizzera per motivi di lavoro, ma sul loro controllo, privilegiando una politica nazionale fondata sulla sicurezza, sull’interesse economico e sulla difesa di una identità culturale svizzera ritenuta ancora precaria.

Il pericolo rosso
Il controllo degli stranieri appariva sempre più necessario perché il clima sociale generale si stava deteriorando a causa della crisi provocata dalla guerra (nel 1917 si dovette introdurre il razionamento dei generi alimentari) e con la riapertura delle frontiere si temeva che entrassero in Svizzera oltre agli immigrati per motivi di lavoro, anche profughi, disertori, anarchici, bolscevichi, disoccupati, provocatori e persino delinquenti comuni provenienti da tutta l’Europa in seguito al crollo degli imperi russo, austro-ungarico e tedesco. Tanto più che, dopo il grande sciopero generale del 1918, considerato dalla borghesia impaurita un tentativo rivoluzionario di presa del potere, autorità politiche e militari avevano accusato i sovietici di esserne gli istigatori.
Nella popolazione cominciava intanto a diffondersi in tutti gli strati della popolazione svizzera quel che lo storico Mauro Cerutti ha chiamato «la paura della “peste rossa”», ossia un anticomunismo che indurrà la polizia federale degli stranieri a seguire con particolare attenzione le principali attività della sinistra anarchica, comunista e socialista. Una ragione in più per un controllo rigido delle frontiere. Contro l’inforestierimento e il pericolo “rosso”, un manifesto del 1919 proclamava: «Giù le grinfie! La Svizzera agli svizzeri».

Fine dell’immigrazione libera
Per garantire un efficace controllo degli ingressi la Confederazione doveva disporre di maggiori poteri e di adeguati strumenti di controllo. In attesa della necessaria modifica costituzionale e di una legge corrispondente, il 17 novembre 1919 il Consiglio federale emanò un’altra ordinanza sul controllo degli stranieri, che riservava la decisione di ammissione degli stranieri alla Confederazione nell’ambito di un ampio potere discrezionale.
Gli Stati di provenienza degli immigrati, Italia inclusa, riconobbero, tacitamente o esplicitamente, tale potere. Fra l’altro, in quel periodo l’Italia aveva tutto l’interesse a mantenere buone relazioni con la Svizzera, sia perché gli Stati Uniti avevano introdotto misure restrittive all’immigrazione e sia perché il Commissariato Generale all’emigrazione (1901-1927) intendeva favorire l’espatrio del maggior numero possibile dei numerosi lavoratori disoccupati (inizialmente soprattutto soldati smobilitati).
Per evitare i tassi di crescita registrati fino al 1914, subito dopo la guerra la Confederazione ritenne opportuno proseguire una politica restrittiva e selettiva anche verso i lavoratori immigrati provenienti dai Paesi con cui restavano formalmente validi i trattati bilaterali, ma resi praticamente inapplicabili.
Era ormai finita l’era dell’immigrazione libera. Da quel momento, il permesso di soggiorno degli stranieri sarebbe stato legato al permesso di lavoro e questo sarebbe stato accordato quasi esclusivamente per attività stagionali (edilizia, agricoltura, alberghi) o per impieghi domestici. Dal momento del loro ingresso gli stranieri sarebbero stati sottomessi a controlli periodici.

Pressioni dei movimenti xenofobi
Nella lotta contro l’inforestierimento, il Consiglio federale era sempre più incalzato dai movimenti antistranieri, ma anche dall’opinione pubblica, che ritenevano la politica immigratoria liberale del governo praticata fino alla guerra incompatibile con l’attuale situazione di crisi economica e sociale dovuta alla crescente penuria di abitazioni (durante la guerra il settore edilizio si era quasi fermato), all’aumento degli affitti, all’incremento della disoccupazione (che si aggraverà nel corso della crisi del 1920-23), al rincaro generale del costo della vita.
Per rendere ancor più efficace il sistema di controllo sugli stranieri, l’organo centrale di polizia degli stranieri fu mantenuto e potenziato. Tutte le domande di soggiorno superiore a tre mesi e le domande di stabilimento (domicilio) per motivi di lavoro dovevano essere controllate dalla Polizia degli stranieri. Con questo controllo rigido (anche se sfuggivano a questa misura i turisti) il Consiglio federale sperava in una effettiva diminuzione della popolazione straniera in Svizzera e in un raffreddamento delle critiche nei suoi confronti.
Le reazioni della politica e dell’opinione pubblica, invece, non accennarono a diminuire. Un articolo della «Neue Zürcher Zeitung» del 1919, per esempio, si scagliava contro la dominazione politica straniera (die politische Fremdherrschaft in der Schweiz) e chiedeva la modifica della Costituzione federale in modo che venisse proibita agli stranieri qualunque attività politica e che i naturalizzati avessero il diritto di voto ma non di eleggibilità, fatta eccezione per coloro che fossero vissuti in Svizzera senza grandi interruzioni dall’età di sette anni.

La prima iniziativa xenofoba
«Stop all’inforestierimento»  (1966)
Il giornale del movimento nazionalista repubblicano «Schweizerische Republikanische Blätter» si distingueva nella denuncia di ogni forma d’inforestierimento, raccogliendo molti consensi. Il 6 marzo 1920 fu depositata a Berna una iniziativa popolare, munita di circa 60.000 firme (raccolte soprattutto nell’Argovia) per la modifica della Costituzione in senso antistranieri. Si chiedeva infatti in una prima parte che le condizioni della naturalizzazione fossero rese più severe e i diritti dei naturalizzati ridotti (modifica dell’art. 44) e, in una seconda parte, che il potere della Confederazione di espellere gli stranieri fosse rafforzato (art. 70). Poiché le due parti erano nettamente distinte, il Consiglio federale e l’Assemblea federale le tratteranno separatamente.
Le due parti dell’iniziativa saranno sottoposte al voto popolare nel 1922 e furono entrambe respinte a grande maggioranza. L’esigenza di una politica organica del Consiglio federale in materia di accordi di stabilimento (Niederlassungsverträge) e di politica di immigrazione sembrava tuttavia ormai ineludibile. Un intervento regolatore del governo presupponeva tuttavia una competenza costituzionale che al momento mancava. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 22.3.2017