10 marzo 2021

Immigrazione italiana 1970-1990: 40. Italiani più criminali degli svizzeri?

Negli anni 1970-1990 l’immigrazione italiana in Svizzera ha subito una trasformazione radicale sotto molti aspetti, di cui si è cercato fin qui di dar conto, sia pure per accenni, non solo per conoscerne il passato, ma anche per rendersi conto che i cambiamenti non sono avvenuti senza grandi sacrifici. Una delle sofferenze maggiori che hanno subito gli immigrati (e in particolare gli italiani) era dovuta al diffuso sospetto che gli stranieri fossero pericolosi e addirittura inclini alla delinquenza. Di fatto, ad ogni episodio criminale concernente stranieri veniva dato sempre ampio risalto sui media (solitamente riservati e prudenti quando i sospettati erano svizzeri). La propaganda xenofoba ne approfittava (e ancora ne approfitta!) enfatizzando ogni caso dov’era coinvolto un immigrato. Sempre poca attenzione era invece riservata ai risultati di studi e ricerche che relativizzavano la presunta eccessiva criminalità degli stranieri.

Non era una novità

Chi conosce la lunga storia dell’immigrazione italiana in Svizzera sa che gli allarmi sulla presunta criminalità accentuata degli stranieri sono lanciati soprattutto nei periodi in cui sembrano crescere troppo o in cui la popolazione indigena, colpita da qualche difficoltà particolare, è meno disponibile ad accoglierli. Questa situazione si è verificata varie volte in Svizzera, ma soprattutto in due periodi, prima che scoppiasse la prima guerra mondiale e negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

La presunzione che gli stranieri, e soprattutto gli italiani, fossero inclini alla delinquenza, sia quella spicciola che quella grave, era radicata nell’opinione di molti svizzeri già all’inizio del Novecento, quando gli italiani erano considerati persone senza scrupoli, immorali, facili accoltellatori, senza avvertire che spesso le vittime erano proprio loro.

Pur essendo innegabile che nella storia della collettività italiana in Svizzera ci siano stati molti episodi di criminalità, talvolta gravi, a danno sia di indigeni che di connazionali, i dati sulle condanne penali, se ben analizzati, non hanno mai dimostrato che gli stranieri fossero più criminali degli indigeni. Negli anni 1909-1911, furono condannati 29.659 svizzeri e 12.353 stranieri, ossia mediamente ogni anno su 10.000 persone 76,9 stranieri e 42,3 svizzeri. Ciò nonostante, era sparsa già allora la leggenda degli italiani sempre pronti all’uso micidiale del coltello.

Gli studi degli anni ’70 e ‘80

Negli anni Settanta e Ottanta, caratterizzati soprattutto dalla xenofobia, la propaganda xenofoba faceva leva sulla paura degli stranieri e niente era più facile che alimentarla enfatizzando alcuni fatti di sangue, di aggressioni e di violenza. Poiché, tuttavia, questa enfasi a molti svizzeri rappresentanti delle istituzioni appariva sospetta, alla criminalità degli stranieri, specialmente nel confronto con quella degli svizzeri, vennero dedicati studi e ricerche a livello sia nazionale che locale.

Poiché non è di per sé sbagliato affermare che gli stranieri in un Paese sono spesso più criminali degli indigeni, si voleva verificare, sulla base di dati certi e analisi serie, se ed eventualmente quanto una tale affermazione fosse giustificata nel contesto svizzero. Si voleva anche evitare che criminalizzando facilmente gli stranieri si nuocesse all’immagine della Svizzera all’estero.

Da una delle prime ricerche sulla criminalità condotta nel dopoguerra tra gli immigrati italiani nel Cantone di Zurigo dal 1949 al 1960, che analizzava oltre ai fatti anche le circostanze, risultava per esempio che i controlli di polizia a cui erano sottoposti gli stranieri erano ben più severi di quelli degli svizzeri. Nel complesso, non veniva rilevata alcuna differenza significativa tra svizzeri e italiani residenti.

Alla stessa conclusione era giunta nel 1964 la Commissione di studio dell’Ufficio federale dell’industria, delle arti e mestieri e del lavoro (UFIAML), affermando che non esisteva alcuna differenza notevole tra il tasso di criminalità della popolazione svizzera e quello degli stranieri.

La conferma delle statistiche


Non c’è spazio per riferirne dettagliatamente, ma è forse sufficiente ricordare che tutte le indagini statistiche riguardanti il periodo in esame finivano per ricondurre il tasso di criminalità degli stranieri alla normalità fisiologica di una società viva, complessa e multietnica, con forti disuguaglianze sociali.


Le indagini più serie, soprattutto quelle condotte per conto della Commissione federale degli stranieri (1974…) o direttamente dall’Ufficio federale di statistica, prima di giungere alle conclusioni disgregavano i dati grezzi non solo secondo la nazionalità (svizzeri-stranieri) e il sesso (uomini-donne), ma anche per caratteristiche sociodemografiche significative (per es. classi d’età, classe sociale, livello di formazione, permesso di soggiorno e altro). Tutte arrivano a conclusioni molto simili, interessanti e rassicuranti.

Per esempio, considerando che gli stranieri erano rappresentati soprattutto nelle classi di età tra 15 e 59 anni, e cioè nelle classi da cui proveniva l’ampia maggioranza dei delinquenti, poiché (in base ai dati del censimento federale della popolazione del 1970) le classi di età menzionate rappresentavano il 70% della popolazione totale straniera e solo il 58% di quella svizzera, si poteva persino concludere che rispetto agli indigeni gli immigrati erano addirittura mediamente meno criminali degli svizzeri.

Da altre indagini statistiche sulle condanne penali (per violazione del codice penale svizzero) non emergeva inoltre praticamente nessuna differenza tra indigeni e stranieri dal punto di vista del genere di delitto. Qualche indagine smentiva anche l’opinione alquanto diffusa secondo cui gli stranieri si comportavano in modo più criminale nell’ambito della moralità rispetto alla popolazione indigena.

Non va inoltre dimenticato, come ha fatto notare più volte l’Ufficio federale di statistica, che «spesso gli stranieri sono condannati per delitti che gli svizzeri non possono compiere. E’ il caso soprattutto delle violazioni alla legge concernente la dimora e il domicilio degli stranieri». Se si considerassero solo le leggi riguardanti tanto la popolazione residente sia svizzera che straniera quanto i richiedenti l’asilo, la quota degli stranieri sul totale dei condannati corrisponderebbe all’incirca a quella degli svizzeri.

Eppure gli attacchi continuano

Eppure, ancora oggi, purtroppo, il vizio di criminalizzare ingiustamente immigrati e richiedenti l’asilo funziona e per stigmatizzare maggiormente la presunta devianza degli stranieri si cerca, per esempio, di indicare accanto al nome del presunto delinquente anche la sua cittadinanza, come se non bastasse l’origine «straniera» e all’opinione pubblica fosse di qualche utilità conoscere la nazionalità dei criminali.

In generale, gli autori di statistiche criminali fanno anche notare che non è sempre affidabile il quadro che si ricava dall’analisi delle condanne penali perché non tutti i crimini sono denunciati e scoperti e non tutti giungono a processo. Ciò nonostante, molti svizzeri sembrano appassionarsi a queste statistiche col risultato che da tempo sta crescendo in Svizzera la convinzione che i crimini siano in aumento, soprattutto ad opera degli stranieri, benché si registri una diminuzione.

L’attenzione e la circospezione in questo campo non dovrebbe mancare, anche perché alcuni ambienti antistranieri stimolano artificiosamente la «percezione» di una crescente criminalità nella società dovuta agli stranieri. Occorre tenere gli occhi aperti, stando attenti che spesso questo tipo di allarmismo serve a distogliere l’attenzione da altre negatività presenti nella società e persino a camuffare atteggiamenti di evidente discriminazione nei confronti degli stranieri.

Giovanni Longu
Berna, 10.03.2021