06 settembre 2023

Per una pace «giusta» tra Russia e Ucraina (sesta parte)

Come detto nell'articolo precedente, ritengo la via della pace tra Russia e Ucraina lunga e difficile, ma non impossibile. Le condizioni esterne (clima e pressioni internazionali) e interne (desiderio assoluto di vivere in pace sia degli ucraini che dei russi) sono favorevoli sia per il cessate il fuoco che per l’avvio del negoziato di pace. Se ciò non dovesse avvenire in tempi brevi, mi pare ovvio che la responsabilità ricadrebbe principalmente sui due capi di Stato di Russia e Ucraina, Putin e Zelensky, ma anche sui governi degli Stati che contribuiscono in qualsiasi forma ad alimentare questa guerra. Stanno infatti abusando dei loro poteri e i popoli dovrebbero tenerne conto al momento delle elezioni.

Interessi degli abitanti al primo posto

Papa Francesco: «La pace è possibile, se davvero voluta»


A ulteriore chiarimento e completamento di quanto già affermato negli articoli precedenti sulle condizioni essenziali per avviare serie trattative di pace, vorrei ribadire che al primo posto dovrebbe figurare l’interesse degli abitanti dei territori contesi. Questo corrisponde anche allo spirito dello Statuto dell’ONU non solo quando richiama i diritti fondamentali dell’uomo e le libertà fondamentali per tutti «senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione», ma anche quando afferma «il principio che gli interessi degli abitanti [dei territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia] sono preminenti» e chiede il «rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli».

Del resto, nella coscienza giuridica delle democrazie mondiali è ormai consolidato il principio che la sovranità appartiene primariamente al Popolo e non allo Stato e tanto meno al Governo, per cui gli interessi del popolo che abita un determinato territorio sono prioritari rispetto agli interessi della politica e dello Stato. Pertanto, la sovranità, come affermano ormai tutte le costituzioni democratiche del mondo (anche quella italiana), appartiene primariamente al Popolo, non allo Stato. Senza questa premessa di diritto internazionale non sarà possibile nessuna trattativa di pace tra Russia e Ucraina.

Questo concetto era ben presente anche nei negoziatori del secondo Accordo di Minsk del 2015 ed è difficile accettare che i due Stati europei Germania e Francia, firmatari di quell'accordo (Protocollo di Minsk II), si siano dimenticati di quanto avevano sottoscritto allora. Uno dei punti principali dell’accordo era il seguente: «Effettuare la riforma costituzionale in Ucraina […] che preveda come elemento cardine la decentralizzazione e prevedere una legislazione permanente sullo status speciale delle aree autonome delle regioni di Donetsk e Lugansk che includa, inter alia, la non punibilità e la non imputabilità dei soggetti coinvolti negli eventi avvenuti nelle citate aree, il diritto all'autodeterminazione linguistica, la partecipazione dei locali organi di autogoverno nella nomina dei Capi delle procure e dei Presidenti dei tribunali delle citate aree autonome».

Ripartire da quelle affermazioni, non necessariamente riproponendole tali e quali significherebbe dare un contributo oggettivo all'avvio dei negoziati. Perché, invece, Germania e Francia, non osano scostarsi dalla linea più rigida della Nato e degli Stati Uniti?

Opinione pubblica determinante

Per mons. Zuppi, mediatore tra Russia e Ucraina,
«la pace è sempre possibile. Difficile, ma possibile»
 
Per decidere il fallimento della guerra e l’utilità della pace sarebbe auspicabile che non solo nei Paesi citati, ma in tutto l’Occidente, l’opinione pubblica si mobilitasse esprimendo completo dissenso non solo sull'aggressione russa ma anche sul proseguimento della guerra. L’opinione pubblica dovrebbe anche ribellarsi al massiccio condizionamento della narrazione di questa guerra, quasi sempre a senso unico, pilotata dai potenti media americani ed europei, che sono riusciti finora a focalizzare l’attenzione quasi esclusivamente sull'aggressione russa, dimenticando che prima dell’invasione c’era in corso, nell'Ucraina orientale, una guerra civile perché alla maggioranza russofona in quella regione veniva negato il diritto all'autogoverno, e snobbando qualsiasi tentativo di mediazione, compreso quello del Vaticano, che non ricevesse la preventiva approvazione americana.

A questo punto, visto che le operazioni militari provocano solo morte e distruzione, che la conquista di qualche chilometro quadrato non vale certo le migliaia di morti e i danni incalcolabili che provoca, che a sostenere la guerra sono ormai quasi solo interessi economici (militari) e di potere, che gli interessi degli ucraini hanno sempre meno peso e che a ricordarsi dell’Ucraina «terra martoriata che soffre tanto» è rimasto quasi solo papa Francesco, ad imporre un immediato cessate il fuoco e avviare un serio negoziato di pace potrebbe essere solo una forte presa di coscienza e una ribellione dell’opinione pubblica occidentale.

Sarebbe anche auspicabile che la Svizzera, Paese (ancora) neutrale e con una storia esemplare nella soluzione di situazioni conflittuali analoghe a quelle combattute oggi in Ucraina e grandi capacità di mediazione, non rinunciasse ai tradizionali «buoni uffici» e proponesse soluzioni valide e sostenibili. All'argomento sarà dedicato il prossimo articolo. (Segue)

Giovanni Longu
Berna, 6.9.2023