Le condizioni delle donne italiane in Svizzera nel primo decennio del 2000 erano molto più favorevoli di quelle delle immigrate del secondo dopoguerra. Come si diceva alla fine dell’articolo precedente (prima parte), il cammino verso la parità con gli uomini non era però ancora terminato soprattutto in alcuni settori, per esempio in quelli occupazionale e salariale (strettamente legati e dipendenti, fra l’altro, dalla formazione scolastica e professionale), in quello dell’emancipazione sociale (a sua volta strettamente legato al superamento dell’handicap linguistico e all'autonomia finanziaria conseguita con l’attività lavorativa) e in quello politico (dipendente dalle naturalizzazioni). I meriti dei risultati conseguiti spettano soprattutto alle donne italiane, anche se dagli anni Settanta e soprattutto dagli anni Novanta le condizioni generali sono notevolmente migliorate per l’insieme della popolazione femminile, compresa quella italiana.
Le donne italiane beneficiarono dei
cambiamenti favorevoli
In questo tipo di narrazione si dimentica spesso che dagli anni Settanta le condizioni generali di formazione, occupazione e di vita delle donne in Svizzera sono costantemente migliorate, grazie a una maggiore sensibilità giuridica e sociale della classe politica e della società nei loro confronti. In primo luogo ne hanno beneficiato le donne svizzere, ma i loro successi hanno costituito anche un forte stimolo all’emancipazione delle donne immigrate, soprattutto di quelle italiane e specialmente di quelle della seconda generazione.
In questa
dinamica hanno contribuito in misura determinante, per le donne italiane adulte,
il miglioramento della conoscenza della lingua locale, la molteplicità dei
contatti sul lavoro, nel tempo libero e nel rapporto di vicinato, la maggiore
autonomia finanziaria, la necessità del sostegno scolastico dei propri figli, e
forse anche lo sfaldamento dell’associazionismo tradizionale, che appariva
sempre meno utile.
Per le giovani di
seconda generazione la chiave del successo è stata sicuramente l’apprendimento
della lingua locale con la frequentazione del sistema formativo svizzero fin
dagli asili-nido, la scolarizzazione nella scuola locale e la formazione
professionale, ma hanno avuto certamente un influsso importante anche la
frequentazione comune dei luoghi del tempo libero e del divertimento, le feste,
gli incontri in piccoli gruppi, ecc.
Forse non
esistono studi approfonditi sull'influsso delle donne svizzere su quelle
italiane (dai primi anni di scuola materna all'età adulta) ma si può presumere
che sia stato enorme. Negli anni Ottanta e Novanta alcuni aspetti
dell’emancipazione delle donne svizzere, soprattutto la coscienza della propria
libertà, la gestione autonoma del tempo libero e la disponibilità finanziaria,
rappresentavano riferimenti concreti delle aspirazioni delle donne italiane.
Le italiane adulte attratte dalla libertà delle
donne svizzere
Molte donne
italiane, desiderose di emanciparsi, sentivano fortemente l’attrazione del (presunto)
modello di libertà rappresentato dalle donne svizzere tanto nella sua sfera
privata quanto in quella pubblica. Molte cercarono di seguirlo ritenendolo
sostenibile. In effetti il rapporto che le donne svizzere avevano col lavoro (e
col posto di lavoro fisso), con la casa, col denaro, con l’altro sesso, sembrava
assai diverso, più moderno, più libero di quello a cui si sentivano legate le
donne italiane.
Non va infatti
dimenticato che, oltre alla condizione limitativa dello statuto migratorio, le
donne immigrate subivano, per lo più inconsciamente, anche altre limitazioni
derivanti dalla provenienza, spesso un ambiente rurale, patriarcale, chiuso e magari
maschilista, che ora appariva troppo distante dal mondo rappresentato dalle
donne svizzere.
Si sapeva, per
esempio, che persino la contadina svizzera godeva di un’ampia autonomia e di
veri e propri poteri decisionali, perché la divisione dei compiti e delle
responsabilità nel mondo contadino svizzero era chiara. Le donne italiane,
invece, almeno quelle che vivevano in una contesto tradizionale, non godevano
degli stessi diritti e della stessa autonomia dei loro partner. Non solo sul
lavoro ma anche in famiglia la donna italiana aveva quasi sempre un ruolo
gregario, indefinito, certamente non autonomo. Persino nell'educazione dei
figli, nella decisione se rientrare o restare, l’ultima parola spettava quasi
sempre al padre di famiglia.
Non so se si sia
trattato più di una reazione a un modello di vita ereditato ma mai accettato
liberamente e ritenuto ormai superato che di una vera e propria sostituzione
con un modello nuovo, con pochi vincoli, materiali e morali, aperto
all'improvvisazione e alla scoperta. Sta di fatto che il desiderio del
cambiamento agì su intere generazioni riuscendo a modificare radicalmente la
percezione di sé della maggioranza delle donne italiane residenti in Svizzera
con origini migratorie.
Poche differenze tra svizzere e italiane
I risultati di
questo lungo processo di avvicinamento delle donne italiane agli standard delle
donne svizzere sono facilmente documentabili statisticamente in diversi campi
(demografia, formazione, carriera professionale, ecc.), ma il dato forse più
sorprendente è che dal 2000 in poi è sempre più difficile e talvolta
impossibile trovare differenze significative tra donne svizzere e italiane
nelle rilevazioni statistiche. Del resto, già nei dati del censimento federale della
popolazione del 2000 si poteva costatare che le differenze importanti riguardavano
prevalentemente le donne della prima generazione ed erano quasi unicamente
legate alla nazionalità (partecipazione politica), alla formazione e alla
condizione professionale (qualificazione e posizione professionale).
Si deve tuttavia
osservare che per molte donne italiane il tentativo di avvicinamento è stato
traumatico per molteplici ragioni che è anche difficile analizzare in mancanza
di studi approfonditi. Si può tuttavia ben comprendere che man mano che ci si
avvicinava al traguardo, il rischio di lasciare il certo per l’incerto era
capace di bloccare gli ultimi sforzi. Per alcune donne, poi, un cambio di
mentalità avrebbe potuto comportare dissidi familiari insanabili, senso di
frustrazione e ricaduta nell'isolamento.
In generale,
tuttavia, gli sforzi verso un nuovo modello di vita, per molte donne sono risultati
positivi, perché così hanno potuto (ri)acquistare un senso di libertà, di
autonomia e di responsabilità personale, un nuovo gusto per vita. Per tutte,
comunque il decennio in esame (1991-2000) ha indicato che il mondo stava
cambiando, che la società si reggeva (anche) su criteri e valori diversi da
quelli tradizionali, che il divario tra la seconda e la prima generazione era
sempre più evidente, che solo uno sforzo comune di camminare insieme avrebbe
salvato la memoria e i valori che la lunga storia dell’immigrazione italiana in
Svizzera evidenziava.
Per le giovani italiane il cammino è stato
più facile
Come si accennava
prima, per le giovani donne italiane di seconda generazione, il problema
dell’emancipazione si presentava in altri termini. Per gran parte di esse,
infatti, non si trattava di raggiungere una specie di parità con le coetanee
svizzere, perché era facile rendersi conto di aver avuto le medesime condizioni
di partenza: scuola materna, scuola obbligatoria, formazione linguistica,
generale e professionale, stesse opportunità. Per molte di esse i problemi
provenivano dalle famiglie, restie spesso a concedere le libertà di cui
sembravano godere le coetanee svizzere, per esempio nella disponibilità senza
remore del tempo libero, anche la sera e la notte.
Chi ha vissuto rapporti genitori-figli negli ultimi decenni del secolo scorso sa bene quante tensioni comportava la convivenza di giovani che ambivano a lasciare quanto prima la famiglia, perché la sentivano come un ostacolo al loro sviluppo, alla loro intraprendenza e al godimento di quella libertà che vedevano nella vita di molte coetanee svizzere. Non era sempre facile, tuttavia, dar seguito a quel potente desiderio di evasione e forse di una convivenza insicura, nell’ingenuità che la vita si potesse affrontare anche con pochi soldi, senza sottrarre energie allo studio, senza garanzie di un eventuale supporto sicuro, senza modelli di riferimento per lo studio, la morale, la professionale, la vita.
Sbagliavano le
giovani donne o i loro genitori? O entrambi? Sta di fatto, come si vedrà meglio
nel prossimo articolo, che il periodo considerato ha lasciato in Svizzera una
generazione di giovani donne, molte delle quali hanno raggiunto o stanno raggiungendo
molti dei loro obiettivi, ma che in generale non sono state ben preparate per
garantire un passaggio ordinato e gioioso tra la prima e la seconda generazione
e, soprattutto, per affermare in tutta evidenza che la doppia nazionalità, il plurilinguismo,
il senso di appartenenza, il rispetto reciproco, la tolleranza, l’italianità …
sono valori da rispettare, sviluppare e tramandare. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 19.10.2022