03 gennaio 2019

Italiano, lingua da praticare


In questi ultimi anni il tema dell’italiano come lingua nazionale e ufficiale della Svizzera è stato variamente studiato e discusso da un punto di vista che rassomiglia, per un verso, a quello del medico di fronte ad un malato grave, chiedendosi come guarirlo, ma che se ne discosta, per altro verso, alquanto perché, mentre il medico prima di somministrare la medicina giusta fa un’accurata diagnosi della malattia partendo dai sintomi, molti analisti dell’italiano sembrano fermarsi ai sintomi senza ricercarne le cause. Mi piacerebbe che quest’anno l’italiano venisse trattato non come un malato grave, ma come un bene prezioso, per quanto debole, da proteggere e da sostenere nella vita politica, economica, culturale della Svizzera.

L’italiano è costituzionalmente debole
Molti suggeritori di cure ad hoc per «salvare» l’italiano sembrano dimenticare che la lingua italiana in Svizzera è costituzionalmente debole, nel senso che il suo stato di salute non dipende tanto da principi costituzionali o norme legislative da invocare a protezione, quanto piuttosto dal numero e dal peso culturale, sociale, politico ed economico, dei suoi utilizzatori.
Spesso si fa riferimento al fatto che in Svizzera la stessa Costituzione federale fin dal 1848 considera l’italiano «lingua nazionale» e «lingua ufficiale», ma si dimentica di aggiungere che queste affermazioni sono vincolanti per la Confederazione (dove per altro il suo peso è marginale) e solo in misura minore e limitatamente a certi ambiti per i Cantoni e i Comuni). In proposito la legge sulle lingue del 2007 è chiara. Giusto all’inizio del primo articolo si precisa che la presente legge disciplina «a. l'uso delle lingue ufficiali da parte e nei confronti delle autorità federali».
E’ vero che nello stesso articolo si aggiunge che la legge disciplina anche: «b. la promozione della comprensione e degli scambi tra le comunità linguistiche; c. il sostegno dei Cantoni plurilingui nell'adempimento dei loro compiti speciali; d. il sostegno ai Cantoni dei Grigioni e Ticino per le misure a favore del romancio e dell'italiano»; ma a ben vedere si tratta sempre di campi in cui molta iniziativa è lasciata ai Cantoni senza grandi spazi per interventi esterni.
Non va tuttavia dimenticato che l’italiano è un bene prezioso per la Svizzera, perché contribuisce al rafforzamento dell’identità nazionale. Al riguardo la Confederazione fa molto (grazie anche agli stimoli della Deputazione ticinese alle Camere federali, alle sollecitazioni dell’intergruppo parlamentare «Italianità», agli interventi del «Forum per l’italiano», ecc.), ma anche i Cantoni e tutte le istituzioni pubbliche dovrebbero sentire il dovere di proteggerlo.

L’italiano ha bisogno del sostegno dal basso
Tuttavia, invocare l’applicazione di principi costituzionali e legali al di fuori dell’ambito dell’amministrazione federale (dove la competenza della Confederazione è totale) per far sì, per esempio, che le scuole impartiscono corsi di italiano, che nella maturità federale sia sempre prevista l’opzione italiano, che nelle imprese pubbliche o nei musei il plurilinguismo sia sempre e totalmente garantito, ecc. significa dimenticare che in campo scolastico, linguistico e culturale i Cantoni e persino i Comuni sono gelosi della propria autonomia.
Perché l’italiano viva e sia presente nelle scuole a tutti i livelli, nelle comunicazioni ufficiali e nelle istituzioni, è necessaria una forte iniziativa dal basso. Se la domanda d’italiano è consistente e ben motivata sono convinto che nessun Cantone e nessuna istituzione pubblica può rifiutarsi di prenderla seriamente in considerazione. Spesso, invece, la domanda è debole e insufficientemente motivata.

L'italiano va usato correttamente
Inoltre, non va dimenticato che per sostenere efficacemente la lingua italiana occorre ch’essa sia praticata, come qualunque altra lingua viva. Servono evidentemente a poco i convegni, le conferenze (anche con italianisti esimi), le stesse associazioni che s’interessano all’italiano e persino gli alti magistrati o funzionari italofoni della Confederazione, se il numero e il peso politico, economico, sociale e culturale dei praticanti e degli amanti della lingua italiana diminuiscono.  
Ancora, non basta utilizzare l'italiano in una maniera qualunque, ma bisogna adoperarlo bene, in modo appropriato e corretto anche nella comunicazione ordinaria (però non come in tanti post che si leggono purtroppo in Facebook!), soprattutto come veicolo culturale (in svariati campi, dall’arte alla letteratura, alla musica, al cinema, alla moda, alla stampa, ecc.), ma anche come strumento spendibile e utile nella vita politica, economica e culturale.
Per questo sono insostituibili le scuole, le università, alcune istituzioni come la Dante Alighieri e l'Università delle tre età. La loro frequenza è una garanzia per la sopravvivenza della lingua italiana in Svizzera, dove essa dev’essere vissuta anche come elemento significativo dell’identità nazionale.

Giovanni Longu
Berna, 3 gennaio 2019

31 dicembre 2018

Auguri all’Italia e alla Svizzera


A ogni fine anno ci auguriamo tutti che quello nuovo sia diverso, migliore di quello che sta per chiudersi, pur sapendo che molte aspettative non si realizzeranno. E’ lecito, tuttavia, sperare che, in Italia e in Svizzera, almeno a due categorie di persone il 2019 cambi realmente la vita: i poveri e i giovani senza lavoro. L’Italia e la Svizzera sono Paesi ricchi, anche se la ricchezza non è equamente distribuita, che non dovrebbero tollerare di avere gruppi di popolazione al di sotto della soglia di povertà e giovani alla ricerca disperata di un lavoro. L’augurio che vi rimedino con coraggio, determinazione e senso di giustizia va dunque a entrambi i Paesi, a prescindere dalla diversa proporzione dei problemi.

Eliminare o ridurre la povertà
Nessuno, credo, può accettare che in un Paese ricco come l’Italia esistano sacche di povertà come quelle che il Rapporto Caritas 2018 mette in evidenza. Se l’indigenza, l’incapienza, la totale dipendenza dall’assistenza pubblica e privata sono una triste realtà, mi pare evidente che le prime risorse disponibili dello Stato dovrebbero essere destinate a risolvere queste difficoltà sociali. In Svizzera questi problemi sono meno acuti, ma non inesistenti e, se è giusto reprimere gli abusi dei falsi invalidi e dei falsi indigenti, è ancor più giusto che la politica non lasci ai margini della prosperità i più deboli (cfr. Preambolo della Costituzione federale).
Vale in generale, credo, l’osservazione di Civiltà Cattolica in un recente articolo sulla «Povertà in Italia oggi», in cui si dice che «si tratta di un fenomeno per definizione negativo, la cui stessa esistenza costituisce un atto di accusa nei confronti di ogni società e di ogni governo che non riesca a eliminarlo o almeno a contenerlo».
Non credo che il «reddito d’inclusione» del precedente governo e il «reddito di cittadinanza» di quello attuale siano risolutivi, ma nella misura in cui contribuiscono a superare l’emergenza sono misure certamente utili. La via maestra per eliminare la povertà resta comunque il lavoro e la preparazione a una vita professionale dignitosa e moderna.

Ridurre la disoccupazione giovanile
L’altra categoria di persone a cui il 2019 è auspicabile che cambi la vita è costituita dai giovani in età lavorativa che non riescono a trovare un’occupazione conforme alle loro capacità. Anche questo problema dovrebbe essere risolto con assoluta priorità non solo per ciò che rappresenta il lavoro e la realizzazione professionale per ogni individuo, ma anche per la sua importanza sociale.
Spesso si dimentica che la disoccupazione giovanile, nelle sue proporzioni abnormi come in Italia, è uno degli elementi che più contribuisce all’impoverimento della popolazione e alla creazione di forti differenze regionali nella distribuzione della ricchezza e del benessere. Ben a ragione il Rapporto della Caritas menzionato sopra mette in evidenza che spesso all’origine della povertà materiale c’è una «povertà educativa» dovuta a carenze nella formazione.
In questo Osservatorio ho più volte sottolineato che la chiave della prosperità in tutte le società moderne (e specialmente in quella svizzera) sta nella preparazione scolastica e professionale dei giovani e che la disoccupazione giovanile eccessiva è un dramma inaccettabile per chi ne è vittima e uno scandalo per qualsiasi governo.
Qualche anno fa, lo storico franco-svizzero François Garçon dedicò un libro al sistema della formazione in Svizzera, intitolato «Formation: l’autre miracle suisse». Secondo lui la formazione svizzera rappresenta un’eccellenza, a cui «gli altri Paesi dovrebbero ispirarsi». Non so se l’Autore pensava anche all’Italia quando scrisse il libro, ma forse sì, perché ricorda di averlo iniziato, nel 2012, «quando in Italia il tasso di disoccupazione dei giovani di meno di 25 anni era del 32%, cifra drammatica che conduce ogni società alla sua disgregazione», mentre in Svizzera la disoccupazione dei giovani dai 15 ai 24 anni era 3,5%. L'Italia dovrebbe e potrebbe fare molto di più per ridurre questa piaga soprattutto del Mezzogiorno. Gli ultimi governi, compreso l'attuale, mi danno l'impressione di fare troppo poco e, forse, non solo per carenza d'idee. 

Auguri Italia, auguri Svizzera
C’è da augurarsi che l’Italia sappia affrontare con coraggio e lungimiranza almeno i problemi a cui ho accennato e che la Svizzera sappia conservare i valori che le garantiscono ormai da decenni il benessere e lo sviluppo. Non c’è dubbio, però, che i problemi si possano risolvere più facilmente e i valori siano meglio garantiti se tanto l’Italia quanto la Svizzera riusciranno a trovare nell’Unione europea un quadro di riferimento confacente e sicuro, pur nella consapevolezza che si tratti di una istituzione sempre migliorabile, col contributo di tutti.
Buon 2019, Italia e Svizzera
Giovanni Longu
Berna, 31 dicembre 2018