Prima o poi la
pandemia da coronavirus finirà, perché l’uomo scientifico-tecnologico e l’uomo politico,
coalizzati, anche se colti alla sprovvista, dimostreranno di essere in grado,
magari dopo esitazioni e sbagli, di sconfiggere anche questa terribile
malattia. Soprattutto in Italia, ma in generale dove il virus è maggiormente penetrato,
molti hanno paragonato questa lotta a una guerra contro un nemico invisibile ma
fortemente letale. Il paragone è sostenibile, ma occorre anche pensare al dopo.
Guai fermarsi a contare le vittime, i disastri economici provocati o a cercare
le eventuali responsabilità nella condotta delle operazioni. Bisogna
soprattutto pensare al futuro partendo da un’attenta analisi di ciò che è avvenuto,
perché da questa pandemia si dovrà pure trarre qualche insegnamento. Al
riguardo alcune considerazioni mi sembrano ineludibili.
Salute pubblica. Mai come di fronte a una pandemia ci si rende
conto che la salute è un «bene pubblico», un bene cioè che non appartiene solo
agli individui, ma anche all’intera società. Di più, è un bene comune primario,
di cui nessuna società può fare a meno. Per questo la salute dev’essere tutelata,
sostenuta, curata, rispettata, adottando comportamenti appropriati. Ognuno deve
sentirsi responsabile della propria salute, ma anche di quella di tutti. Non
basta un sistema sanitario efficiente.
Solidarietà. La diffusione in larga misura casuale della malattia, la gravità del suo manifestarsi e talvolta concludersi (spesso senza
nemmeno il conforto dei famigliari), la sua incidenza particolare su alcune
categorie di persone (anziane), le limitazioni volontarie o obbligate nelle
abitudini normali di quasi tutti i cittadini persino in ambito familiare, la
sollecitazione estrema del sistema sanitario, la mediatizzazione di situazioni
e operazioni drammatiche hanno suscitato, soprattutto in Italia, ma anche in Svizzera
e nei Paesi più colpiti dal virus, una straordinaria solidarietà sociale. Essa
andrebbe capitalizzata e usata anche nella condizione ordinaria.
![]() |
Coronavirus - Covid-19 |
Formazione e
ricerca. Un’epidemia non
avvisa prima di manifestarsi. Un sistema sanitario efficiente dovrebbe essere
sempre in grado di far fronte all’emergenza. Nei confronti del coronavirus
nessun sistema sanitario si è trovato preparato. Manca soprattutto un vaccino specifico.
E’ lecito chiedersi perché ogni Paese ha un suo centro di ricerca, ma molti
centri nazionali non sono coordinati fra loro, per esempio a livello di Unione
europea. Non sarebbe il caso di creare un’Agenzia europea della salute,
finalizzata soprattutto a sviluppare una medicina preventiva contro i rischi
crescenti legati all’ambiente, agli stili di vita, alla organizzazione
sociale? Inoltre, poiché le risorse destinate alla formazione e alla
ricerca nelle scienze umane e sanitarie sono sempre scarse, non bisognerebbe
aumentarle in un sistema di partenariato pubblico-privato?
Risorse necessarie
e sufficienti. Ci si può
indebitare per la salute? Certo che si può, anzi si deve, visto che la salute è
un bene comune primario. La politica non può rinunciare a finanziare
adeguatamente il sistema sanitario che un Paese si è dato con la scusa della
scarsità delle risorse disponibili. Il suo compito è trovare quelle mancanti.
Nel caso dell’Italia è scandaloso continuare a ridurle pur ammettendo che
l’evasione fiscale è enorme. Questa va stroncata perché la Costituzione è
chiara: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di
progressività» (art. 53). Uno Stato sociale non può rinunciare a chiedere a
chi più ha, non può condonare le evasioni sistematiche; dev’essere però giusto,
trasparente, non sprecone.
Europa amica. La centralità dell’Unione europea (UE) nella
soluzione dei problemi strutturali dev’essere fuori discussione. L’Italia però
deve sentirsi parte dell’Unione e corresponsabile di quel che va bene e di quel
che va male. Non ha senso criticare l’UE dimenticando che in un sistema di
sussidiarietà spetta in primo luogo al Paese membro risolvere i propri problemi,
soprattutto se (quasi) cronici. Ricadono sul governo e sul parlamento italiani le
principali responsabilità del divario tra Nord e Sud, delle diseguaglianze
sociali, della squilibrata diffusione del sapere generale e professionale, della
estesa disoccupazione giovanile, della fragilità del sistema produttivo, della
farraginosa burocrazia. Il coronavirus mette ancor più in evidenza queste
criticità. Ora è auspicabile che la società italiana riesca a far emergere quei
principi attivi di cui dispone ampiamente.
Giovanni Longu
Berna, 3 aprile 2020
Berna, 3 aprile 2020