30 ottobre 2019

Immigrazione italiana 1950-1970: 32. Gli italiani e il tempo libero


Spesso, in un tipo di narrazione basata sul pregiudizio che l’emigrazione sia una forma di schiavitù moderna ad opera di un capitalismo spregiudicato e di una società egoista e ostile, gli emigrati sono descritti come persone oppresse, discriminate, tristi. E’ innegabile che molti datori di lavoro abbiano sfruttato la manodopera estera, che una parte della società svizzera non vedesse di buon occhio gli stranieri, che molti di essi, uomini e donne, si siano sentiti sfruttati e discriminati. Ma la maggior parte degli immigrati ha avuto anche molte opportunità per socializzare, coltivare amicizie, praticare sport, imparare, cantare, sognare, divertirsi, organizzare feste. L’associazionismo degli anni Cinquanta e Sessanta è stato una risorsa straordinaria a disposizione di tutti. No, gli immigrati di quel periodo erano persone «normali», intraprendenti, positive, coraggiose, ottimiste e anche allegre.

Gli italiani e il tempo libero
Festival della canzone italiana, Zurigo 1957-1967
E’ giusto tuttavia ricordare che, essendo i rapporti con la popolazione locale praticamente inesistenti o comunque difficili, la socialità degli emigrati si praticava quasi esclusivamente nei loro ambienti, la Missione Cattolica, la Casa d’Italia, le associazioni (negli anni Cinquanta e Sessanta ne nacquero moltissime in tutta la Svizzera), baracche adattate a centri d’incontro in cui si giocava a carte e alla morra, ma anche la stazione. L’importante era vincere la malinconia, rompere la solitudine, smorzare la nostalgia, parlare liberamente.
Poiché il tempo libero degli immigrati italiani della prima generazione era poco, perché durante la settimana la stanchezza del lavoro esigeva riposo, i giorni in cui si concentravano il divertimento, gli incontri, le feste erano il sabato e la domenica. Le feste erano momenti aggregativi straordinari. Ne venivano organizzate in tutte le città e la partecipazione era solitamente molto alta. Spesso erano animate da artisti venuti appositamente dall’Italia. L’atmosfera era tipicamente italiana.
Negli anni Sessanta, a Zurigo, al Kongresshaus (Palazzo dei Congressi), venne anche organizzato un festival della canzone italiana, trasmesso dalla Svizzera di lingua tedesca e dalla televisione italiana. Il Festival, fu un successo e fu deciso di ripeterlo (1957-1967). Fiorenza Venturini, attenta osservatrice del fenomeno migratorio del dopoguerra, annotò che durante una di queste competizioni canore «ogni regione aveva portato il fior fiore dei propri complessi folcloristici. I romagnoli erano i più brillanti», ma «quello dei napoletani fu un vero trionfo» e «le fondamenta del Kongresshaus tremarono addirittura quando entrarono in scena i siciliani».

«Ich liebe dich»
Erano soprattutto gli adulti a partecipare alla vita associativa e alle feste, ma anche i giovani (che negli anni Sessanta erano ormai tantissimi) ne approfittavano per ballare, incontrare ragazze e fare amicizie. Essi, però, cominciavano anche a uscire dalla cerchia degli italiani ed esibendo qualche frasetta d’occasione imparata a memoria come la famosa «ich liebe dich», cominciarono anche ad avvicinare le ragazze del posto, che non sempre disdegnavano il contatto, sebbene a rischio di problemi in famiglia (non certo come all’inizio del secolo, quando interveniva addirittura la polizia per impedire che le ragazze ballassero con gli italiani).
Osservava la Venturini al riguardo che «le ragazze del Konsum e della Migros, disorientate da tutta quell’invasione di maschi giovani dal sud, avevano imparato a farsi i ricci tutte le settimane, però con i “Tschingg” non ci sarebbero andate a spasso neanche a morire. S’accontentavano di mirarli, di goderseli cogli occhi, di fingere di portarli in giro per farsi osservare di più».  Si sa che questi pregiudizi finirono per cadere, almeno in parte, e da questi rapporti sono nati molti matrimoni misti e soprattutto il superamento dell’incomunicabilità.

L’italianità finirà per piacere
Gli anni Cinquanta e Sessanta furono anni di chiusura nei contatti tra svizzeri e italiani, ma alla fine del ventennio l’italianità si era ormai imposta all’attenzione di tutti. Soprattutto nei pomeriggi domenicali, annotava da Berna il corrispondente della Stampa Francesco Rosso, «Berna si abbiglia all’italiana. Seduti sulle panchine dei giardini pubblici, i giovanotti in casacche rosse e azzurre, ammirano le ragazze che passeggiano in abiti fascianti e scollati… Non è facile immaginare il meridionalissimo ”struscio”, la passeggiata domenicale ricca di sottintesi, con rapidi sfioramenti di corpi giovani, nella Svizzera dell’efficienza, della precisione, del puritanesimo (sia pure solo apparente) ma i nostri emigranti sono riusciti a trapiantarlo con disinvolta facilità…».
Non solo lo struscio, ma l’italianità finirà per diffondersi, affermarsi e piacere, anche se il processo cominciato in quegli anni non sarà né breve né facile.
Giovanni Longu
Berna 30.10.2019

27 ottobre 2019

Attenti a certe ideologie!*


Un pensatore napoletano, Giambattista Vico (1668-1744), parlò dei «corsi e ricorsi» della storia, ossia eventi, ideologie, atteggiamenti del passato che si ripresentano in epoche successive, sia pure in forme diverse. In realtà la storia non segue un percorso circolare e nemmeno lineare, ma procede per così dire a zig zag. Nondimeno è facile osservare oggi forme di nazionalismo, patriottismo, fascismo, ecc., riconducibili a ideologie e comportamenti del passato, sia pure con significati diversi.

Populismo e sovranismo
Si pensi, per esempio, al populismo e al sovranismo. Se un tempo «populismo» esprimeva l’esigenza legittima di democrazia, di rappresentanza e di partecipazione del popolo al potere, oggi non si tratta più di una rivendicazione dei diritti popolari (già riconosciuti in tutte le costituzioni democratiche, compresa quella italiana), ma della presunzione di rappresentare al meglio il popolo attraverso una sorta di investitura dell’«uomo forte» capace di risolvere tutti i problemi. In realtà il «populismo» è una degenerazione della democrazia, ossia demagogia.
Analogo discorso potrebbe essere fatto per il «sovranismo». Se un tempo poteva aver senso sollecitare il popolo a difendere la sovranità nazionale minacciata da un altro Stato o a riacquistarla se già persa, oggi nessun popolo (almeno nel mondo occidentale) si trova in una tale condizione. Eppure i sovranisti, anche in Italia, vorrebbero che lo Stato si riappropriasse della parte di sovranità ceduta ad organizzazioni internazionali e sovranazionali in una logica di reciproci interessi, senza rendersi conto che questa forma di nazionalismo porterebbe qualunque Paese all’isolamento e al declino, in un mondo sempre più integrato e interdipendente.
Tanto il populismo che il sovranismo sono atteggiamenti pericolosi perché negano di fatto quelle forme consolidate di rappresentanza popolare e di collaborazione internazionale, che sono divenute gli assi portanti della democrazia e delle relazioni internazionali moderne. 

Neofascismo
C’è però un’altra ideologia di ritorno ancor più pericolosa di quelle appena viste, il «neofascismo». Forse il termine è improprio, ma non c’è dubbio che in molti Paesi europei l’aspirazione all’«uomo forte», all’«uomo della provvidenza», all’uso della forza per imporre l’ordine, ecc. sta crescendo. Lo si osserva facilmente sui social, nelle manifestazioni di partito o di gruppo, nei simboli esibiti, nelle celebrazioni di anniversari.

Anche in Italia da qualche anno si assiste, spesso nell’indifferenza generale, a manifestazioni con migliaia di partecipanti che rendono omaggio al duce e sottolineano quanto, sotto il fascismo, si stesse meglio. Se la nostalgia individuale è legittima, rivendicare nel caso specifico un «passato glorioso», perché ci furono nei primi anni del regime momenti di slancio innovativo e produttivo, significa scambiare la parte per il tutto e soprattutto mistificare un ventennio che fu deleterio per il popolo italiano.
I rigurgiti del fascismo sono pericolosi non tanto perché si tenta di rispolverare un passato per nulla glorioso dell’Italia, ma perché i messaggi trasmessi sono ingannevoli. Infatti non serve l’«uomo forte» per risolvere il disagio sociale, ma bastano buone leggi applicate bene. Non serve la chiusura dei porti o il blocco navale per risolvere il problema dei profughi, ma basta una buona politica dell’accoglienza e dell’integrazione. Oltretutto sarebbe anche nell’interesse dell’Italia e del suo sviluppo sostenibile.
I cattolici, che possono attingere a piene mani dalla tradizione cristiana, devono essere esempi di riferimento positivi in tutti i campi, dalla politica alla socialità, dalla cultura alla solidarietà.
Giovanni Longu
Berna 2.10.2019
* Questo articolo è stato pubblicato su Insieme (mensile della MCLI di Berna) n. 11/Novembre 2019