03 giugno 2025

1925: Conferenza di Locarno tra realtà e illusione

La cittadina di Locarno, in Svizzera, sul Lago Maggiore, gode di un microclima particolare che la rende una meta turistica di prim'ordine a livello nazionale e internazionale. Oggi, la sua notorietà è legata soprattutto al Festival internazionale del cinema di Locarno, la più importante manifestazione cinematografica svizzera e una fra le più importanti d’Europa, Locarno era già molto rinomata agli inizi del secolo scorso, quando fu scelta come sede di una conferenza di pace. Si trattava in particolare di garantire il confine renano tra la Francia, il Belgio e la Germania, stabilito dal Trattato di pace di Versailles dopo la prima guerra mondiale (1914-1918). La Conferenza di Locarno di cent’anni fa viene qui rievocata perché rappresentò per l’Europa una grande speranza, trasformatasi pochi anni più tardi in una cocente delusione, da cui non sembrava potersi facilmente riavere.

Dal Trattato di Versailles alla Conferenza di Locarno

Foto-ricordo della Conferenza di Locarno
Col Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919 da 44 Stati, i vincitori della guerra decisero di far pagare cara ai tedeschi l’immane tragedia che avevano provocato ai popoli europei. Esso infatti obbligava la Germania a cedere territori al Belgio, alla Cecoslovacchia e alla Polonia, imponeva ingenti riparazioni di guerra, lo smantellamento dell'impero coloniale tedesco, la demilitarizzazione della Renania, la riduzione massiccia dell’esercito, della marina e dell’aviazione, il divieto di aggressione e l’obbligo di ricorrere all'arbitrato pacifico in caso di controversie. Si sapeva però che il punto più fragile sarebbe stato il confine del Reno tra Francia, Belgio e Germania, per cui su di esso si concentrarono le preoccupazioni maggiori dei partecipanti alla Conferenza di pace di Locarno, che si tenne dal 5 al 16 ottobre 1925.

Finalizzata a preservare gli Stati europei dal flagello della guerra, regolare pacificamente eventuali controversie e garantire soprattutto il confine renano, tra i delegati dei vari Paesi interessati (Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Cecoslovacchia e Polonia) sembrò regnare fin dall'inizio uno spirito positivo (l’«ésprit de Locarno») e un certo ottimismo. Alla conclusione dei lavori, con la firma di un Patto di garanzia per la frontiera del Reno e quattro trattati di arbitrato, tutti sembravano ritenere che la «pace del Reno» avrebbe garantito «la pace d’Europa» e tutti speravano di ripristinare in Europa una pace stabile. Persino la Germania, che aveva subito il diktat più pesante, era ottimista: accettava il nuovo confine renano, garantito da Gran Bretagna e Italia (potenze garanti), e s’impegnava con la Polonia e la Cecoslovacchia a regolare secondo il diritto internazionale le eventuali divergenze.

L’ottimismo dei delegati pareva giustificato perché tra loro regnava effettivamente un’atmosfera distesa, positiva e produttiva e tutti speravano che con la Conferenza di Locarno si aprisse in Europa «un’era di efficiente pacificazione» e «un periodo nuovo, fondato sul principio dell’uguaglianza dei vinti con i vincitori e sul funzionamento dei patti d’arbitrato sotto l’egida della Società delle Nazioni», che era stata appositamente creata col Trattato di Versailles, con sede a Ginevra.

La Conferenza sembrava segnare in effetti una pietra miliare nella storia della pace e della civiltà umana perché forse per la prima volta al rappresentante di un Paese vinto e schiacciato, il ministro degli esteri tedesco Gustav Stresemann (1878-1929), fu concesso di partecipare attivamente ai lavori della conferenza alla pari degli altri rappresentanti. Alla conclusione della Conferenza, riconoscente, dichiarava non solo di «accettare» di firmare i trattati «in piena lealtà», ma aggiungeva che «con sincera gioia» la Germania si augurava una pace stabile e il riavvicinamento dei popoli e dei governi, nella convinzione che «solo la pace e la collaborazione possono assicurare l’avvenire e lo sviluppo dei popoli».

Da sin.: G. StresemannA. Chamberlain e A. A. Briand
Alle parole di Stresemann si associarono il delegato francese Aristide Briand (1862-1932) e quello britannico Austen Chamberlain (1861-1937), sottolineando l’importanza per la pace della «cooperazione dei popoli europei», nella convinzione che si dovesse «lavorare in comune in tutti i campi per la realizzazione di un’Europa pacifica, fedele a tutto ciò che rappresenta il suo passato di civiltà e di nobiltà». Anche Benito Mussolini (1883-1945) non esitò a considerare la Conferenza «un avvenimento memorabile, destinato ad affratellare i popoli».

Dall'ottimismo alla cocente delusione

L’azione seria e fiduciosa di Stresemann, Briand e Chamberlain e specialmente l’impegno di Stresemann per la riconciliazione tra i popoli europei e per l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni furono giustamente premiati con l’assegnazione ai tre politici del Premio Nobel per la Pace. Si deve anche riconoscere che nel 1926, con l’entrata in vigore del Patto di Locarno e l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, cominciò in Europa un intenso periodo di distensione e collaborazione. Lo spirito di Locarno sembrava aleggiare tra le nazioni e niente lasciava presagire l’immane tragedia che le avrebbe colpite nuovamente.

«Quasi tutta l’Europa – ha scritto Sergio Romano – tirò un sospiro di sollievo ed ebbe la sensazione che cominciasse finalmente nella storia del mondo, undici anni dopo lo scoppio della Grande guerra, un capitolo nuovo». Illusione! 

Dieci anni più tardi, però, apparve chiaramente a tutti che lo spirito di Locarno si era dileguato. Lo dimostrava Hitler, da poco al potere in Germania, che il 7 marzo 1936 denunciò gli Accordi sottoscritti ritenendoli una prosecuzione della politica di Versailles e occupò militarmente la Renania; ma lo dimostrò anche Mussolini, che sognava anch'egli l’impero e le colonie. E da allora fu solo una lunga e intensa preparazione della seconda guerra mondiale, la più grave catastrofe dell’umanità.

In realtà, che Mussolini si attendesse altro dalla Conferenza di Locarno non tardò a farlo capire egli stesso. Sperava infatti che la garanzia limitata al confine renano venisse estesa alla frontiera italiana del Brennero, preoccupato di poter avere prima o poi una frontiera comune con la Germania qualora questa avesse deciso di assorbire l’Austria. Ma gli altri partecipanti alla Conferenza non erano d'accordo e glielo fecero capire fin dal suo arrivo a Locarno. 

Infatti, arrivato in motoscafo da Stresa, non ebbe l’accoglienza che forse si aspettava nemmeno da parte della stampa internazionale e della popolazione, sia per il comportamento arrogante delle camicie nere che lo accompagnavano e sia perché in Ticino erano note le violenze squadriste dei suoi fanatici seguaci. Da parte loro, anche i rappresentanti degli Stati si mostrarono nei suoi confronti del tutto indifferenti (ad eccezione del britannico Chamberlain) se non addirittura sprezzanti. Non godeva evidentemente già allora di una buona reputazione. 

Lo «spirito di Locarno» è ancora vivo

Del resto, anche il Consiglio federale rispose tiepidamente al messaggio che il Duce gli aveva inviato prima di metter piede in Svizzera. Rispose, infatti, che «il Consiglio federale Le è gratissimo dell’amichevole saluto rivoltogli e nel mentre Le dà il più cordiale benvenuto sul territorio svizzero, è lieto di constatare che la di Lei presenza a Locarno testifichi in modo così manifesto che la Conferenza Internazionale sta per mettere il proprio sigillo alla grande opera di pace per la quale è stata convocata». Da allora Mussolini non metterà più piede in Svizzera, anche se vi sperò fuggendo precipitosamente da Milano nel 1945.

Lo spirito di Locarno tuttavia non morì, anzi riprenderà vita, sotto nuove forme e incarnato in nuovi personaggi. Subito dopo la seconda guerra mondiale  ricominciò ad aleggiare e prendere forma nella nuova Europa che anche se non ben definita comincia a intravedersi.
Giovanni Longu
Berna, 3 giugno 2025