21 maggio 2014

1914: 4. «La questione degli stranieri»


A Berna, prima delle sessioni parlamentari, tradizionalmente i vertici dei partiti di governo incontrano nella residenza bernese Von Wattenwyl una delegazione del Consiglio federale. Nell’incontro di venerdì scorso, 16 maggio 2014, prima della sessione estiva delle Camere federali, i due principali temi affrontati sono stati la nuova politica migratoria svizzera e gli sviluppi della politica finanziaria internazionale.

Sul primo tema, assai delicato soprattutto per le implicazioni di politica estera sui rapporti tra la Svizzera e l’Unione Europea, la ministra della giustizia Simonetta Sommaruga ha confermato che il Dipartimento di giustizia e polizia sta preparando il disegno di legge per l’attuazione delle nuove disposizioni costituzionali
sull'immigrazione accettate dal popolo svizzero lo scorso 9 febbraio nella votazione sull'iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC) contro l'immigrazione di massa.

Tema immigrazione ancora attuale
Non è pertanto sorprendente che tra gli oggetti all'ordine del giorno nell'ultimo colloquio Von Wattenwyl figuri il tema dell’immigrazione, tanto più che l’attuazione pratica della nuova norma costituzionale (art. 121a) non è certo di facile applicazione. Infatti essa impone soprattutto la limitazione del numero dei permessi di dimora rilasciati a stranieri mediante la determinazione di «tetti massimi annuali e contingenti annuali», fissati obbligatoriamente «in funzione degli interessi globali dell'economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli Svizzeri».
Chi pensasse, tuttavia, che in Svizzera «la questione degli stranieri» sia stata sollevata per primi dagli irriducibili nazionalisti dell’UDC, da sempre contrari all'immigrazione di massa, sbaglia di grosso. Non c’è dubbio che essi sono sempre in prima fila per ricordare agli svizzeri benpensanti e distratti che, secondo loro, ci sono in giro troppi delinquenti stranieri, che gli islamici crescono a dismisura, che la libera circolazione degli immigrati europei danneggia il mercato del lavoro svizzero, limita la sovranità nazionale e mina alla radice l’identità stessa della Svizzera; ma «la questione degli stranieri» non è una loro invenzione.
Si dice spesso che l’UDC sia la continuazione storica o per lo meno ideologica dell’«Azione Nazionale» (AN) di Schwarzenbach (anni ’60 e ’70), perché anch'essa mirava a ridurre drasticamente il numero degli stranieri e stroncare definitivamente l’immigrazione di massa, per cui si dovrebbe piuttosto ad essa l’invenzione della «questione degli stranieri». Ma non è stata nemmeno l’AN a sollevare per prima il problema, anche se è dovuto soprattutto ad essa e alle iniziative xenofobe da essa promosse che il popolo svizzero è stato investito in toto della questione e anche di recente, come detto, è stato chiamato a pronunciarsi grosso modo sullo stesso oggetto.

«Inforestierimento» da oltre 100 anni nell'agenda politica svizzera
«La questione degli stranieri» è nell’agenda politica svizzera da oltre un secolo, con toni differenti, ma con contenuti essenzialmente identici. Se ne cominciò a parlare già negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando in Svizzera il numero degli stranieri non faceva che aumentare, passando da 211.035 nel 1880 (7,5% della popolazione residente totale) a 383.424 nel 1900 (11,6%). Ma già allora gli stranieri erano indispensabili e si poteva fare ben poco anche solo per ridurne il numero e la crescita.
Il tema fu ripreso e approfondito a partire dal 1900, ma è solo dal 1914, esattamente cent’anni fa, che rappresenta uno dei capitoli principali della politica federale interna ed estera. Per dare l’idea del fenomeno migratorio all’inizio del secolo scorso bastano poche cifre significative, oltre a quelle menzionate. La maggioranza degli stranieri era costituita da tedeschi, seguiti dagli italiani. Insieme, tedeschi e italiani rappresentavano un elemento determinante in diversi rami economici.
Dai dati del censimento delle aziende del 1905 risulta, ad esempio, che su 616.228 addetti all’industria gli stranieri erano 151.493 ossia il 24,6% (mentre nel 1888 erano appena il 12%). Secondo i dati del censimento della popolazione del 1910, in alcuni rami economici la percentuale di stranieri era altissima. Per esempio, su 1000 addetti, gli stranieri occupati nella costruzione delle ferrovie erano 899, nelle attività teatrali e musicali 770, nei lavori di muratura 582, nella lavorazione della pietra e del marmo 547, nell’attività edilizia 519, nei servizi personali (parrucchieri) 482, ecc.

Non solo manovali
Gli stranieri, anche allora, non erano solo manovali e operai senza qualifica adoperati nelle imprese di produzione o nei servizi domestici, ma anche imprenditori, artigiani, lavoratori qualificati e persino medici, giornalisti, professori universitari. Erano stranieri il 27% dei professori d’università (soprattutto a Friburgo, Basilea e Zurigo), il 20% dei medici, il 27% dei giornalisti, moltissimi capi d’azienda, direttori di banche, ingegneri, tecnici, ecc.
A preoccupare molti svizzeri non era tuttavia solo il numero elevato degli stranieri, ma anche e forse soprattutto il loro ritmo di crescita. Per descrivere il fenomeno, il capo dell’assistenza sociale di Zurigo, C. A. Schmid, nel 1900, parlò di una vera e propria «invasione» di stranieri soprattutto nelle grandi città di Zurigo, Basilea e Ginevra, ma anche a Lugano. Trovò anche un neologismo, «Überfremdung», tradotto poi in italiano «inforestierimento», un termine mai definito chiaramente ma spesso usato e abusato soprattutto per indicare un presunto eccesso di stranieri e d’influenza straniera.
Con questa parola sembrava riassumersi l’essenza del «problema degli stranieri». Si riteneva infatti che la forte presenza straniera potesse compromettere la stabilità e l’identità socioculturale del Paese, introducendo nel contesto svizzero elementi estranei e inassimilabili. Già all'inizio del secolo si cominciò a parlare della necessità di ridimensionare la percentuale degli stranieri sulla popolazione residente, eventualmente naturalizzando automaticamente i discendenti di immigrati nati in Svizzera.

Prima della guerra
Nel primo semestre del 1914 la «questione degli stranieri» era ampiamente dibattuta su tutti i principali giornali nazionali. Era ricorrente la considerazione che lasciar aumentare il numero degli stranieri avrebbe rappresentato per la Svizzera un serio pericolo. C’era invece molta incertezza sulle misure da prendere per limitarlo: controllare meglio gli ingressi, espellere i più pericolosi, aumentare il numero delle naturalizzazioni. Di fronte alla difficoltà di carattere giuridico e internazionale (a causa dei numerosi accordi bilaterali) per adottare le prime, la propensione prevalente era quella volta a intensificare maggiormente l’«assimilazione» e naturalizzare d’autorità gli stranieri nati in Svizzera da genitori anch'essi nati in Svizzera.
Dal 1913/14 il tema dell’«inforestierimento» (Überfremdung) entrò a far parte del linguaggio politico anche nelle aule parlamentari. Furono soprattutto deputati e senatori svizzero-tedeschi ad evocare pericoli derivanti dal «crescente inforestierimento», mentre il governo almeno inizialmente tentava di sdrammatizzare.
Nel gennaio 1914, durante una lunga discussione al Consiglio nazionale su una richiesta di ampliamento della linea ferroviaria lungo il lago di Brienz, uno dei sostenitori intervenne lamentando la grave situazione demografica della regione di montagna a rischio di spopolamento perché i giovani preferiscono emigrare piuttosto che restare senza lavoro, mentre si deve costatare «il fenomeno rattristante e inquietante dell'inforestierimento della nostra Svizzera già più volte evocato in questa sala».
Alla vigilia della prima guerra mondiale, nel 1914, quando la situazione sembrava ulteriormente peggiorata (il numero degli stranieri era salito a 600.000 e rappresentavano ormai il 15,5% della popolazione residente, addirittura il 17,3% considerando anche i circa 90.000 stagionali), anche il governo cominciò a preoccuparsi.
Nella metà del 1914 lo stesso presidente della Confederazione Hoffmann prese molto sul serio la questione e cominciò a preparare un rapporto «poderoso, di oltre 100 pagine a stampa, redatto con moltissima cura», come annotava un cronista.

Dopo la guerra
Si scrissero rapporti, costituirono commissioni e il Consiglio federale cominciò a studiare «misure contro l’inforestierimento». Nel frattempo i Cantoni di Zurigo, Basilea e Ginevra lanciarono un’iniziativa volta all’introduzione dello «jus soli», per cui chi nascesse in territorio svizzero sarebbe stato automaticamente cittadino svizzero. Il Consiglio federale si disse d’accordo con il progetto, ma lo scoppio della guerra ne impedì tuttavia la discussione nelle Camere federali.
Quando a guerra terminata, la discussione fu ripresa, il Consiglio federale aveva cambiato opinione, come su molte altre cose nei riguardi dell’immigrazione. Già le prime misure adottate subito dopo la guerra stavano a denotare un cambiamento radicale nella politica degli stranieri. Con l’istituzione della Polizia degli stranieri, l’introduzione di rigide misure di controllo alle frontiere e altra burocrazia era chiaro che l’epoca della politica migratoria liberale era definitivamente tramontata. A risentirne furono soprattutto gli italiani.

Giovanni Longu
Berna, 21.05.2014