La Conferenza di Yalta di 80 anni fa (4-11 febbraio 1945) ha avuto nella storia europea un peso di cui è difficile, soprattutto per le giovani generazioni, rendersi conto oggi. Vi parteciparono i leader dei tre principali Paesi alleati nella guerra contro il nazifascismo: Franklin D. Roosevelt (USA), Iosif Stalin (URSS) e Winston Churchill (Gran Bretagna) che, intravvedendo la prossima fine della guerra da vincitori, volevano accordarsi soprattutto sull'assetto mondiale del dopoguerra. Prima di questo incontro ce n’era stato un altro a Teheran (28.11- 1.12.1943). In essi furono prese decisioni importanti riguardanti soprattutto la Germania (da dividere in quattro zone d’occupazione, di cui una francese perché la Francia liberata si era aggiunta agli Alleati nella fase finale della guerra), la convocazione della conferenza di San Francisco per la creazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e la definizione delle sfere d'influenza in Europa (e praticamente nel mondo). Questi incontri servirono anche al riconoscimento reciproco delle due «superpotenze» USA e URSS (quella britannica era considerata ormai al tramonto) e all'avvio della lunga fase della «guerra fredda» tra il blocco occidentale a guida statunitense e il blocco orientale a guida sovietica. Le conseguenze di tali decisioni furono talmente importanti che ne risente persino il clima geopolitico di oggi, benché nel frattempo sia assurta a superpotenza anche la Cina. Per capirne la portata occorre ricordare sommariamente la situazione europea dal 1942 al 1945.
L’Europa dal 1942 al 1945
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Yalta 1945: I «Tre Grandi» (da sin.): Churchill, Roosevelt e Stalin. |
L’incontro di Yalta, una cittadina della Crimea, fu voluto specialmente
da Stalin (URSS) per dimostrare che senza l’Unione Sovietica la
guerra avrebbe potuto non essere vinta o sarebbe durata molto più a lungo.
L’Armata Rossa, infatti, dopo aver sconfitto i tedeschi a Stalingrado in una furibonda battaglia durata mesi (con perdite enormi da
entrambe le parti) e dopo aver liberato gran parte degli Stati dell’Europa
orientale (Bielorussia, Polonia, Ucraina, Cecoslovacchia, Romania, ecc.)
avanzava con una certa facilità verso Berlino, da cui distava ormai solo 80
chilometri, mentre gli eserciti degli Alleati occidentali, sbarcati in Sicilia
(10 luglio 1943) e in Normandia (giugno 1944), erano ancora lontani centinaia
di chilometri e in Italia la risalita degli Alleati era bloccata sulla Linea
Gotica.
L’avanzata costante dell’Armata Rossa fece capire da una
parte che solo quell'alleanza era in grado di sconfiggere tedeschi e
giapponesi, ma dall'altra che non avrebbe retto a lungo perché i metodi
basati sulle epurazioni etniche con cui l’URSS imponeva il suo regime alle
popolazioni «liberate» erano incompatibili con i metodi applicati dagli Alleati
occidentali. L’URSS infatti liberava sì gli Stati prima invasi e sottomessi dai
nazisti, ma si comportava poi non diversamente da loro soprattutto nei
confronti delle popolazioni tedesche e dei presunti collaboratori negli Stati
alleati/satelliti della Germania.
La «guerra fredda»
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Churchill nel 1946, a Zurigo, auspicò gli «Stati Uniti d'Europa» |
La fine della guerra, tra le innumerevoli conseguenze,
lasciò in eredità al mondo anche l’esistenza di due superpotenze (fino ad
allora alleate per sconfiggere il nazismo) e di due blocchi ideologici, economici
e militari, destinati a un conflitto permanente per la supremazia, passato alla
storia con l’espressione «guerra fredda», a tratti molto intensa, anche senza
ricorso alle armi, pur alimentando una enorme corsa agli armamenti da entrambe
le parti.
Gli Stati liberi da quel momento non ebbero altra scelta che riferirsi all'una o all'altra superpotenza. All'Europa, il principale teatro di guerra, non fu data nemmeno questa possibilità perché fu divisa e a ciascuna parte fu praticamente imposto da che parte stare… fino alla caduta del muro di Berlino (1989) e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991).
La situazione europea: reazione preoccupante!
Sebbene oggi la situazione europea sia notevolmente cambiata, suona decisamente strana e preoccupante la recente affermazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen mentre parlava dello stato dell'Unione: «L'Europa è impegnata in una lotta per un continente integro che viva in pace, per un'Europa libera e indipendente. Una lotta per i nostri valori e le nostre democrazie, per la libertà e la capacità di scrivere da soli il nostro destino».
Trovo tale affermazione «strana» perché la presidente della Commissione UE sembra non rendersi conto che nessun Paese dell'UE è in stato di guerra, nessun Paese UE deve lottare per la propria libertà e indipendenza, in nessun Paese è minacciata la democrazia e l'affermazione dei propri valori essenziali. Ma tale affermazione è soprattutto «preoccupante» perché la presidente della Commissione UE parla come se ogni Stato dell'Unione fosse in guerra contro un Paese nemico che, anche senza nominarlo, è facilmente individuabile nella Russia, sebbene questa non gli abbia mai dichiarato guerra o l'abbia minacciato direttamente.
È preoccupante perché la presidente della Commissione UE si arroga il diritto (purtroppo senza opposizione) di decidere i confini (orientali) del continente europeo, cancellando una parte rilevante della storia europea (soprattutto il contributo determinante della Russia alla liberazione dal nazifascismo), e di perdere una parte consistente della penisola dell'Eurasia a tutto vantaggio della Cina. È preoccupante perché non riesce ad ammettere le vere debolezze dell'UE, quelle di non avere più personalità come il trio dei fondatori (Schuman, De Gasperi, Adenauer), di non avere una politica estera comune, di non avere una politica di difesa concordata, di non avere una sovranità «popolare», di non avere una costituzione, di non essere uno Stato.
Ma l'affermazione della presidente della Commissione UE è «preoccupante» soprattutto perché di fatto (e senza opposizione significativa) costringe i Paesi dell'UE a un riarmo costoso e spaventoso, ad investire centinaia di miliardi in armamenti, come se la guerra l'aspetti da un momento all'altro, e pensasse di proteggere il fianco est con un «muro di droni» (come se non potesse essere valicato da armi ancora più potenti). Purtroppo Ursula von der Leyen sembra non rendersi conto che in questo modo contraddice lo spirito e la lettera della Carta delle Nazioni Unite (che ha per principale scopo di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra») e gli stessi Trattati istitutivi dell'UE che mirano al consolidamento della pace e dello sviluppo internazionale.
Possibile che nell'Unione europa non si sia nemmeno tentato di risolvere la controversia russo-ucraina per via diplomatica, senza ricorso alle armi, senza vedere solo da una parte il fallimento degli accordi di Minsk? Possibile che il ripudio della guerra non stimoli la ricerca di alternative all'uso delle armi? Mancano le idee o mancano le personalità in grado di realizzarle? Ma l'UE vuole davvero la pace o lo scontro militare con la Russia?
Recuperare il senso della «comunità»
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Papa Francesco, profeta inascoltato! |
Giovanni Longu
Berna 24.09.2025