27 marzo 2024

11. Divisioni nella Chiesa e in Europa

Con la diffusione del Cristianesimo e della cultura umanistico-rinascimentale in quasi tutte le regioni del continente, dall'Atlantico agli Urali, l’Europa sembrava avviata verso una condizione di grande stabilità e di sviluppo unitario. Due elementi in particolare impedirono questa tendenza: la Riforma protestante e il nazionalismo. Con la prima si ruppe drasticamente non solo l’unità religiosa europea, rappresentata fino ad allora dalla Chiesa di Roma, ma anche una visione unitaria dell’Europa; col secondo elemento si accentuò in maniera pressoché irreversibile (fino ai nostri giorni) la tendenza alla creazione e al rafforzamento degli Stati nazionali. La guerra dei Trent'anni (1618-1648) ne fu una drammatica dimostrazione e la sua conclusione con la Pace di Vestfalia una conferma.

La Riforma protestante

L'Europa frammentata del '500 ca.

La Riforma protestante (il movimento religioso avviato nel 1517 da Martin Lutero con la pubblicazione di 95 contestazioni di dottrine e pratiche della Chiesa di Roma) non fu la conclusione di dispute teologiche o di una lotta per il controllo del pontificato fra papi e antipapi (come avveniva spesso in passato) e meno ancora la decisione di un monaco agostiniano ribelle (Lutero), ma il risultato di una lunga quanto vana richiesta di rinnovamento nella Chiesa, riguardante sia questioni teologiche che pratiche ritenute in alcuni ambienti religiosi insostenibili e inaccettabili in base alla dottrina e alla morale cristiana.

Le conseguenze della Riforma furono enormi anche al di fuori dell’ambito religioso. Per esempio, essa rappresentò in Europa la rottura di una linea di tendenza che sembrava volta al rafforzamento dell’unità e dello sviluppo comune dei popoli europei, avviato con Carlo Magno e proseguito con i sovrani del Sacro Romano Impero e la conversione al cristianesimo dei popoli slavi. Anche se, probabilmente, più che di una tendenza reale si trattava di un sogno o di un desiderio, abbozzato nel XV secolo dall'umanista italiano Enea Silvio Piccolomini e futuro papa Pio II (1405-1464) nel De Europa del 1458, quell'idea e quel sogno avevano raggiunto un buon livello di realtà attraverso l’adesione di tutti i popoli europei al Cristianesimo, anche se organizzato differentemente in Oriente e in Occidente. La Riforma è stata considerata a lungo come una spaccatura più che nel Cristianesimo nella Cristianità. E siccome per secoli Europa e Cristianità avevano coinciso in larga misura (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2024/03/9-leuropa-umanistica-e-rina.html), la Riforma fu vista da molti come un elemento di rottura forse irrimediabile anche nella fragile Europa.

La Riforma sollevò non pochi problemi anche dal punto di vista «politico», perché le divisioni fra protestanti e cattolici avvenivano non solo fra Stati ma anche all'interno di uno Stato (in Svizzera tra Cantoni cattolici e Cantoni protestanti si sfiorò la guerra civile!). Inoltre, con questa ulteriore divisione (oltre a quelle politiche) l’Europa nel suo insieme finiva per perdere un efficace incentivo all'unità. Infatti, nei secoli, l’unica forza o comunque la principale che era riuscita a compattare tutti o molti Stati per difendere i territori dalla minaccia di avversari temibili (Islam, Impero Ottomano) era stata la religione cristiana. In Europa, per secoli la «civiltà occidentale» è stata la «civiltà cristiana».

Nascita e diffusione dei nazionalismi

Nazionalismi all'opera in una mappa satirica del 1870.
I nazionalismi sono nati dall'enfatizzazione di intellettuali e di governanti delle caratteristiche tipiche dei vari popoli per rafforzare in loro il senso di appartenenza e l’unità nazionale. Raggiungere risultati soddisfacenti in forme statuali non è stato sempre facile e fin dal Cinquecento si scatenarono ovunque lotte per la supremazia, perché molti popoli avevano origini, culture e religioni diverse. La principale conseguenza fu la moltiplicazione degli Stati nazionali con una etnia dominante. La Svizzera fino al 1848 e l’Italia fino al 1861 non facevano eccezione.

La Riforma protestante ha contribuito indirettamente allo sviluppo dei nazionalismi perché l’accentuazione delle specificità dei vari popoli relativizzava l’esigenza dell’unità dei cristiani. Inoltre, benché la Riforma sia avvenuta all'interno della religione cristiana, la separazione da Roma e la negazione del primato religioso del papa, ha finito per rafforzare le capitali dei singoli Stati, soprattutto dopo la Pace di Augusta del 1555, in cui fu stabilito il principio (valido in Germania, ma applicato talvolta anche altrove) del cuius regio eius religio («di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione»), che sanciva l'obbligo per il cittadino di seguire la confessione religiosa del suo sovrano.

In conclusione, per motivi di identità etnico-religioso-culturale, per motivi di dominio e controllo dei propri cittadini (per fini tributari, di reclutamento, ecc.) o altri motivi, il nazionalismo dei singoli Stati finì ben presto per prevalere su ogni altro interesse comune, persino quello della pace. E fu la fine (speriamo provvisoria) dell’idea di un’Europa unita.

Giovanni Longu
Berna 27.3.2024

22 marzo 2024

Elezioni russe: perché ha vinto Vladimir Putin?

Alle recenti elezioni russe ha vinto Vladimir Putin e, forse, non poteva essere altrimenti. Infatti Vladimir non è un nome qualunque, ma il nome di un vincitore divenuto un simbolo (nomen omen, un nome un destino, avrebbero detto i latini), il simbolo della vittoria e della continuità russa. Comunque le si voglia considerare, regolari o falsate, sono un dato di fatto di cui bisogna tener conto, anche in Occidente, perché rispecchiano una tendenza e una continuità più che millenaria. Non si può infatti dimenticare che la nascita della Russia avvenne a Kiev quando il principe Volodymyr, capo di una delle tribù slave che abitavano nella regione, riuscì a costituire un regno chiamato Rus’ di Kiev, confinante a sud con l’Impero bizantino, grazie a una politica e una fede divenute tradizionali in Russia.

La riuscita di Vladimir

Quando sul finire del Novecento alcuni generali cercarono di spodestare l’imperatore di Bisanzio (già Costantinopoli) Basilio II (976-1025), questi chiese rinforzi proprio alla Rus’ di Kiev, che inviò i soccorsi richiesti, pretendendo in cambio la promessa di un’alleanza su base matrimoniale: l’imperatore avrebbe acconsentito al matrimonio di sua sorella Anna Porfirogenita col principe Volodymyr. Nel 988 gli alleati sconfissero i generali ribelli e l’imperatore dovette mantenere le promesse.

Prima del matrimonio, Volodymyr dovette però convertirsi al cristianesimo e farsi battezzare, prendendo il nome slavo-russo di Vladimir. A sua volta, dopo il matrimonio, fece battezzare il suo popolo e da allora Kiev divenne capoluogo di una nuova provincia ecclesiastica (con un metropolita sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli) e un importante centro di diffusione del cristianesimo tra i popoli slavi, che poteva contare sul sostegno di numerose chiese e monasteri.

Quando Vladimir morì (1015) il suo corpo fu diviso in tante parti per essere distribuite fra le chiese e i monasteri che aveva fondato, ma anche il suo regno andò a pezzi (principati indipendenti). Cercò di raccoglierne l’eredità politica e spirituale dapprima il principato di Vladimir, allora il più esteso (a nord-est della Rus’ di Kiev), con capitale Vladimir (fondata tra il 990 e il 1108), che venne ingrandita e abbellita con chiese, monasteri ed edifici associati (oggi appartenenti al patrimonio mondiale dell’UNESCO). Nel XIII secolo, quando la Rus’ di Kiev fu invasa dai Mongoli, il principato si disgregò in 11 piccoli principati autonomi, uno dei quali era quello di Moscova, la regione attorno a Mosca (originariamente un villaggio di pescatori fondato nel 1147 sulle rive del fiume Moscova).

Da Vladimir a Mosca

Nel XIII-XIV secolo il principato di Moscova si estese fino a comprendere non solo il principato di Vladimir, ma l’intero territorio della Rus’ di Kiev, raccogliendone di fatto l’eredità politica e spirituale. Il suo potere politico era diventato così incontrastato da giungere a patti anche con i Mongoli (i quali riconobbero al principe Ivan I il titolo di Gran Principe di Vladimir nel 1328). Sul terreno religioso, invece, i successi arrivarono più lentamente a causa di difficoltà interne ed esterne alla Chiesa d’Oriente dopo il Grande Scisma del 1054, che aveva sancito la separazione dalla Chiesa di Roma.

Data l’importanza crescente della Russia, nel 1448 la chiesa russa decise di separarsi dal Patriarcato di Costantinopoli. Nel 1453, quando Costantinopoli fu presa dai musulmani Ottomani, per la chiesa russa sembravano aprirsi nuove prospettive. Le ambizioni cominciarono a diventare realtà nel 1547 quando il Granducato di Mosca divenne Regno russo e Ivan IV assunse il titolo di zar. Nel 1589 la sede ecclesiastica di Mosca fu elevata a patriarcato alla pari, di fatto, degli altri quattro patriarcati della Chiesa ortodossa (Costantinopoli, Alessandria d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme).

A quel punto Mosca poteva ambire a diventare una grande capitale, corrispondente al prestigio e all'importanza che il Regno stava acquistando nel mondo. Tra le prime costruzioni della nuova capitale, che nelle intenzioni dello zar doveva diventare per prestigio e importanza la «terza Roma», va ricordata la cattedrale di San Basilio sulla Piazza Rossa (1555-1561), con lo stile inconfondibile di molte chiese russe con evidenti influenze dell’architettura bizantina.

Più tardi, con lo zar Pietro il Grande (1672-1725), la capitale fu trasferita in una città nuova di zecca, San Pietroburgo, edificata e abbellita secondo i modelli più accreditati dell’Occidente. Mosca perse prestigio, ma conservò sempre una certa vivacità, diventando un importante centro commerciale e industriale. All'inizio del secolo scorso fu investita dalla rivoluzione russa seguita dalla guerra civile che provocò gravi danni alla città. Nel 1918 la capitale fu nuovamente riportata a Mosca, ma solo dopo la guerra civile (1921) si riprese completamente dallo sfacelo. I moscoviti riebbero la «loro» città, che amavano più di San Pietroburgo, benché meno bella, perché più corrispondente al sentimento «slavo» e alla coscienza religiosa del popolo. Per molti credenti Mosca era rimasta la «città santa», la più vicina alla Gerusalemme celeste dell’Apocalisse di san Giovanni, tanto da chiamare la cattedrale di San Basilio anche Ierusalim.

L’attualità nella continuità

Vladimir I, alleandosi con l’impero bizantino e convertendosi al cristianesimo, allora le due forze che reggevano il mondo, «riuscì a fondere in un solo popolo tutte le sue tribù e introdusse la Russia intera nella famiglia dei popoli europei. Da quel momento la Russia [Rus’ di Kiev] non era più un paese barbarico» (Bonanate M. 1988). Per essere riconosciuta un grande Paese, la Rus’ di Kiev aveva avuto bisogno di una capitale rappresentativa, una «città santa» in grado di esprimere contemporaneamente il potere terreno e il potere spirituale, come era avvenuto con Kiev, poi con Vladimir e ora con Mosca.

Vladimir Putin, vincitore assoluto delle elezioni 2024
A Vladimir si sono ispirati, chi più chi meno, tutti i suoi successori al vertice della Russia, utilizzando soprattutto due leve: la coesione del popolo russo (impresa tutt'altro che facile, data la varietà delle popolazioni che lo compongono) alimentata anche da un forte sentimento religioso e i rapporti di buon vicinato con i Paesi vicini. Anche Vladimir Putin, nelle ultime elezioni, ha fatto leva soprattutto sulla coesione e il sostegno del popolo russo, non potendo far leva sui rapporti di buon vicinato praticamente con tutti i Paesi occidentali.

Per capire la portata delle recenti elezioni russe bisognerebbe tener presente la tradizione politica russa, che ha sempre considerato il «popolo russo» non come una somma di etnie diverse, ma come un’unica entità, da tenere unita e da difendere a qualunque prezzo, dovunque si trovasse. Come avrebbe reagito chiunque avesse avuto il potere di Vladimir Putin se avesse avuto la convinzione che propri concittadini fossero stati privati di diritti fondamentali?

E siccome in Russia tra potere politico e potere religioso non c’è vera separazione ma piuttosto sovrapposizione, bisognerebbe tener conto anche del fatto che pure per la chiesa russa non esiste separazione tra i russi che stanno in Russia e i russi che ne stanno fuori, dunque, per esempio, tra Russia e Ucraina. «Per questo, nel 2018, quando il patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha riconosciuto l’autonomia alla Chiesa ortodossa nazionale dell’Ucraina, con la nascita del patriarcato di Kiev, Mosca ha rotto qualsiasi relazione con entrambi, catalogando la nuova conformazione ucraina come “scismatica”» (Mattonai P. 2022).

Considerazioni finali

Il patriarca Kirill per una pace russa!
Ci si può rammaricare che la nostalgia della Russia imperiale sia ancora presente sia in Kirill che in Putin e sulla base di questo mito facciano scelte e compiano azioni ispirate a una forma di nazionalismo inaccettabile, ma non va dimenticato che dello stesso mito si sono nutrite generazioni di russi. Non si tratta di giustificare l’annessione della Crimea o l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, ma di spiegarle, ricordando, come ha fatto recentemente la rivista Limes, che «per la Russia il futuro è il passato».

Non ci si dovrebbe dunque meravigliare se Putin abbia stravinto le elezioni presidenziali del 2024 e tantomeno non accettare l’esito elettorale, perché esso corrisponde in larga misura al sentimento nazionale (nazionalistico?) dei russi. L’esito non piace? Putin non piace? Bisogna farsene una ragione, perché questo è il mondo russo, piaccia o non piaccia, e non saranno certamente le sanzioni, le esclusioni o, peggio ancora, una guerra ad oltranza a far cambiare idea e sentimenti a generazioni di russi.

A noi occidentali Putin può non piacere, anzi non piace affatto; ma non per questo dovrebbe non piacere nemmeno ai russi. Nella storia russa ci fu uno zar, Ivan IV, che il popolo aveva soprannominato «Il terribile». A noi potrebbe sembrare che il popolo dovesse odiarlo, ma non lo odiava affatto, anzi gli era devoto perché era «terribile» nei confronti dei «boiardi», i grandi burocrati (oggi diremmo i grandi oligarchi), perché spesso non agivano nell'interesse del popolo.

Non credo che di Putin si possa dire la stessa cosa, ma non dovrebbe essere il suo popolo a deciderlo? E se il popolo lo ha in qualche modo premiato per il suo modo di agire risoluto, perché non prenderne atto? A meno che si preferisca pensare che la stragrande maggioranza del popolo russo sia stata turlupinata dalla propaganda ingannevole di Putin o costretta a votare sotto minacce o, peggio ancora, che i russi siano incapaci d’intendere e di volere!

Domande fondamentali

Papa Francesco, da anni invoca la pace!
Ma, posto pure che il popolo russo abbia sbagliato a votare Putin, non sono forse legittime le domande seguenti?
1. Per rimediare al presunto errore bisogna continuare ad alimentare l’odio, proseguire una guerra micidiale e distruttiva, incoraggiare la produzione di armamenti che dilapidano i risparmi dei popoli coinvolti, sostenere partiti ottocenteschi nazionalisti?
2. Davvero non è possibile trattare su un assetto territoriale rispettoso degli abitanti, sui vantaggi della pace e della collaborazione, sul «rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione» (art. 1 della Statuto ONU)?
3. Ci si rende conto che sul fronte muoiono ogni giorno giovani (e sono già tanti, troppi!) a cui qualcuno ha negato il diritto di vivere, di crescere, di farsi una famiglia?
4. Come si pensa di colmare i vuoti che lasciano i giovani «eroi» morti in guerra (o piuttosto giustiziati senza processo e senza colpa!) nelle loro famiglie e nella società?
5. Non sarebbe enormemente più ragionevole e vantaggioso seguire il disinteressato consiglio del Papa (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2024/03/papa-francesco-per-un-negoziato-contro.html) di far cessare subito le armi e sedersi attorno a un tavolo per almeno provare a trattare, a dialogare, a cercare utili compromessi per tutte le parti in causa? 

Giovanni Longu
Berna 21.03.2024

20 marzo 2024

10. L’Europa e l’eredità dell’Umanesimo e Rinascimento

Durante l’Umanesimo e il Rinascimento (XV-XVI sec.), l’Europa ha fatto un grande passo avanti sulla strada della consapevolezza della propria identità culturale, artistica e religiosa, nonostante le difficoltà dovute ai particolarismi introdotti dai nazionalismi nascenti, alle divisioni religiose, al diverso sviluppo degli Stati occidentali e orientali (cfr. articoli precedenti). Volendo riassumere il carattere più innovativo dell’Umanesimo e del Rinascimento a livello continentale si potrebbe parlare della riscoperta della centralità dell’uomo nelle vicende umane e dell’accresciuta percezione della propria libertà e responsabilità nei confronti della natura, di sé stesso e della storia. Nessun campo è rimasto estraneo alla cultura umanistica e rinascimentale, anche se non tutti gli Stati europei furono coinvolti nelle stesse proporzioni. Per tutti, comunque, l’eredità è stata enorme.

Umanesimo in continuità col Medioevo

La Città ideale del Rinascimento e l'idea della perfezione classica (Wikipedia)
Per molti storici l’Umanesimo e soprattutto il Rinascimento hanno chiuso definitivamente il Medioevo e avviato la modernità. In realtà molti cambiamenti erano cominciati attorno al Mille con la ripresa universale delle principali attività economiche, delle scienze, delle arti e il dissolversi delle società feudali. Tuttavia, mentre fino al XV e XVI secolo tutti i grandi movimenti avvenivano a trazione religiosa o politica, generalmente in risposta a gravi contingenze (minaccia dell’Islam, insicurezza dei commerci, crescita demografica, ecc.), con l’Umanesimo e il Rinascimento anche singole personalità potevano determinare cambiamenti importanti. Uno dei principali elementi trainanti resterà comunque la religione.

L’Umanesimo, votato alla riscoperta dell’antichità classica, ha messo in risalto soprattutto la grandezza spirituale dell’uomo, esaltandone la dignità e le capacità intellettuali, ma anche la sua naturalezza (naturalismo o realismo) e fragilità (mai come nel tardo Medioevo e nel periodo umanistico-rinascimentale furono dipinti in Europa così tanti Trionfi della morte e Danze macabre, tra uomini e scheletri). L’Umanesimo intendeva così valorizzare l’uomo vero, l’individuo (all’opposto dell’universalismo medievale), forse senza rendersi conto dei rischi dell’individualismo. Di fatto, soprattutto il Rinascimento sarà caratterizzato dalle grandi personalità a cui sono legate le sue principali espressioni politiche, culturali e artistiche.

Rinascimento come esaltazione della creatività umana

“L’uomo vitruviano”, disegno di Leonardo, rappresentante
la perfezione e la centralità dell'uomo nel creato.
La riscoperta del passato con l’Umanesimo ma soprattutto il Rinascimento hanno indotto a mettere in dubbio l’ordine cosmico precostituito e intoccabile (determinismo) del Medioevo, per considerare il mondo oggetto di indagine e di trasformazione da parte dell’uomo. Non hanno escluso Dio dalla storia e dalla vita dell’uomo, ma lo hanno per così dire interiorizzato sicché l’uomo potesse esaltarne la Sua immagine attraverso le sue azioni e le sue opere: anche l’uomo era «creativo». Questo ruolo veniva esplicato soprattutto nella letteratura, nella politica, nelle scienze, nell'arte, nelle grandi scoperte geografiche, nei diversi rapporti tra cittadini e autorità, nell'esaltazione dell'intelligenza, del sapere (furono create numerose università), del potere, dell’arte come ideale estetico della vita, in una nuova visione del mondo e della storia, con radici cristiane.

L’uomo non era più visto come manifestazione della potenza e dell’intelligenza di Dio nell'ordine e nella bellezza della natura, ma come essere autonomo, libero e responsabile delle proprie azioni e capace di trasformare non solo la natura a suo piacimento, ma anche la vita propria e altrui secondo nuovi canoni di efficienza, armonia, perfezione e utilità.

Eredità e responsabilità

Manca lo spazio per riassumere la grande eredità lasciata ai posteri dall'Umanesimo e dal Rinascimento, ma basterà rievocare alcuni nomi famosi per rendersi conto quanto l’Europa, dall'Inghilterra alla Russia, debba ancora oggi a quei movimenti.

Tra le migliaia di nomi che si potrebbero menzionare ne citerò a titolo di esempio solo alcuni, emblematici nel loro campo, come i Papi Niccolò V (che cercò invano di salvare Costantinopoli dall'aggressione dei Turchi Ottomani), Pio II (Enea Silvio Piccolomini), Pio V (promotore della «Lega Santa» che sconfisse gli Ottomani a Lepanto); gli scienziati Copernico, Keplero, Galileo Galilei; i riformatori Savonarola, Lutero (iniziatore del Protestantesimo), Giordano Bruno; i filosofi Erasmo da Rotterdam, Pico della Mirandola, Bacone, Cartesio; gli scrittori Poliziano, Machiavelli, Ariosto, Tasso; gli artisti Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Botticelli,  Piero della Francesca, Giorgione, Tiziano, Veronese, ecc. ecc.

Il contributo da loro fornito alla formazione e al prestigio dell’Europa è stato enorme, e grande è pertanto la responsabilità di aver cura dell’eredità di cultura e di bellezza che ci hanno lasciato.

Giovanni Longu
Berna 20.03.2024 

13 marzo 2024

9. L'Europa umanistica e rinascimentale

Con la vittoria della Cristianità sull'Impero ottomano (Islam) a Lepanto (1571) si può ritenere che l’Europa abbia raggiunto la sua massima estensione. Lo confermano, fra l’altro, gli atlanti successivi a quell'evento. Quello è stato anche il periodo in cui Europa e Cristianità hanno coinciso al massimo, ma pure l’epoca in cui al sentimento religioso comune si è aggiunta un’altra caratteristica destinata a uniformare in misura determinante il continente: la cultura umanistico-rinascimentale. L’Umanesimo e il Rinascimento hanno infatti contribuito a trasformare l’Europa in un continente permeato, oltre che da una comune religiosità monoteistica cristiana, da valori umanistici e rinascimentali che faranno progredire le scienze, la tecnica, l’arte, la cultura in generale. Va tuttavia notato che a un tale incremento di conoscenze non è corrisposto un progressivo avvicinamento politico degli Stati, che hanno anzi perseguito interessi propri, talvolta persino confliggenti con quelli di altri.

La massima estensione dell’Europa e l’origine del nazionalismo

Atlante di A. Ortelius (1570), con i confini dell'Europa ancora arretrati rispetto a un secolo dopo.
Dopo la vittoria di Lepanto l’Europa politica raggiunse la sua massima estensione. Basta confrontare qualche atlante dell’Europa pubblicato prima del 1571 (per esempio il Theatrum Orbis Terrarum del famoso cartografo fiammingo Abraham Ortelius) e gli atlanti pubblicati dopo (per esempio quello dell’incisore e cartografo olandese Hendrik Hondius) per rendersi conto dell’estensione raggiunta dall'Europa dopo quella vittoria. Pur senza sopravvalutarne la portata, come suggeriscono molti storici, è innegabile che da allora quasi tutti i popoli europei si siano sentiti più sicuri e che i Russi ne abbiano approfittato per estendersi a nord e a est. Per essi non rappresentavano più un limite insuperabile né i grandi fiumi Don e Volga né il monti Urali né lo stretto dei Dardanelli.

Anche l'Europa cristiana, nel XVII secolo, raggiunse la sua massima estensione (fino al Mar Glaciale Artico e oltre gli Urali, sebbene anche in Siberia la Chiesa russa abbia creato chiese e diocesi) e una relativa tranquillità, dopo la riconquista spagnola e il freno russo all'espansione musulmana dell’Impero ottomano (nonostante i suoi reiterati tentativi di penetrazione in Austria e di conquistare Vienna).

Paradossalmente, tuttavia, invece di approfittare di quella condizione largamente favorevole per consolidare alleanze e perseguire una sorta di unità europea, molti Stati pensarono piuttosto a rafforzare i propri confini contro possibili minacce esterne e sollecitando la coscienza nazionale (spesso inesistente). Così, mentre il mito dell’unità europea si allontanava, nasceva quella forma di nazionalismo diffuso che ha finito per contagiare tutti gli Stati europei fino alla Seconda guerra mondiale.

La cultura diventa caratteristica comune

Quanto questa scelta dell’Europa di dividersi invece di unirsi abbia pesato sui singoli Stati è forse impossibile rilevarlo, ma ha certamente influito molto sulla storia europea, che da allora ha conosciuto numerose guerre deleterie e ritardato enormemente lo sviluppo dell’idea di unione europea in vista di uno sviluppo armonioso di tutti i popoli interessati, non solo in senso politico-militare, ma anche civile, sociale, economico, culturale e ideale.

Planisfero di H. Hondius (1630), in cui l'Europa non ha ancora raggiunto il suo estremo confine orientale.
Lo sviluppo dei singoli Stati non si è tuttavia fermato, seguendo ciascuno ritmi e modalità differenti secondo possibilità e circostanze proprie di ciascun Paese. Di fatto, approfittando della relativa pace nell'Europa dei secoli XV-XVII, quasi tutti gli Stati hanno cercato di consolidarsi all'interno, alcuni si sono estesi territorialmente approfittando di problemi di successione e relazioni matrimoniali, altri hanno approfittato delle scoperte geografiche per espandersi oltreoceano con conquiste coloniali, altri ancora hanno sfruttato condizioni di benessere particolarmente favorevoli.

Soprattutto in questi ultimi Paesi sono sorti nei secoli a cavallo tra Medioevo ed Epoca moderna due movimenti a carattere letterario-filosofico-artistico particolarmente innovativi, che si sono presto diffusi in Europa, contribuendo a trasformarla sotto il profilo non solo culturale, ma anche urbanistico, sociale, economico, scientifico, politico. Basti pensare allo sviluppo delle biblioteche, alla fondazione di numerose università, agli scambi culturali, alla trasformazione urbanistica di molte capitali, alla costruzione di palazzi e monumenti, alle collezioni d’arte, ecc. Se prima le idee circolavano lentamente grazie soprattutto agli spostamenti di monaci e pellegrini, con l’Umanesimo e il Rinascimento cominciarono a circolare sempre più facilmente e abbondantemente con scritti stampati e scambi sempre più frequenti di studiosi, letterati, scienziati, filosofi, artisti, architetti, inventori. Committenti delle grandi opere non erano più soltanto papi, abati, vescovi, re e principi, ma anche città, ricchi commercianti e banchieri, pur restando ancora i papi, i re e gli zar di Russia i principali committenti.

Giovanni Longu
Berna, 13.03.2024

12 marzo 2024

Papa Francesco per un negoziato contro la guerra in Ucraina

Qualche giorno fa, papa Francesco non ha parlato ex cathedra del conflitto russo-ucraino, ma da osservatore attento a cui non può sfuggire il dramma della popolazione civile, sia ucraina che russa, a causa di questa guerra. Invitando i belligeranti al cessate il fuoco e ad avviare trattative di pace non ha pronunciato un dogma che impegni la fede dei cristiani, ma un discorso chiaro fondato sul rispetto che i responsabili delle nazioni dovrebbero avere verso le popolazioni che rappresentano. Che molti di questi «responsabili», a cominciare dal presidente ucraino, abbiano criticato l’intervento del papa non può sorprendere perché hanno capito benissimo che quell'invito era rivolto a loro e che se lo rifiutano potranno essere considerati anche dalle loro opinioni pubbliche «irresponsabili».

Non credo che le parole del papa abbiano bisogno dell’interpretazione autentica per essere capite, perché è chiaro ch'egli sollecitava la responsabilità dei governanti, non solo dei belligeranti ma anche dei loro sostenitori, a salvare vite umane, non a continuare a uccidere. Non era un invito ad «arrendersi» rivolto ad una parte, ma un invito accorato rivolto a entrambe le parti a far cessare l’uso delle armi e a cominciare a «dialogare», partendo dal presupposto che la convivenza pacifica tra Stati e tra etnie diverse è possibile, anzi doverosa.

Dalle parole del Papa non si può quindi dedurre, come hanno fatto alcuni, che questo conflitto può concludersi solo con lo smembramento dell’Ucraina, in quanto potrebbe concludersi anche diversamente, per esempio, secondo me, con un riconoscimento formale dei diritti di tutte le parti interessate, anche di quelle popolazioni che nel 2014 avevano proclamato la proprio indipendenza da Kiev, garantendo loro, in base al diritto internazionale (Statuto ONU, artt. 1, 55 e altri), il rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi, «senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione». Trovare un punto di equilibrio non sarà facile, ma nelle parole del Papa si può notare anche un certo ottimismo al riguardo.

Si può inoltre osservare che papa Francesco non è l’unico a sostenere la preminenza degli interessi delle popolazioni sugli interessi degli Stati. La sua azione rientra infatti in una tradizione, che non subordina gli interessi vitali delle persone alla «sovranità dello Stato» e all'«integrità territoriale» e non prevede tra i diritti dello Stato quello incondizionato di mandare al massacro decine di migliaia di cittadini per «difendere la patria», soprattutto se questa può essere difesa «pacificamente», e meno che mai il diritto di Stati non belligeranti a far combattere e morire in loro vece altre popolazioni in terre lontane dai propri confini.

Del resto, basterebbe chiedere ai combattenti in prima linea e alle loro famiglie cosa pensano della guerra per sentirsi rispondere che a loro interessa soprattutto vivere in pace. Quanto ai belligeranti e ai loro sostenitori, che spesso invocano il «diritto internazionale», andrebbe spiegato che per quanto imperfetta la Carta delle Nazioni Unite prevede all'articolo 1, paragrafo 2, la possibilità e il dovere di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli».

A questo punto ci si può chiedere se non sia da incoscienti e irresponsabili pensare di raggiungere gli stessi obiettivi attraverso la guerra, senza rendersi conto dei danni diretti e indiretti enormi ch'essa provoca. Non ha dunque ragione il Papa quando supplica di porre fine al massacro della «martoriata Ucraina»? E non sarebbe saggio per i cittadini italiani manifestare il dissenso verso i sostenitori della guerra  in nome della Costituzione che all'articolo 11 recita che «l'Italia ripudia la guerra» non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»? 

Giovanni Longu
Berna 12.03.2024

 

08 marzo 2024

8 marzo: uomo e donna a immagine di Dio!

Uomo e donna «immagine di Dio»
Oggi, festa della donna, è un tripudio di mimose ed elogi alla bellezza e alle virtù delle donne. Certamente le donne, in ogni parte del mondo e in ogni condizione, meritano attenzione, riconoscenza e rispetto, non solo oggi, ma sempre. Tradizionalmente nella società umana si stabilisce una gerarchia tra le persone in base al ruolo e alla funzione che svolgono. Ai primi posti si trovano normalmente gli uomini perché sono essi che stabiliscono la maggior parte dei ruoli e delle funzioni, poi vengono le donne a seconda dei ruoli e delle funzioni. Da tempo, giustamente, le donne si ribellano a questa classificazione e trovano ingiustificata la disparità tra donna e uomo in base alla diversa partecipazione al «sapere», al «potere», alla «responsabilità». Hanno ragione, perché la lotta per la piena parità uomo-donna va sostenuta, a prescindere dai ruoli e dalle funzioni, essendo uomo e donna sostanzialmente uguali.

Ai credenti e non credenti andrebbe ricordato che il racconto biblico della creazione ha una valenza antropologica generale: «Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Gen. 1,27). Questa «immagine di Dio» non è solo una prerogativa dei cristiani , ma di ogni persona umana, perché in ogni uomo e in ogni donna è impressa l’immagine di Dio. Quando si rivendica il rispetto dovuto alle donne come agli uomini basterebbe riferirsi a questa «immagine» e dovrebbe essere compito di ciascuno e di ciascuna rispettarla e valorizzarla, negli atti e nei pensieri.

In particolare ai credenti andrebbe tuttavia ricordato anche che, se è vero che nella storia la Chiesa non si è sempre attenuta a questo comandamento, è anche vero che essa è rimasta quasi sola a difendere i diritti fondamentali delle donne e le sue motivazioni sono così solidamente ancorate nella Bibbia e nella tradizione da non potersi efficacemente contestare o minimizzare: la dignità della donna (come dell’uomo) non deriva dal ruolo e dalle funzioni che essa svolge, ma dal suo essere «donna» (e uomo), creata (come l’uomo) a immagine di Dio. 

Fanno certamente bene le donne a rivendicare anche nella Chiesa l’esercizio di funzioni dirigenziali, di servizio e di responsabilità, ma il rispetto lo devono rivendicare a prescindere dai ruoli e se, per esempio, la funzione sacerdotale viene loro negata, la spiegazione non va ricercata in un presunto potere discriminatorio maschilista ancora presente nella Chiesa, ma in una ragionevole interpretazione della Bibbia: se infatti Gesù Cristo avesse voluto chiamare al sacerdozio anche donne, avrebbe potuto certamente farlo, ma non l’ha fatto e pertanto, secondo san Giovanni Paolo II, la Chiesa non ha il potere di farlo.

Giovanni Longu
Berna, 8 marzo 2024


06 marzo 2024

8. Europa, un’«idea» problematica

Dubito che in base agli articoli precedenti qualche lettrice o lettore sia riuscito a determinare con certezza i confini e quindi l’ampiezza dell’«Europa» dopo la vittoria di Lepanto (1571) o a percepirne l’«identità», cioè la caratteristica o le caratteristiche identitarie. Ciò è comprensibile, perché non è facile per nessuno indicare limiti geografici precisi a una realtà che non ha confini fisici certi, specialmente ad est, e riuscire a cogliere l’«identità» di un mosaico di popoli eterogenei e di Stati assai diversi tra loro, che stanno ancora prendendo forma. Del resto, l’incertezza e forse la confusione regna tutt'ora. Merita, dunque, prima di andare avanti nella ricerca delle radici cristiane dell’Europa di oggi, fare un po’ di chiarezza al riguardo.

Problematicità dell’«idea» di Europa

Antica carta d'Europa (ca 1580)
In genere, quando si parla di «Europa» senza ulteriori precisazioni, si presuppone che tutti gli interlocutori intendano riferirsi alla stessa realtà. Invece, stando anche solo a un’analisi sommaria dei media occidentali risulta evidente che il riferimento non è univoco. Per molti, infatti, l’«Europa» coincide con l’Unione Europea, per alcuni con i Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa, per altri con quell'entità geografica imparata a scuola, situata tra l’Atlantico e i monti Urali e tra il Mediterraneo e il mar Glaciale Artico, per altri ancora l’Europa finisce a est al confine orientale della Finlandia, dell’Estonia-Lettonia-Lituania, della Polonia, dell’Ucraina, della Romania e della Bulgaria.

A un’attenta osservazione, non si tratta, tuttavia, solo di un’incertezza sui confini, ma anche di una grande diversità di idee sull'Europa, come se, in assenza di una solida riflessione storico-culturale, ognuno si sentisse autorizzato a dare di una storia più che millenaria e di un mondo variegato di popoli, tradizioni e culture una propria interpretazione considerandola fondata. Di qui la grande varietà di «idee» sull'Europa, con o senza la Russia (di cui molti vorrebbero fare a meno, benché ne costituisca circa il 40 per cento), con o senza una parte rilevante della Turchia, con o senza un progetto chiaro e sostenibile per il futuro, ma anche con la paura di scomparire come «potenza» e di non riuscire nemmeno a difendersi in caso di attacco senza l’ombrello protettivo americano.

Tuttavia, molti politici soprattutto in sede europea parlano dell’Europa come se esistesse o potesse esistere una sua idea elaborata ex novo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a prescindere da duemila anni di storia e da una miriade di contaminazioni culturali, filosofiche, linguistiche, religiose, artistiche, scientifiche tra i vari popoli del continente, negando di fatto la tendenza che ha sempre visto l’Europa pacificatrice e inclusiva (e non esclusiva) di popoli, religioni, culture, arti, e ignorando che l’inclusione ha reso l’Europa grande economicamente, politicamente e culturalmente. Senza questa capacità d’integrazione e di sintesi, dell’Europa si avrebbe nel mondo ben altra idea, perché riguarderebbe ancora un luogo di divisioni, di contrasti, di nazionalismi spinti, di conflitti permanenti.

La prima riflessione sull'Europa

Antica carta d'Europa (ca. 1600)
Può forse meravigliare qualche studioso di mitologia greca e qualche lettore, ma il mito di Europa (la bella principessa fenicia rapita da Zeus e portata a Creta) era solo un mito dell’antica Grecia e non riguardava affatto il nostro continente. I Romani non avevano una nozione precisa dell’Europa se non come la terra dei Barbari abitanti oltre il Reno e il Danubio. Non l’avevano i primi cristiani di Roma, della Gallia, della Britannia, dell'Helvetia e dell'Hispania; ma non l’avevano nemmeno Carlo Magno e gli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico. Gli stessi crociati, pur provenendo da varie «nazioni» del continente, non si ritenevano ancora «europei». Il senso di appartenenza all'Europa maturò solo fra il XV e il XVI secolo, quando anche la cartografia cominciò ad interessarsi specificamente all'Europa e la circolazione delle idee cominciava a globalizzarsi.

Il primo studioso a indagare sull'identità europea e a elencare alcuni valori di riferimento in cui credere e per cui combattere è stato l’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), eletto papa col nome di Pio II nel 1458, lo stesso anno della pubblicazione della sua opera De Europa. Data l’importanza di quest’opera, se ne tratterà più diffusamente nel prossimo articolo, cercando anche di rispondere a due domande fondamentali: Perché la prima riflessione seria sulla «identità» dell’Europa, sui suoi valori e sulla necessità di difenderli è avvenuta in un ambiente umanistico e cristiano? Perché è emersa nello stesso ambiente l’esigenza di un’Europa sostanzialmente unitaria sotto il profilo culturale e religioso?

Giovanni Longu
Berna, 6.3.2024

25 febbraio 2024

Russia-Ucraina: due anni abominevoli!

Da due anni si combatte in Ucraina una guerra abominevole, inutile e irresponsabile, che continua a suscitare sgomento e preoccupazione. L’opinione pubblica mondiale è molto disorientata e non può che auspicarne la fine rapida e una pace «giusta», soprattutto nel senso che elimini alla radice i motivi che l’hanno provocata.

Questa guerra è certamente abominevole e dannosa dal punto di vista delle popolazioni coinvolte, perché vengono calpestati i diritti fondamentali delle persone a vivere (in pace e libertà), ad avere una casa, un lavoro, una famiglia, un avvenire…. Ma è abominevole anche per ogni persona di buon senso, perché non si vede in questa guerra alcuna ragionevolezza e giustificazione (posto che per una guerra possano esserci buone ragioni!). Anzi s’intravvedono facilmente nelle persone che la vogliono evidenti forme di delirio d’onnipotenza, di prevaricazione, di abuso di potere, mentre le persone che la sostengono (militarmente e finanziariamente) cercano soprattutto di nascondere la propria incapacità di proporre soluzioni diplomatiche realistiche, raggiungibili col dialogo, i compromessi, gli accordi, abusando della buona fede e dei buoni sentimenti dei propri cittadini.

Dallo stallo che si registra oggi nelle operazioni militari appare evidente che questa guerra è non solo dannosa, ma anche inutile perché non solo non viene raggiunto alcun obiettivo utile per nessuna delle parti in conflitto, ma rinvia qualsiasi soluzione a un tempo indeterminato, mentre si allunga la fila dei morti, aumentano le atrocità per i superstiti, le distruzioni, la povertà, l’incertezza del futuro. Non può essere considerato un buon affare l’occupazione di un pezzo di terra con costi così elevati, tanto più se quella terra può essere coltivata, sfruttata, goduta insieme… pacificamente.

Purtroppo il prolungarsi di questa guerra dimostra anche l’irresponsabilità non solo dei governanti coinvolti direttamente o indirettamente, ma anche delle opinioni pubbliche e di chi non sa metterle in condizione di esprimere un giudizio davvero autonomo e convinto. Purtroppo anche le rievocazioni di questi giorni, a parte qualche eccezione, non forniscono elementi di giudizio seri e sufficienti. Per certune sembrerebbe accertata solo l’invasione da parte della Russia di due anni fa, dimenticando, per esempio, che prima di essa in Ucraina era in atto una guerra civile perché due grandi regioni a maggioranza russofona si erano dichiarate prima indipendenti e poi annesse alla Russa, ignorando che nel 1991, quando l’Ucraina si era resa indipendente dall'URSS, la NATO si era impegnata a non estendersi a est e l’Ucraina a restare neutrale; dimenticando che nel 2014 e 2015 non c’era stata solo l’annessione russa della Crimea, ma erano stati raggiunti anche compromessi ragionevoli col sostegno di alcune potenze occidentali (i famosi Accordi di Minsk)… che non vennero mai rispettati.

In un precedente articolo ho scritto che l’opinione pubblica sarà determinante nel futuro processo di pace (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2023/09/per-una-pace-giusta-tra-russia-e.html). Per questo è necessario che il pubblico abbia a disposizione molteplici informazioni, senza ritenere che alcune sono certamente buone e altre ovviamente false a seconda della provenienza.


Il cons. fed. Ignazio Cassis, all'ONU 
Sotto questo profilo mi è sembrata insufficiente anche la rievocazione nella sede delle Nazioni Unite del ministro degli affari esteri svizzero, Ignazio Cassis. Volendo annunciare la disponibilità della Svizzera a ospitare una conferenza per la pace ad alto livello nei prossimi mesi, dopo aver ricordato le «violazioni flagranti al diritto internazionale e ai diritti dell’uomo» (senza menzionare i responsabili) ha invocato il «rispetto dell’integrità territoriale» dell’Ucraina, ma non ha detto una parola sul compito dell’ONU (art. 1, n. 3) di «promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione» anche in Ucraina e sul principio previsto dalla stessa Carta ONU all'articolo 55 «dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli». Nessun accenno, inoltre, agli Accordi di Minsk, che potrebbero essere una buona base di partenza del prossimo negoziato.

Infine, poiché prima o poi si arriverà alla fine di questa guerra e la Carta ONU costituirà la base di riferimento fondamentale della successiva pace, mi sarei aspettato che almeno nelle rievocazioni ufficiali si accennasse ai punti più controversi della Carta, tanto più che al riguardo le interpretazioni di Russia e Ucraina sono opposte. Senza un chiarimento preliminare e una mediazione autorevole, difficilmente il negoziato potrà iniziare e giungere a buon fine.

Giovanni Longu
Berna 24.2.2024 

21 febbraio 2024

7. La caduta di Costantinopoli, la vittoria di Lepanto e la coscienza «europea»

Le crociate erano state in larga misura un fallimento, ma non avevano azzerato l’indignazione dei cristiani per i soprusi dei musulmani né tantomeno la paura di essere prima o poi sopraffatti dall'Islam. Tuttavia, mentre il primo sentimento non suscitava più alcuna volontà di rivalsa a causa della disgregazione del Sacro Romano Impero, dell’esiguità dell’Impero d’Oriente (ormai ridotto a poco più della città di Costantinopoli) e del disinteresse della Chiesa, la paura spingeva i singoli Stati a dotarsi di eserciti nazionali per la difesa dei propri territori, ricorrendo talvolta anche all'aiuto di altri eserciti cristiani, com'era avvenuto nel 732 a Poitiers (Francia), in Spagna durante la «reconquista» (terminata nel 1492) e come avverrà a Lepanto nel 1571.

Islam pericolo reale

Caduta di Costantinopoli  (Domenico Tintoretto - Venezia, Sala del Maggior Consiglio)
Le crociate erano fallite a causa del declino degli Imperi (frantumati in tanti regni, principati, ducati, repubbliche, spesso in lotta fra loro), dei differenti interessi dei partecipanti alle varie coalizioni e della debolezza della Chiesa (contestata sia all'interno che all'esterno). Era perciò impensabile una nuova reazione militare dell’Occidente per sconfiggere l’Islam. Le stesse repubbliche marinare di Genova e Venezia, che avevano tratto grandi profitti dalle crociate, preferivano tener pronte le loro marinerie non per trasportare pellegrini e guerrieri, ma per gli inevitabili scontri che ci sarebbero stati per il controllo dei commerci fra Oriente e Occidente.

D’altra parte, il pericolo islamico era reale. L’Islam faceva paura perché non era solo una religione nuova, sebbene si ponesse in continuità con l’Ebraismo e il Cristianesimo, ma anche, secondo le stesse indicazioni del fondatore Maometto (570 ca.-632), un movimento politico e militare che incitava alla «guerra santa» contro gli infedeli.

Effettivamente, dopo aver conquistato l’Arabia e occupato gran parte dell’Impero bizantino (Siria, Palestina, Sicilia e alcune zone della Sardegna), i musulmani si erano spinti ad Oriente sconfiggendo i Turchi (convertendoli) e respingendo le orde dei Mongoli, avevano islamizzato tutto il Nord Africa (Egitto, Libia, Magreb) e buona parte della Spagna, ed erano intenzionati ad estendersi sia in Occidente che in Asia.

Nessuna forza sembrava in grado di arrestarne l’avanzata, specialmente dopo che i Turchi musulmani erano riusciti a costituire un grande impero (Impero Ottomano), a conquistare l’intera Anatolia e quel che restava dell’Impero bizantino, a far capitolare Costantinopoli (29 maggio 1453) e a dirigersi coi loro eserciti verso Ungheria, Serbia, Croazia e Austria.

La caduta di Costantinopoli

La caduta di Costantinopoli, che aveva consentito al conquistatore ottomano Maometto II (1432-1481) di entrare a cavallo nella chiesa di Santa Sofia, suscitò nell'Occidente cristiano forte sgomento e preoccupazione, come osservava Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), allora segretario della cancelleria dell’imperatore Federico III d’Asburgo (1415-1493) e futuro papa Pio II (dal 1458), perché sembrava la caduta di un simbolo fondante del Cristianesimo e un brutto presagio per la sorte della Cristianità. Del resto, Maometto II non si faceva scrupoli, si considerava l’erede legittimo del passato imperiale di Costantinopoli e come capo dell’Islam aspirava al dominio universale esteso anche all'Occidente cristiano. Di fatto, conquistò quasi subito l’intera Penisola Balcanica (ad eccezione di alcuni territori sotto dominio veneziano) e parte dell’Ungheria.

L’Islam non riuscì tuttavia ad estendersi nell'Asia settentrionale perché il principato della Moscova (oggi Russia europea), dopo la caduta dell’Impero bizantino, cercava a sua volta di estendersi sia a nord che ad est oltre gli Urali. Inoltre, la Chiesa di Mosca (la «Nuova Roma»), divenuta la più autorevole delle Chiese ortodosse, non disperava di poter riportare un giorno la croce a Santa Sofia a Costantinopoli; e intanto faceva costruire nella capitale la splendida cattedrale di San Basilio. Senza la resistenza russa probabilmente l’Europa sarebbe stata interamente islamizzata.

Anche in Occidente, dopo la conquista della penisola iberica, fu più difficile all'Islam estendere la propria influenza perché le monarchie si erano dotate di eserciti nazionali forti ed erano disposti, se necessario, a coalizzarsi per una difesa efficace o per sostenere la riconquista dei territori persi, come stava facendo la Spagna. La paura, tuttavia, era ancora diffusa.

La vittoria di Lepanto

Battaglia di Lepanto, vinta dalla flotta cristiana (1571)
Nel 1570, quando i Turchi stavano per impadronirsi di Cipro, il papa Pio V (1504-1572) promosse un’alleanza tra i cristiani, che mise in mare una flotta di oltre duecento navi ben armate. Vi partecipavano la Repubblica di Venezia (che mise a disposizione la metà delle imbarcazioni), l'Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), lo Stato Pontificio, la Repubblica di Genova, i Cavalieri di Malta, il Ducato di Savoia, il Granducato di Toscana e altri Stati italiani. 

Lo scontro con la flotta turca di trecento navi avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto. La vittoria schiacciante della flotta cristiana produsse un’impressione fortissima in tutta la Cristianità ed ebbe un’importante ricaduta sul piano della devozione, soprattutto di quella mariana: alla Vergine, infatti, si attribuì l’esito dello scontro navale e il papa consacrò alla Madonna della Vittoria la prima domenica di ottobre.

La vittoria di Lepanto non segnò la nascita dell’Europa, ma contribuì a delinearne i confini. Fu un grande segno di speranza e rafforzò la coscienza «europea» con solide radici cristiane.

Giovanni Longu
Berna, 21.2.2024

14 febbraio 2024

6. Islam, Crociate e la nascita della coscienza «europea»

Dopo l’anno Mille, sembrava che il continente europeo si fosse risvegliato da un lungo sonno. In realtà il risveglio era già avvenuto con la percezione che stesse nascendo una realtà socio-politica nuova, animata da una coscienza, che sarebbe stata definita in seguito «europea». Essa accomunava tutti i popoli dall'Atlantico ai monti Urali che stavano per dare contenuti specifici (di tipo politico, culturale, economico) a una matrice comune, in cui erano confluiti la grande eredità del passato (la civiltà greco-romana), elementi consuetudinari delle popolazioni di origine germanica e slava e la spiritualità cristiana (ormai diffusa su tutto il continente e ravvivata da un monachesimo attivo). A protezione della fragile realtà che si stava formando, l’Occidente cristiano organizzò le crociate e gettò le basi del proprio futuro.

Risveglio minacciato

Abbazia di Cluny: il «risveglio» dopo il 1000 riguardò tutto
l'Occidente cristiano, allora minacciato soprattutto dall'Islam. 
Il «risveglio» dopo il Mille fu propiziato da molti fattori, ma soprattutto dall'indebolimento della lotta per il primato tra Chiesa e Impero e dalla minaccia di pericoli incombenti. In Oriente, la Chiesa aveva accettato di buon grado un ruolo subalterno in cambio di protezione e privilegi; in Occidente si era raggiunto un compromesso che conveniva a entrambe le istituzioni, visibilmente in crisi e consapevoli che la situazione stesse per sfuggire al loro controllo (cfr. articolo precedente).

Specialmente in Occidente, l’Impero era contestato da molti popoli (compresi gli Svizzeri) che cercavano spazi importanti di autonomia sulla spinta di sentimenti nazionalistici molto diffusi tra le popolazioni (spesso eterogenee) stabilitesi sul continente e che avrebbero dato vita in epoche successive a una miriade di principati, ducati, Città libere, Repubbliche marinare e infine agli Stati nazionali indipendenti.

Ma anche la Chiesa di Roma era molto contestata sia per la sua decadenza morale che per la sua presunta autorità suprema. Le esigenze di una vita più consona al Vangelo generarono in alcuni casi tentativi di separazione, nascite di movimenti ereticali (Catari, Valdesi e altri), proclamazioni di antipapi, contro cui la Chiesa di Roma reagì spesso con violenza e con la scomunica. In altri casi si crearono movimenti virtuosi di portata continentale. Tale fu, per esempio, il nuovo modello di vita monastica promosso dall'abbazia di Cluny (Francia) e diffusosi rapidamente (con oltre 200 monasteri) in tutto il continente, ma anche l’esempio contagioso di alcuni santi di grande rilevanza come Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) in Francia, Ildegar da di Bingen (1098-1179) in Germania, Thomas Becket (1118-1170) in Inghilterra, Domenico di Guzman (1170-1221) in Spagna, Francesco d’Assisi (1181-1226) in Italia, Brigida di Svezia (1303-1373), ecc.

Il preteso primato della Chiesa di Roma (il papa è l’unico successore di san Pietro) portò invece alla rottura con la Chiesa d’Oriente (Scisma d’Oriente del 1054). Tra le due Chiese, tuttavia, i rapporti sia pure meno frequenti non furono mai interrotti, anche perché in occasioni particolari il sostegno reciproco era nell'interesse di entrambe, per esempio nella realizzazione delle crociate e nella lotta contro l’Islam.

Le crociate (1096-1270) e la lotta all’Islam

Le crociate non riuscirono a liberare la Terrasanta dai musulmani,
ma furono importanti per la formazione di una coscienza «europea».
Da secoli molti cristiani dall'Occidente si recavano in pellegrinaggio in Terrasanta per visitare i Luoghi Santi, finiti nel frattempo in mani musulmane. Dopo il Mille, molti ne auspicavano la riconquista in quanto eredi dell’Impero Romano e cristiani. Alla base di questa rivendicazione non c’erano solo motivi religiosi, ma anche politici ed economici. I musulmani erano considerati pericolosi usurpatori perché non avevano occupato solo la Terrasanta, ma anche gran parte della Spagna, la Sicilia, predavano le coste della Sardegna, dell’Italia e della Francia e le loro spedizioni di saccheggio non accennavano a diminuire, nonostante alcune sconfitte inferte alle loro marinerie da quelle di Pisa e Genova.

In questo clima antislamico fu facile al papa Urbano II nel 1095 lanciare la prima crociata (1096-1099), che si concluse con la conquista di Gerusalemme e la creazione di vari Stati cristiani d’Oriente. Alla prima ne seguirono almeno altre sette, con esiti non sempre conformi alle aspettative. Ma qui non si tratta di ripercorrere questa lunga e controversa storia politico-religiosa, ma di sottolinearne un aspetto significativo.

Le crociate e più in generale la lotta all'Islam sono state infatti nel Medioevo il momento del più ampio coinvolgimento dei popoli «europei» sotto un unico vessillo, la Croce di San Giorgio, in una grande impresa non solo religiosa, ma anche politica e commerciale (come si vedrà meglio nel prossimo articolo). Alle crociate intervennero infatti, sebbene non tutti contemporaneamente, gli Stati dell’Occidente cristiano (con in testa sovrani illustri come Federico Barbarossa, Riccardo Cuor di Leone, Federico II, Luigi IX di Francia, ecc.) e dell’Oriente cristiano-bizantino (che allora comprendeva anche la Russia occidentale). Anche quest’ultimo, infatti, aveva interesse a difendere i propri confini dall'avidità dei conquistatori musulmani.

Giovanni Longu
Berna, 14.2.2024