Gli italiani
hanno sempre costituito, dal secondo dopoguerra in poi, il gruppo straniero più
numeroso dell’intera manodopera attiva in Svizzera. Dopo l’accordo
sull’immigrazione del 1948 giungevano dall’Italia ogni anno decine di migliaia
di lavoratori, soprattutto stagionali, ma anche un numero crescente di italiani
con un permesso di dimora annuale. Come si è visto negli articoli precedenti,
la richiesta di manodopera straniera era dovuta alla carenza di lavoratori
indigeni specialmente in alcuni rami dell’economia. Appresso si cercherà di
precisare in quali erano occupati maggiormente gli immigrati (italiani) e in
quale posizione professionale. In seguito si cercherà anche di sapere se e
quanto fosse possibile, per loro, la mobilità professionale orizzontale (cambio
di attività) e soprattutto verticale (carriera professionale), garantita per
gli svizzeri.
Due premesse
indispensabili
Negli anni '50 e '60 gli italiani furono tra i principali protagonisti di costruzioni faraoniche come le dighe della Grande Dixence (disegno), Mauvoisin, Emosson, Mattmark, ecc. |
La prima: nel secondo dopoguerra l’economia
svizzera ha conosciuto non solo uno straordinario sviluppo, ma anche una
profonda trasformazione dell’occupazione, provocando grandi spostamenti di
popolazione da un settore all’altro. Il settore primario, da tempo in fase di contrazione,
continuava a perdere addetti che si riversavano nelle attività più sicure e
meglio remunerate del secondario e del terziario. Il settore secondario
(edilizia e genio civile compresi), in forte espansione per far fronte
alla crescente domanda di beni per il mercato interno ed internazionale, non
riusciva a soddisfare il fabbisogno di manodopera perché il mercato del lavoro
svizzero era totalmente prosciugato (anche il terziario era in pieno sviluppo)
e addirittura numerosi addetti
preferivano al lavoro artigianale e industriale quello ritenuto più vantaggioso
dei servizi. Di fatto tutti e tre i settori erano alla ricerca di personale…
anche straniero e gli italiani erano i più richiesti in tutti e tre.
La seconda: gli immigrati erano funzionali non solo
allo sviluppo economico generale, ma anche a quello dei singoli settori e rami
economici. Il loro numero e la qualità delle prestazioni richieste dipendevano
dall’andamento delle singole attività economiche. Inizialmente gli immigrati
erano «chiamati» ad occupare solo quei posti per i quali mancava l’offerta di
manodopera indigena. Erano generalmente posti che non richiedevano una
qualifica professionale o competenze specifiche e pertanto erano anche i meno
retribuiti. Quando si legge o si sente che in Svizzera «si veniva a cercar
lavoro» non va dimenticato che la scelta era limitata a quelle attività e a quei
posti che gli svizzeri non intendevano occupare. Poiché i posti «liberi» erano
tanti, era relativamente facile, almeno fino agli anni Sessanta, che anche gli
immigrati «irregolari» trovassero un lavoro. Le accuse dei movimenti xenofobi
agli stranieri di «rubare» il lavoro agli svizzeri erano pertanto del tutto
prive di fondamento.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, in piena espansione
economica, gli svizzeri, che tradizionalmente seguivano un regolare
apprendistato e conseguivano un diploma, si orientavano sempre più numerosi
verso impieghi socialmente più ambiti e più corrispondenti alla loro formazione
nel secondario e nel terziario, lasciando inoccupati quelli socialmente meno
gratificanti e a scarsa esigenza professionale. I posti lasciati liberi venivano
occupati dagli immigrati. Erano in genere posti che non richiedevano una
preparazione professionale specifica per attività soprattutto manuali, di
manovalanza o comunque poco qualificate.
Sguardo
complessivo
Nel dopoguerra, gli
immigrati italiani, a prescindere dal loro statuto (frontalieri, stagionali,
annuali, domiciliati) non hanno solo colmato numerosi vuoti lasciati dagli
svizzeri passati ad altre attività, ma hanno contribuito in misura
determinante ad estendere dapprima il settore trainante dell’economia svizzera
degli anni Cinquanta e Sessanta, quello secondario, e successivamente quello
dei servizi (terziario). Nel 1950, la popolazione attiva nell’industria era
costituita per il 93% da svizzeri e per il 7% da stranieri. Nel 1970 la
percentuale degli svizzeri risulterà solo del 70% mentre quella degli stranieri
del 30%. Una variazione analoga sebbene meno accentuata si registrerà
anche nel settore dei servizi dove la quota degli stranieri passerà dall'11%
del 1950 al 16% del 1970.
Negli anni Sessanta, grazie agli immigrati, gli addetti al
settore industriale sono passati da 666.676 (1960) a 751.077 (1965) e la quota degli stranieri è
passata dal 17% al 22% della popolazione attiva totale. In questa evoluzione va
tenuto anche presente che la produzione industriale cresceva mediamente di
circa l’11% l’anno e il settore secondario era quello che contribuiva
maggiormente al prodotto interno lordo (PIL). Poiché nel frattempo un numero
crescente di svizzeri passava dal secondario al terziario (che prenderà
definitivamente il sopravvento nella formazione del PIL dagli inizi degli anni
Settanta) è facile capire l’enorme contributo fornito dagli immigrati alla
creazione della ricchezza e alla diffusione del benessere in Svizzera in quei
decenni.
Principali
attività svolte dagli italiani
In base
all’Accordo del 1948 tra la Svizzera e l’Italia in materia d’immigrazione i
datori di lavoro svizzeri dovevano presentare all’Ambasciata d’Italia a Berna normalmente
«domande numeriche» (non nominative) con «indicazioni precise sulla natura
dell’impiego, il genere e la qualificazione della mano d’opera desiderata, le
condizioni di lavoro, di retribuzione, di alloggio e di sussistenza» (art. 6,
cpv. 1).
L’Accordo riguardava principalmente i lavoratori stagionali,
ma anche le richieste riguardanti lavoratori annuali erano sempre accompagnate
da indicazioni precise sul tipo di lavoro e sulle competenze professionali
necessarie per svolgerlo. Dalle periodiche rilevazioni dell’Ufficio federale di
statistica si possono ricavare dati interessanti sull’evoluzione delle
principali attività economiche svolte dagli immigrati e talvolta anche sulla
loro posizione professionale (indipendenti, dipendenti, dirigenti, ecc.).
Negli anni '50 e '60 gli italiani erano occupati soprattutto nel ramo delle costruzioni (edilizia e genio civile) |
Si sa che il ventaglio delle professioni esercitate in tutti e tre i settori economici dagli
immigrati (italiani), molto limitato all’inizio, andò sempre più ampliandosi.
Si stima, per esempio, che nel 1948 nei tre rami dell’edilizia, dell’industria
metalmeccanica e in quella del tessile e dell’abbigliamento fossero occupati
rispettivamente circa 41.000, 12.000 e 7.000 italiani (a prescindere dal loro
statuto di stagionali, annuali, ecc.). Nel 1953 la distribuzione era mutata
solo leggermente: circa 30.000, 10.600, 8.900 italiani.
Nella rilevazione dell’agosto 1955, però, la situazione risultava
ulteriormente mutata: edilizia e genio civile: 51.992 (31,0%), tessile e
abbigliamento: 14.371 (5,3%), metalmeccanica: 14.737 (9,1%). Risultava anche
che molti italiani erano occupati nel settore primario e in quello dei servizi: una buona percentuale di italiani lavorava infatti ancora nell’agricoltura: 26.512
(16,3%) e negli alberghi e ristoranti: 26.672 (16,4%). Due anni più tardi
(agosto 1957) lavoravano nel settore agricolo 27.789 italiani (17274 annuali e
10515 stagionali). Dieci anni dopo, nell’agosto 1967, gli italiani che
lavoravano nell’agricoltura erano solo 9.693 (4797 annuali e 4896 stagionali).
Nell’agosto 1977 erano scesi a 2547 (888 annuali e 1659 stagionali). Nel 1987
lavoravano nell’agricoltura appena 1035 italiani (120 annuali e 915
stagionali).
Nella metalmeccanica l’andamento è stato diverso:
dapprima si ebbe un forte incremento e poi un crollo. Nell’agosto 1957
lavoravano nella metalmeccanica 32.301 italiani (31121 annuali e 1180
stagionali). Dieci anni dopo, nell’agosto 1967, gli italiani che lavoravano
nell’industria metalmeccanica erano 79.099 (78.072 annuali e 1027 stagionali).
Nell’agosto 1977 scenderanno a 12451 (12.285 annuali e 166 stagionali). Nel 1987
risulteranno addetti all’industria metalmeccanica appena 1946 italiani (1555
annuali e 391 stagionali).
Nel ramo delle costruzioni (edilizia e genio civile)
l’andamento dell’occupazione italiana è stato analogo a quello della
metalmeccanica. Nell’agosto 1957 lavoravano nelle costruzioni 79.335 italiani
(3209 annuali e 76126 stagionali). Dieci anni dopo, nell’agosto 1967, gli
italiani che lavoravano nelle costruzioni erano ben 129.944 (28.629 annuali e
101.315 stagionali). Nell’agosto 1977 ne risulteranno solo 30.711 (13615
annuali e 17.096 stagionali) e nel 1987 appena 13.911 (2286 annuali e 11629
stagionali).
Un andamento simile si registrò nell’occupazione in alberghi
e ristoranti. Nell’agosto 1957 lavoravano in alberghi e ristoranti 34.253
italiani (21.324 annuali e 12.929 stagionali). Dieci anni dopo, nell’agosto 1967,
gli italiani che lavoravano in alberghi e ristoranti erano 34.581 (23.711
annuali e 10.870 stagionali). Nell’agosto 1977 saranno solo 8399 (3802 annuali
e 4597 stagionali) e nel 1987 appena 4119 italiani (947 annuali e 3172
stagionali).
Massima occupazione degli italiani
La massima occupazione degli italiani è stata registrata
nella prima metà degli anni ’60. Nella rilevazione di agosto 1964 gli italiani
addetti all’edilizia e genio civile (muratori, manovali, minatori, carpentieri,
ecc.) erano ben 171.898 (36,2%); gli addetti all’industria metalmeccanica
91.968 (19,4%), quelli addetti all’industria tessile (28.922) e dell’abbigliamento
(35.869) (tessile + abbigliamento = 13,7%), quelli della ristorazione e
alberghi 36.021 (7,6%), alimentazione e tabacchi (17.140), orologeria e
bigiotteria (8.280), mentre nell’agricoltura gli italiani saranno meno di
diecimila (9.217/1,9%), così come nei servizi domestici (8.553). Gli italiani
che svolgevano attività in proprio (liberi professionisti e lavoratori
autonomi) erano circa il 5%. (Segue)