Dalla seconda metà
degli anni Sessanta, il numero degli stranieri era percepito da molti svizzeri
come eccessivo e pericoloso per la stabilità della Svizzera e l’identità
nazionale. Da più parti s’invocava pertanto l’intervento dello Stato per
ridurre gli arrivi (che però erano regolati in parte da accordi internazionali)
e alcuni movimenti antistranieri tentarono addirittura, con iniziative
popolari, di costringere il governo a prendere misure drastiche al riguardo.
Per capire meglio la situazione e gli sviluppi è indispensabile riferire alcuni
numeri.
Rapida crescita
degli stranieri
Oltre i continui
arrivi di nuovi immigrati, a preoccupare molti svizzeri era anche l’incremento
naturale degli stranieri. Fino agli inizi
degli anni Settanta, la percentuale delle nascite di stranieri si aggirava
infatti attorno al 30 per cento del totale dei nati vivi (nel 1970, su 99.216
nascite ben 29.687 erano figli di
stranieri, fra cui 18.452 italiani). Dalla metà degli anni Sessanta erano
soprattutto le nascite a far lievitare il numero complessivo della popolazione
straniera (immigrati e famiglie). Molti svizzeri ritenevano
che prima o poi la popolazione indigena (che cresceva
mediamente di circa 38.000 persone
l’anno) sarebbe stata soverchiata dagli stranieri (che invece
crescevano a un ritmo di quasi 50.000 persone l’anno). Alcuni temevano che se si fosse continuato a lungo con questo ritmo non si sarebbero
più sentiti padroni nemmeno a casa loro.
Poiché si trattava di stranieri residenti
stabilmente (esclusi pertanto stagionali e frontalieri), la loro presenza nelle
aree urbane e specialmente in alcuni quartieri non poteva passare inosservata,
tanto più che conducevano una vita caratterizzata nella maggior parte dei casi
da una vistosa diversità di lingua, cultura, religione, formazione, gusti,
vitto, modo di vestire, comportamenti, ecc. Questa prorompente varietà appariva
a molti svizzeri, piuttosto tradizionalisti, destabilizzante e pericolosa. La reazione
fece riemergere i sentimenti antistranieri già manifestatisi all'inizio del
secolo scorso e mai completamente spenti. I movimenti xenofobi li fecero propri
e li amplificarono a livello nazionale.
… e della xenofobia
L’insieme di paure, pregiudizi, contrapposizioni
e contrasti portò alla famosa votazione popolare del 7 giugno 1970
sull’«iniziativa Schwarzenbach» che chiedeva una drastica riduzione del numero
degli stranieri residenti per evitare l’«inforestierimento» della Svizzera.
L’iniziativa fu respinta, ma i numeri rivelarono quanto poco benvisti erano gli
stranieri: su 1.212.361 votanti
(tutti maschi, perché le donne non avevano ancora il diritto di voto), poco
meno della metà (557.517) aveva approvato la richiesta di Schwarzenbach.
Si disse anche che molti di coloro che avevano respinto
l’iniziativa (654.844) avevano votato NO non per
solidarietà o simpatia verso gli stranieri ma per paura delle probabili
conseguenze economiche e occupazionali per loro stessi. Non sarebbe stata
infatti senza conseguenze la riduzione in pochi anni di circa 300.000 persone,
molte delle quali indispensabili per l’economia. Va infatti ricordato che nel
1970 gli stranieri maschi in età lavorativa, dai 15 ai 64 anni, erano quasi
tutti occupati (gli italiani al 99,0%, gli svizzeri al 97,0%) e anche le donne
straniere dai 15 ai 61 anni avevano un tasso di occupazione più alto di quello
delle svizzere (italiane: 71,2%, svizzere: 47,9%).
Quella votazione incise profondamente sulla
politica immigratoria svizzera e sul sentimento degli stranieri, specialmente degli
italiani, che allora costituivano la principale componente straniera.
Conseguenze per la
politica e l’immigrazione
Della situazione cominciarono a
preoccuparsi non solo gli stranieri, gli italiani in particolare, ma anche
molti svizzeri, le autorità, i principali partiti politici, gli ambienti
economici e sindacali, le chiese, anche perché l’immagine della Svizzera in
Europa rischiava di deteriorarsi e già si parlava di «discriminazione» degli
immigrati.
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Dopo il 1970 molti immigrati reagirono così! |
Tra gli italiani la reazione
iniziale fu di lotta (evidenziata in numerose prese di posizione delle
organizzazioni più rappresentative e del Comitato nazionale d’intesa creato
dalle associazioni italiane nel 1970) a cui seguì ben presto la rassegnazione
di non poter intervenire efficacemente su una realtà dipendente prevalentemente
dalla politica svizzera. Gli italiani erano anche consapevoli che non potevano
contare su alcuna forza politica e sindacale che li rappresentasse pienamente e
nemmeno sulle rappresentanze diplomatiche e consolari vincolate al principio di
non ingerenza negli affari interni della Svizzera.
Oltre alla rassegnazione si diffuse
anche, soprattutto tra gli italiani, il desiderio di porre fine quanto prima
possibile all'esperienza migratoria. Il clima socio-politico non ispirava più
fiducia nelle istituzioni, voglia d’integrarsi, aspirazione a una convivenza
serena. Del resto si sapeva che persino alcune forze politiche e sindacali di
sinistra auspicavano una riduzione degli stranieri, sia pure graduale, e che le
associazioni padronali alla prima occasione si sarebbero sbarazzate senza
troppi scrupoli della manodopera straniera in eccesso o inadeguata
all'introduzione di nuove tecnologie produttive.
Saldo migratorio
negativo per gli italiani
Di fatto, tra il 1970 e il 1980 il numero degli stranieri si
ridusse da 1.080.076 a 944. 974 (gli
italiani da 583.850 a 418.989) non solo per la diminuzione dei nuovi immigrati a
seguito delle misure restrittive adottate dal Consiglio federale, ma anche per
la minore attrattiva del mercato del lavoro svizzero e per le numerose partenze
di quegli stranieri che non si trovavano più a loro agio in Svizzera. Tra il
1974 e il 1976, la crisi economica generata dallo shock petrolifero del 1973-74
contribuì in misura preponderante a far rientrare al loro Paese alcune
centinaia di migliaia di stranieri che avevano perso il lavoro o rischiavano di
perderlo (si è calcolato che in quella crisi sono stati persi oltre 300.000
posti di lavoro, in maggioranza già occupati da stranieri).
Questa situazione colpì
particolarmente gli italiani, che dal 1972 segnarono un saldo migratorio
negativo (differenza tra nuovi arrivati e partiti più naturalizzati). Per il
calcolo la statistica svizzera prendeva in considerazione unicamente i
cittadini con la sola nazionalità italiana, escludendo pertanto i
naturalizzati. Tra il 1972 e il 1977 gli italiani che rientrarono in patria
dalla Svizzera furono ben 275.370, i naturalizzati circa 133.000, mentre i
nuovi arrivati dall'Italia solo 216.948. Il saldo migratorio, calcolato alla
stessa maniera, risulterà per gli italiani negativo fino al 2006, anche se nel
frattempo la collettività italiana era cresciuta per effetto delle leggi sulla
doppia cittadinanza (i naturalizzati conservavano la cittadinanza originaria).
Anche il numero di
nascite di stranieri andò progressivamente diminuendo. Se nel 1970 erano state
ben 29.687 su 99.216 nati vivi, nel 1980 si erano ridotte a 11.993 (appena 5.430 le nascite di madre italiana) su 73.661 nati vivi. Sul finire degli anni
Ottanta il numero di nascite riprenderà a crescere per toccare nel 1990
complessivamente 83.939 nati vivi, di cui 16.446 stranieri e 3531 italiani.
Altri numeri…
Le vicende migratorie
degli anni Settanta e Ottanta sono ancora oggi oggetto di studi perché molti
aspetti di quel periodo restano ancora problematici. Qualche ulteriore dato che
sarà riportato nei prossimi articoli potrebbe aiutare a capire, per esempio, il
ritardo con cui la Confederazione e i Cantoni hanno avviato una seria politica
d’integrazione, perché anche da parte di molti immigrati ci furono scarsi
tentativi d’integrazione e di collaborazione, perché tra gli svizzeri facevano
più presa i pregiudizi e le paure piuttosto che le considerazioni sui benefici
di un’immigrazione controllata e integrata o sui benefici dell’incremento naturale degli stranieri sull'equilibrio demografico della
popolazione residente, ecc. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 15.09.2021