Nel precedente articolo, alla domanda «Perché dopo il 1970 l’immigrazione non s’interruppe?» la risposta è stata che «evidentemente il clima generale dava segni di miglioramento, la paura diminuiva, le tensioni tra svizzeri e stranieri sembravano attenuarsi e, soprattutto nelle grandi città, alcune iniziative cercavano di favorire il dialogo e la comprensione reciproca». Gran parte del merito del cambiamento veniva attribuito al popolo svizzero che respingeva sistematicamente in votazione popolare le iniziative xenofobe e auspicava sempre più una convivenza più serena e collaborativa con gli stranieri. Il merito va tuttavia esteso anche ad altri protagonisti, che meritano di essere ugualmente presi in considerazione, in questo e nel prossimo articolo.
Il ruolo delle
Chiese svizzere
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Le Chiese sono da tempo in prima linea a fianco dei migranti. |
L’immigrazione italiana e spagnola avevano
sconvolto il paesaggio religioso tradizionale, incrementando non solo la
statistica dei cattolici a scapito di quella protestante, ma pure l’edilizia
religiosa per dar modo anche ai cattolici di svolgere i loro riti e animare le
loro comunità in edifici accoglienti e capienti. Non tutti i fedeli seguivano
le parole d’ordine dei loro vescovi, ma queste erano sicuramente seguite da
molti e avevano un peso nell’opinione pubblica.
Alla vigilia della votazione sull'iniziativa
Schwarzenbach del 1970, le Chiese svizzere erano intervenute con un Memorandum per denunciare l’aumento delle
manifestazioni e azioni di stampo razzista e il rischio di «distruggere la pace
tra uomini e donne di origini diverse». Il documento richiamava l’attenzione
anche su alcuni elementi che stavano alla base della xenofobia, per esempio una
« crescente insicurezza», «qualità di vita in regresso», «paura del futuro»,
l’uso corrente di «espressioni squalificanti quali “espulsione”, “asilante”,
“rifugiato per motivi inesistenti o economici”» e simili. Per superare la
xenofobia e le sue cause, le Chiese
invitavano le autorità politiche a impegnarsi maggiormente con «misure concrete nel
campo dell’istruzione e della formazione e pure nella
politica sociale, economica e dello sviluppo».
Già nel 1965, in un intervento alla Camera dei
deputati, l’onorevole Mario Toros,
sindacalista democristiano, aveva elogiato l’impegno dei vescovi cattolici svizzeri per attirare l'attenzione
dell'opinione pubblica sui problemi degli emigrati. In una lettera pastorale
avevano posto in modo chiaro e coraggioso ai cattolici svizzeri «problemi dei
quali nemmeno i sindacati italiani hanno ritenuto di prospettare in termini
espliciti la soluzione. Non dobbiamo quindi generalizzare e ritenere che i
nostri lavoratori non possano contare in territorio elvetico su forti correnti
di opinione a loro favorevoli».
Tra gli stranieri erano particolarmente attive
le numerose Missioni cattoliche italiane
(MCI) che garantivano specialmente nelle grosse agglomerazioni urbane non solo
assistenza spirituale, ma anche assistenza sociale sia ai nuovi immigrati che a
quelli residenti. Per decenni le MCI sono state il principale centro di
accoglienza e di aggregazione degli immigrati italiani. Spesso, infatti, erano
anche veri e propri centri sociali in cui si svolgevano numerose pratiche
burocratiche e in cui, soprattutto, era possibile sviluppare una certa vita
sociale (incontri, feste), scolastica (asili nido, scuole per bambini, corsi
per adulti, ecc.), culturale (conferenze, cinema, teatro, musica, ballo, ecc.),
associativa (nascita di associazioni, club sportivi). Ancora oggi, le MCI
sopravvissute alla diminuzione dell’immigrazione italiana, sono importanti
centri di aggregazione sociale.
Centri di contatto e commissioni comunali degli
stranieri
Fin dal 1970, quando si capì che l’integrazione degli stranieri non
poteva essere solo un compito politico della Confederazione, ma doveva trovare
stimoli e concretezza soprattutto nei Cantoni e nelle Città, cominciarono a
sorgere, dapprima nei grandi Centri e poi anche in molti minori, associazioni,
gruppi, comunità di lavoro e veri e propri Centri di contatto
svizzeri-stranieri, che idealmente dovevano favorire il dialogo, la conoscenza
reciproca, la diffusione della traduzione simultanea negli incontri con le
autorità, la realizzazione di iniziative comuni, il superamento del disagio
sociale degli stranieri.
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Negli anni '80 cominciano a diffondersi nelle grandi città, grazie ai Centri di contatto e alle Commissioni degli stranieri opuscoli di benvenuto ricchi d'informazioni per i nuovi arrivati. |
Chi ha vissuto quegli anni ricorda certamente l’entusiasmo con cui i
Centri di contatto svolgevano i loro compiti, producevano in varie lingue utili
informazioni, organizzavano corsi linguistici, supportavano con interpreti
incontri tra genitori e insegnanti, mediavano le esigenze degli stranieri con
le amministrazioni comunali, ecc. Purtroppo non era sempre facile coinvolgere
gli adulti stranieri perché ciò presupponeva almeno una conoscenza di base
della lingua locale, l’interesse al dialogo costruttivo e un minimo di
competenza nelle materie trattate. Nei Centri dove queste difficoltà erano
state superate i risultati non tardarono ad arrivare.
Alcuni di questi Centri si trasformarono o diedero ampio supporto alle
Commissioni comunali degli stranieri. In qualche Città, per esempio a Berna,
negli anni Ottanta si riuscì a far partecipare in Commissioni scolastiche
ufficiali rappresentanti di genitori stranieri non eletti, benché senza diritto
di voto. Per agevolare l’inserimento scolastico dei bambini stranieri si riuscì
a dar loro la possibilità di frequentare gli asili nido per due anni invece di
uno (com'era allora la norma). In quegli anni cominciarono a diffondersi anche
le biblioteche popolari, i doposcuola, l’aiuto a fare i compiti per i bambini
con maggiori difficoltà, ecc.
Apertura moderata
alle esigenze degli stranieri
I primi successi della politica svizzera di
stabilizzazione e integrazione della popolazione straniera, gli interventi
delle Chiese che denunciavano la xenofobia e richiamavano le autorità a
intraprendere azioni concrete in campo sociale e formativo e le attività sul
terreno dei Centri di contatto sono certamente passi importanti nel processo
integrativo degli stranieri nel periodo in esame (1970-1990).
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Berna, manifestazione a favore dell'iniziativa Mitenand (1978) |
La prova di quanto appena affermato fu data
dalla clamorosa bocciatura dell’iniziativa popolare denominata «Mitenand»/«Essere solidali», lanciata come reazione alle iniziative xenofobe da un movimento
cattolico e sottoposta al voto popolare il 5 aprile 1981. L’iniziativa fu respinta dall’83,8 per
cento dei votanti (poche iniziative popolari nella storia della moderna Confederazione furono respinte con altrettanta
chiarezza).
Le
ragioni della bocciatura, su cui si ritornerà nel prossimo articolo, furono
essenzialmente due: da una parte le richieste della
Mitenand erano ritenute pericolose e inaccettabili (abolizione
dello statuto dello stagionale, diritto al rinnovo del permesso di dimora,
ricongiungimento con le famiglie, la libera scelta del posto di lavoro e altro
ancora), dall'altra apparivano più credibili i
successi della nuova politica immigratoria del Consiglio federale e le promesse
di ulteriori miglioramenti (grazie a una nuova legge in preparazione) apparivano
credibili.
Giovanni Longu
Berna, 13 ottobre 2021