A completamento del quadro riguardante l’impegno politico degli italiani residenti in Svizzera nel periodo in esame (1991-2000) s’intende esaminare in questo articolo il contributo delle istituzioni italiane allo sviluppo della lingua italiana e dell’italianità in generale. Purtroppo fu scarso perché mancava nel campo italiano (come del resto anche in quello svizzero) una politica linguistica di lungo respiro. Molti italiani pensavano che spettasse allo Stato italiano e alle rappresentanze diplomatiche e consolari in Svizzera garantire l’italianità dei propri cittadini. A loro volta, le istituzioni italiane ritenevano probabilmente che il loro impegno principale si esaurisse nel garantire i corsi di lingua e cultura ai bambini in età scolastica. Gli italiani integrati e soprattutto quelli con la doppia nazionalità sembravano completamente ignorati.
La situazione
Per le istituzioni svizzere il calo sembrava dovuto
soprattutto alla diminuzione (ormai inesorabile) degli immigrati italiani ed
era irrimediabile. Del resto non destava ancora preoccupazione perché non
concerneva se non minimamente la popolazione italofona di nazionalità svizzera.
Anche per le autorità italiane il fenomeno era strettamente legato al gran
numero dei rientri e probabilmente irreversibile, per cui il loro compito si
limitava soprattutto a garantire ai cittadini in età scolastica che avevano
deciso di rientrare prossimamente in Italia una sufficiente conoscenza della
lingua e della cultura italiana in modo da potersi inserire senza grosse
difficoltà nel contesto italiano.
Interrogativi sul futuro dei corsi di lingua
e cultura
Nessuno ancora metteva in dubbio l’utilità dei corsi di
lingua e cultura per i bambini prossimi al rientro, ma già si cominciava a
discutere sul futuro di tali corsi, perché era sempre più evidente che il
numero dei destinatari per i quali erano stati introdotti (i figli degli
emigrati) si riduceva sempre di più. La maggior parte degli italiani in età
scolastica era infatti ormai costituita da italiani di seconda e terza
generazione, che certamente non avevano in cima ai loro pensieri un prossimo
rientro in Italia. Molti di essi avevano addirittura la doppia nazionalità. Se
nei decenni passati i corsi di lingua e cultura erano finalizzati a facilitare
l’inserimento degli allievi nelle scuole italiane in caso di rientro dei loro
genitori, questa finalità non era più attuale.
Gli interrogativi erano seri. Avrebbero avuto ancora senso
questi corsi organizzati e finanziati dallo Stato italiano? Non sarebbe stato
preferibile trovare un accordo con le autorità svizzere per integrarli nel
sistema scolastico cantonale? Del resto erano sempre più numerosi gli italiani
che sostenevano l’opportunità di coinvolgere maggiormente la Confederazione e i
Cantoni nella difesa dell’italiano e dell’italianità. Evidentemente, però, i
tempi non erano maturi per quel tipo di accordi e per una visione lungimirante
della collaborazione italo-svizzera nella politica linguistica e scolastica.
Per gli italiani adulti che avevano deciso di rimanere in
Svizzera il calo dell'italofonia non appariva rilevante perché continuavano a
ricevere i tradizionali contributi a pioggia dello Stato italiano, che
servivano a tenere in vita associazioni, giornali, fogli e foglietti delle
principali organizzazioni e a incoraggiare qualche manifestazione vagamente
«italiana».
Eppure si sentiva in diversi ambienti, italiani e svizzeri,
la necessità di affrontare il problema della lingua italiana, in affanno almeno
a nord delle Alpi, e dell’italianità, a livello nazionale, con interventi
mirati e coordinati per non dissipare il capitale faticosamente accumulato.
Effettivamente, già nel periodo in esame e subito dopo, furono intraprese,
benché non sempre in modo coordinato, numerose iniziative utili, soprattutto da
parte di alcune istituzioni italiane (per esempio l’Associazione degli
scrittori di lingua italiana in Svizzera, la Federazione delle colonie libere
italiane in Svizzera, l’Ambasciata d’Italia, alcuni Consolati, alcuni Comitati
cittadini d’intesa, alcuni Comites). Vennero organizzati incontri, dibattiti,
conferenze, feste popolari, celebrazioni di importanti anniversari, ecc.
Si cercò soprattutto (col contributo della stampa italiana cosiddetta d’emigrazione) di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’italiano e dell’italianità, coinvolgendo insegnanti, genitori, allievi, associazioni, intellettuali, artisti, amanti della cultura, dell’arte e della moda italiane e dell’Italia e altri. Mancava, tuttavia, il coinvolgimento diretto delle istituzioni svizzere, per cause che sono in parte note e che comunque non è più il caso di evocare ancora. Resta il fatto, estremamente importante e significativo, che anche nel campo svizzero si cominciò a percepire nettamente il pericolo di un franamento a nord delle Alpi della lingua italiana per la coesione nazionale e per l’immagine (internazionale) della Svizzera plurilingue e multiculturale.
Coinvolgimento delle istituzioni svizzere
Purtroppo non ci fu, nel periodo in esame, un coordinamento
tra le varie istituzioni interessate all'italofonia, ma evidentemente furono
gettati buoni semi che germoglieranno e produrranno buoni frutti in seguito. Se
ne tratterà probabilmente in seguito, ma già ora meritano comunque alcuni cenni.
In particolare: l’approvazione della Legge federale sulle lingue nazionali e
la comprensione tra le comunità linguistiche del 2007 (che impegna la
Confederazione e i Cantoni a promuovere il plurilinguismo, per esempio
attraverso scambi linguistici in ambito scolastico), i molteplici interventi
della Confederazione a sostegno dei Cantoni plurilingui e in particolare dei
Cantoni Ticino e Grigioni, la creazione degli intergruppi parlamentari «Plurilinguismo CH» e «Italianità», la
creazione nel 2012 del «Forum
per l’italiano in Svizzera», istituito su iniziativa dei Cantoni
Ticino e Zurigo, le molteplici attività sul plurilinguismo promosse dal gruppo
di riflessione apartitico« Coscienza svizzera», l’organizzazione delle «Giornate
del plurilinguismo» in seno all'Amministrazione federale, ecc.
Un accenno particolare meriterebbero alcune interessanti
pubblicazioni sulle lingue di «Coscienza svizzera» e il recente (2021) rapporto
molto accurato e dettagliato commissionato dal Forum per l’italiano in Svizzera
su «La posizione dell’italiano in Svizzera. Uno sguardo sul periodo
2012-2020 attraverso alcuni indicatori» (2021), ma evidentemente manca lo
spazio necessario. Se ne parlerà probabilmente in altra occasione perché la
problematica linguista e la situazione dell’italiano sono comunque temi sempre
attuali e decisivi anche per il futuro dell’italianità in Svizzera.
La direzione è segnata
Dopo il coinvolgimento delle istituzioni svizzere
interessate e i risultati già raggiunti è facile concludere che avevano ragione
coloro che ritenevano, almeno dagli anni Ottanta (!), che era indispensabile
coinvolgere le istituzioni svizzere nella problematica sul futuro
dell’italianità in Svizzera. Effettivamente si può dire che il clima
linguistico è oggi più sereno che vent'anni fa e che nel frattempo si sono
aperti spiragli di ottimismo per il futuro. I dati recenti sulle lingue
dell’Ufficio federale di statistica attestano, per esempio, che la lingua
italiana sembra stabilizzarsi attorno a valori sostenibili e fanno dunque ben
sperare.
L’esperienza ha dimostrato ampiamente che l’intesa è
vantaggiosa. Anche l’opinione pubblica sia svizzera che italiana sembra aver
capito che la conoscenza della lingua e della cultura italiana rappresenta non
solo un arricchimento culturale individuale, ma anche un potenziamento della collaborazione italo-svizzera nell'interesse reciproco
della Svizzera e dell’Italia. La direzione da seguire è perciò segnata. (Fine)
Giovanni Longu
Berna, 13.07.2022