14 febbraio 2018

Tracce d’italianità nell’agglomerazione di Berna (1a parte)



Berna conta poco più di 142.000 abitanti (oltre 440.000 nell’agglomerazione). E’ una città ricca di storia e di cultura; la sua parte «vecchia» è un gioiello urbanistico iscritto fin dal 1983 nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Prima di diventare nel 1848 capitale della Confederazione Svizzera, era già una città ricca e famosa, a capo del Cantone più popoloso, che fino a mezzo secolo prima era stato una delle maggiori potenze territoriali europee. In tutta la sua storia, la sua cultura, l’architettura dei suoi palazzi, i quartieri non è difficile trovare tracce importanti d’italianità.

I Bernesi alla scoperta dell’Italia
Berna, Centro storico, patrimonio mondiale dell'Unesco
Quando venne scelta dai confederati come capitale della nuova Confederazione (1848), Berna contava meno di 30 mila abitanti, ma era tra le città più importanti della Svizzera con una storia e un prestigio di tutto rispetto. Dalla sua fondazione (1191), per secoli si era sviluppata come città-Stato fino a diventare già nel XV e XVI secolo ricca e potente.
Durante tutta la sua storia l’influsso italiano è stato notevole e costante. Era cominciato ben prima dell’arrivo in massa degli immigrati italiani di fine Ottocento e inizio Novecento. E’ significativo che fino alla proclamazione di Berna capitale della moderna Confederazione c’erano molti più bernesi in Italia (737) che italiani in tutto il Cantone di Berna (214).
L’interesse dei bernesi per l’Italia era cominciato molto presto. Meno di un secolo dopo la fondazione della città si sa che alcuni studenti bernesi frequentavano l’università di Bologna. Da allora saranno sempre più numerosi gli studenti e gli studiosi, ma anche i ricchi bernesi che compiranno viaggi di studio e di piacere in Italia, senza dimenticare i viaggi a Roma degli ecclesiastici provenienti dai numerosi conventi di Berna e della regione, allora governati spesso da appartenenti alla ricca nobiltà.

Viaggi di studio e missioni diplomatiche
Per accedere alle più importanti cariche pubbliche, ma anche per esercitare alcune professioni liberali, era indispensabile conoscere il diritto romano, il latino, la cultura classica. Verso la metà del XV secolo sono numerosi i bernesi che si sarebbero potuti incontrare nelle principali città italiane, da Como a Milano, Pavia, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Genova, ecc. Molti di essi erano sicuramente in missione diplomatica perché Berna era allora una potenza territoriale e doveva intrattenere rapporti con tutti gli Stati vicini, anche a sud delle Alpi.
Dalle cronache della città di Berna e dal Dizionario storico della Svizzera, si scopre, per esempio, che il cancelliere della città di Berna Thüring Fricker (1429-1519) ha studiato a Pavia e ha compiuto diverse missioni diplomatiche a Milano e a Roma. Anche il nobile e politico Adrian von Bubenberg (1434-1479), al quale Berna ha dedicato una grande statua vicino alla stazione centrale, ha partecipato a missioni diplomatiche in Savoia.
Konrad von Scharnachtal (1433-1472), un esponente del patriziato di Berna, è addirittura cresciuto alla corte dei Savoia e ha compiuto numerosi viaggi anche in Italia. Ludwig von Diesbach (1452-1527), durante il viaggio di Massimiliano I (1459-1519) a Roma per essere incoronato imperatore, a Pavia fu promosso cavaliere insieme ad altri bernesi. Un altro bernese molto colto, un umanista, che conosceva bene l’Italia era Heinrich Wölfli (1470-1532) che ha lasciato un resoconto del suo viaggio di andata e ritorno a e da Gerusalemme passando attraverso diverse città italiane (Como, Milano, Pavia, Venezia, Roma, Ferrara). Un altro influente personaggio, Johannes Armbruster (1478-1508), noto anche col nome latino Balistarius), membro del Gran Consiglio bernese, svolse importanti missioni diplomatiche in Italia per appianare divergenze con Venezia.

Reminiscenze e racconti di viaggi
Questi personaggi, e sicuramente molti altri, riuscivano a cogliere gli aspetti più significativi dell’Italia umanistico-rinascimentale e a restarne impressionati. E’ impensabile che la loro esperienza politica, culturale o artistica non ne fosse influenzata. Di fatto, in numerosi discorsi pubblici del XV secolo non è raro incontrare riferimenti a Cicerone, Cesare, Tacito, Catone e altri personaggi della latinità. Inoltre i fatti parlano chiaro. In quel periodo, e anche in seguito, il Rinascimento italiano fu fonte di inesauribile ispirazione nell’abbellimento della città, dalle fontane del centro storico al Palazzo federale (al riguardo rimando a precedenti articoli intitolati «Quanta italianità c’è a Berna» e consultabili nel blog: http://disappuntidigiovannilongu.blogspot.ch/).
Berna, centro storico: Kramgasse
L’immagine dell’Italia non era tuttavia affidata solo ai ricordi di viaggio, di studio o di inviati diplomatici. Moltissimi svizzeri e molti bernesi si trovarono infatti in Italia per ragioni militari, come soldati mercenari e dal 1506 anche come «guardie pontificie». Del resto i papi e cardinali del tempo dovevano conoscere bene Berna se, nel 1463, ben sette cardinali romani concessero indulgenze ai fedeli che avessero visitato la cattedrale di Berna, dedicata a San Vincenzo di Saragozza, il giorno della festa del santo e avessero lasciato doni in denaro.
Non solo la Stato pontificio, ma tutti gli Stati italiani di allora ambivano a poter disporre di truppe svizzere, anche se non tutti potevano permettersele. Tra l’altro, gli svizzeri vi andavano volentieri non solo per il soldo, la paga che ricevevano, ma anche perché là si mangiava bene e si beveva vino. In generale, l’Italia appariva come un Paese delle meraviglie e, probabilmente, in seguito alle descrizioni che ne venivano fatte al loro rientro in patria, persino ai contadini bernesi appariva come un paese da sogno.

Continuità di rapporti anche durante la Riforma
Dopo la sconfitta di Marignano (1515), per qualche critico l’Italia divenne una specie di Paese maledetto, il Paese del disastro, perché nell’immaginario collettivo quella sconfitta ha rappresentato per molto tempo il crollo del mito dell’imbattibilità degli svizzeri dai tempi di Giulio Cesare.
Tuttavia, anche dopo la Riforma (introdotta a Berna nel 1528) i rapporti con l’Italia, sebbene meno frequenti restarono continui e importanti. Per esempio Albrecht von Haller (1708-1777), grande studioso bernese, intratteneva una intensa corrispondenza con studiosi italiani. Nel 1765 il celebre giurista milanese Cesare Beccaria (1738-1794), autore del trattato «Dei delitti e delle pene» ricevette il Premio della «Société des Citoyens» di Berna. Il patrizio bernese Karl Viktor von Bonstetten (1745-1832) scoprì l’italianità dapprima attraverso alcuni viaggi nei «territori italiani» a sud delle Alpi e poi direttamente durante un lungo viaggio attraverso l’Italia (1773-74) e a Roma e dintorni (1802-03). I suoi racconti di viaggio erano molto apprezzati.
Il periodo della Riforma è anche quello in cui arrivarono in Svizzera molti perseguitati italiani per motivi religiosi. Per lo più trovavano rifugio a Ginevra, Basilea o Zurigo, ma qualcuno arrivò anche a Berna. Per esempio, Fortunato Bartolomeo de Felice (1723-1789) che, convertitosi alla Riforma, divenne uno dei principali illuministi bernesi insieme a Vincenz Bernhard von Tscharner (1728-1778).
Ci fu anche qualche cittadino bernese che fece il percorso inverso, come Niklaus Albert von Diesbach (1732-1798), già membro del Consiglio di Berna e maggiore nel reggimento svizzero a Torino, protestante, si convertì al cattolicesimo e divenne precettore del futuro re di Sardegna Vittorio Amedeo III (1726-1796) e in seguito gesuita e missionario fra l’altro in Svizzera.

I primi immigrati italiani
Scena della "Danza macabra" di Niklaus Manuel.
Non è dato sapere quando sono giunti a Berna i primi immigrati per motivi di lavoro, ma è probabile che fin dal Medioevo qualche commerciante piemontese o lombardo si sia spinto fino a Berna. Ci furono tuttavia almeno due immigrati che meritano di essere qui ricordati. Uno era Bartolomeo May (1446-1531), capostipite di una ricca famiglia patrizia bernese, proveniente dalla regione di Como. Verso la fine del XIV secolo ottenne la cittadinanza, venne ammesso nella corporazione dei pellicciai, entrò nel Gran Consiglio e avviò insieme ai figli importanti attività commerciali. L’altro era Niklaus Manuel (1484-1530), di origine piemontese. Suo nonno, commerciante di tessuti e di spezie, era giunto a Berna da Chieri, vicino a Torino, verso il 1460. Suo figlio, padre di Niklaus, aveva sposato la figlia di quel Thüring Fricker, influente cancelliere della città di cui si è fatto cenno prima.
Niklaus Manuel, dopo essere stato per qualche tempo mercenario, politico e diplomatico, divenne famoso soprattutto come pittore, ma anche come critico del servizio mercenario e della decadenza morale della Chiesa e della società. E’ considerato per questo da alcuni studiosi una delle personalità più incisive della Svizzera alla soglia dell’era moderna. La sua notorietà è legata soprattutto alla monumentale «Danza macabra» che dipinse nel 1516-19 sulle mura del cimitero del convento dei domenicani di Berna e che, secondo alcuni studiosi, ha avuto un influsso forse determinante sulla Riforma.
Sicuramente i May e i Manuel non furono gli unici italiani a emigrare a Berna prima dell’Ottocento; ma sarà solo verso la fine del XIX secolo che gli italiani cominceranno ad arrivare in gran numero, addetti dapprima quasi esclusivamente all’edilizia,
successivamente anche all’industria. Nel 1850 vennero censiti nel Cantone di Berna solo 214 italiani, di cui 195 «sardi» (savoiardi). (Segue)
Giovanni Longu
Berna 14.02.2018