La votazione del 9 febbraio 2014 sulla limitazione dell’immigrazione di massa ha spaccato la Svizzera in due, nel senso che la maggioranza che ha approvato l’iniziativa promossa dalla destra populista (50,3% dei votanti) ha vinto con meno di 20.000 voti di scarto. Dalle analisi del dopo voto è risultata tuttavia un’altra maggioranza ben più consistente, quella degli incerti e preoccupati sulle conseguenze della scelta fatta.
La decisione di gestire autonomamente l’immigrazione (reintroducendo
i «contingenti» per i dimoranti stranieri) e rinegoziare l’accordo di libera
circolazione con l’Unione Europea (UE) dando la priorità sul mercato del lavoro
ai lavoratori residenti in Svizzera (principio della "preferenza
nazionale") non è affatto piaciuta all’UE, che ritiene non negoziabile la
libera circolazione dei cittadini europei.
Difficoltà con l’UE
Negli ambienti economici e nei principali partiti svizzeri
cresce la preoccupazione non solo per le eventuali misure di ritorsione da
parte dell’Europa, ma anche per le difficoltà concrete di fissare e gestire i
«contingenti» (in quali settori, per quali attività, in quali regioni, ecc.?) e
soprattutto per le conseguenze di una limitazione dell’immigrazione in base a
criteri non consoni a uno Stato liberale. Oltretutto, gli stessi ambienti e il
governo federale sono concordi nell'affermare che proprio gli accordi
bilaterali con l’UE e la libera circolazione hanno contribuito finora in misura
considerevole al benessere della Svizzera.

Mi pare però che quest’ultima possibilità non sia andata
oltre la semplice discussione giornalistica, tanto è vero che lo stesso governo
ha escluso un ritorno alle urne in tempi brevi e si è messo subito al lavoro
per cercare di tenere aperta la via bilaterale con l’UE per nuovi negoziati e
contemporaneamente preparare la legislazione applicativa del nuovo articolo
costituzionale approvato dai Cantoni e dal popolo svizzero.
Non è escluso tuttavia che proprio la nuova legge in
preparazione, contro la quale verosimilmente verrà chiesto un referendum, possa
provocare un nuovo ricorso al voto popolare e solo in quel momento si saprà
qual è davvero la volontà della Svizzera non solo riguardo all'immigrazione (ponendo
così fine definitivamente a una storia di votazioni in materia che dura da
oltre quarant'anni!) ma anche riguardo alla sua collocazione in Europa.
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Mauro Dell'Ambrogio |
Nel frattempo mi sembra fondamentale che la politica ma
anche i media facciano opera di corretta e completa informazione. Ho trovato ad
esempio molto pertinente un recente intervento di Mauro Dell’Ambrogio, Segretario
di Stato alla formazione e alla ricerca, secondo cui «il voto del 9 febbraio mina ora le basi degli
accordi bilaterali e riporta l’incertezza di vent'anni fa [ossia al 1992, quando
il popolo respinse l’adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE) e seguirono
tempi difficili per la Svizzera]. Cosa ci aspetta, se gli accordi bilaterali
fossero disdetti, o anche solo congelato il loro adeguamento? Come saranno
fissati e gestiti i contingenti per la manodopera estera, e con quali
conseguenze per quali settori economici?». Sono evidentemente interrogativi non
di poco conto, ma utili e necessari per la formazione dell’opinione pubblica.
Necessità di un consigliere federale italofono
In questa analisi a mio parere molto giudiziosa,
Dell’Ambrogio non risparmia alcune critiche proprio al suo Ticino, che ha
contribuito in misura determinante all'esito della votazione del 9 febbraio. «Anziché
aspettarsi trattamenti di favore per avere fatto pendere la bilancia in favore
del SI, il Ticino dovrebbe preoccuparsi del proprio sviluppo. I posti di
lavoro, prima di distribuirli, bisogna crearli. Porre il freno ai posti
malpagati per soli frontalieri è cosa ben diversa che creare posti meglio pagati.
Il settore dove più facilmente il Ticino li creava, la finanza, è già tanto se
li conserva, dopo che già è sparito il gettito fiscale».
Alle considerazioni e agli interrogativi sollevati da Dell’Ambrogio,
che condivido, mi permetto aggiungerne un altro, forse non del tutto irrilevante: il
Cantone Ticino, che ha contribuito in misura determinante all'esito del voto
del 9 febbraio 2014, avrebbe votato alla stessa maniera se a Berna ci fosse
stato un Consigliere federale italofono? Mi permetto di dubitarne. Un italofono in Consiglio federale avrebbe infatti contribuito a rafforzare, come hanno sempre fatto tutti i consiglieri federali italofoni, due elementi fondamentali della coesione e del prestigio
svizzeri, ossia il legame confederale tra Berna e il Ticino e il legame d'amicizia e di collaborazione con
l’Italia.
E’ innegabile infatti che in questi ultimi anni il Ticino si
senta spesso trascurato da Berna, ad esempio sulla problematica dei
frontalieri, e che le relazioni italo-svizzere non siano all'altezza della
tradizione.
Perché la Svizzera resti un Paese coeso e veda maggiormente
il proprio destino in Europa e con l’Europa, credo che siano importanti e urgenti sia la
soluzione del problema della rappresentanza italofona in seno al Consiglio
federale e sia la ripresa di eccellenti relazioni bilaterali con l’Italia.
Giovanni Longu
Berna, 19.03.2014