08 dicembre 2021

Immigrazione italiana 1970-1990: 64. La seconda generazione e la scelta professionale (1)

Negli articoli precedenti, trattando delle problematiche relative alla seconda generazione nel periodo 1970-1990, si è accennato alle difficoltà che hanno incontrato i giovani stranieri al termine della scolarità obbligatoria nella scelta professionale. Per molti di essi non è stato facile né scegliere tra proseguire gli studi e apprendere un mestiere, né decidersi, nel passo successivo, cosa studiare o quale mestiere imparare. Gli aiuti esterni per operare una scelta conforme ai propri desideri e alle proprie capacità erano scarsi e spesso non tenevano conto che i figli degli stranieri, anche quando dovevano superare non poche difficoltà legate alla bassa scolarizzazione e all'ambiente sociale dei genitori, avevano in generale una straordinaria volontà di riuscita. Rievocare quell'epoca e quelle difficoltà aiuta a capire meglio non solo il fenomeno molto complesso della seconda generazione, ma anche la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera negli ultimi decenni del secolo scorso.

Precisazioni doverose

Teoria e pratica combinate, per giovani e adulti, nella 
formazione professionale al Cisap di Berna (anni ’70)
Per esigenze di chiarezza conviene anzitutto precisare che per «seconda generazione di stranieri» in questo contesto s’intendono non solo i bambini nati in Svizzera da genitori immigrati o giunti in Svizzera nell'ambito del ricongiungimento familiare, che hanno frequentato la maggior parte della scuola dell’obbligo in Svizzera (come da definizione dall'Ufficio federale di statistica), ma anche i figli di immigrati giunti in Svizzera quando stavano per terminare l’obbligo scolastico o subito dopo averlo terminato.

Questa precisazione serve non solo a far capire che la popolazione di giovani di cui si sta parlando era molto eterogenea, con problematiche spesso assai diverse, ma anche ad evidenziare che negli anni Settanta non esistevano ancora strutture di consulenza e di aiuto adeguate alle esigenze. Questo spiega, almeno in parte, le difficoltà incontrate e spesso non superate da numerosi giovani stranieri nella scelta dell’apprendistato, che in molti casi probabilmente non corrispondeva alle reali possibilità degli interessati.

A questo punto occorre anche precisare che tradizionalmente, in Svizzera, il sistema «duale» di formazione professionale (pratica in azienda e teoria a scuola) è molto sviluppato, ma anche molto pretenzioso, perché deve soddisfare oltre ai desideri personali i bisogni di un’economia in costante trasformazione, che vuol essere competitiva e innovativa. Per disporre sempre di personale adeguato, le condizioni poste a chi si appresta a seguire un apprendistato sono pertanto severe, specialmente per chi non può esibire, come nel caso di molti stranieri, risultati scolastici di buon livello.

Per aiutare i giovani in questa difficile scelta esiste da decenni un apposito servizio pubblico di orientamento professionale, ritenuto solitamente utile. Nei confronti dei giovani della seconda generazione, però, nel periodo in esame (1970-1990), non sempre ha saputo tener conto delle effettive capacità degli interessati, dando probabilmente troppo peso alle prestazioni scolastiche e scarsa importanza alle capacità di ricupero e alle motivazioni dei giovani stranieri.

Preoccupazioni per il futuro

Da queste premesse sarebbe un errore dedurre che i giovani stranieri fossero sistematicamente trascurati, anche se circostanze varie e soprattutto le prestazioni scolastiche e lo scarso aiuto dell’ambiente familiare hanno fatto sì che molti di essi non fossero indirizzati verso apprendistati (mestieri) più confacenti alle loro possibilità. D’altra parte, gli orientatori professionali di allora non erano in grado di valutare l’adeguatezza delle loro proposte in funzione dei desideri, delle possibilità e dei progetti di vita dei richiedenti il loro consiglio, perché erano abituati a verificare soprattutto la compatibilità (presunta) tra i risultati scolastici e la professione consigliata.

Formazione professionale per tutti, uomini e donne,
un imperativo degli anni ’70 e ’80 (allievi Cisap).
Un errore ancora più ingiustificato sarebbe dedurre dalle precisazioni di cui sopra che il Consiglio federale e dunque la politica volessero in fondo solo una seconda generazione in grado di sostituire, magari ad un livello poco più elevato, la prima generazione che dopo la crisi economica della metà degli anni Settanta tendeva inesorabilmente a diminuire.

Infatti, nessuno (a parte qualche xenofobo incallito) s’illudeva, nella seconda metà degli anni Settanta, che gli italiani rientrati a seguito della crisi economica potessero essere sostituiti dai giovani della seconda generazione rimasti in Svizzera e da quelli che continuavano ad arrivare per il ricongiungimento familiare previsto dalla normativa in vigore. Tanto più che l’andamento dell’economia esigeva personale sempre più qualificato, mentre quello partito in gran parte non lo era.

A questa considerazione se ne deve aggiungere un’altra di natura demografica. Dalla seconda metà degli anni Sessanta si cominciò ad osservare una costante diminuzione delle nascite, accentuatasi nel decennio successivo con la partenza in seguito alla crisi economica di numerose famiglie straniere notoriamente con molti più bambini di quelle svizzere. Per evitare un possibile squilibrio intergenerazionale la soluzione più opportuna non poteva che essere una politica chiara e lungimirante d’integrazione della seconda generazione.

Politica d’integrazione necessaria

In alcuni osservatori, la preoccupazione della denatalità nasceva dalla costatazione della contemporanea tendenza dell’invecchiamento della popolazione e dal rischio che la diminuzione delle nascite e poi delle persone attive potesse mettere in crisi il sistema delle assicurazioni sociali. Alla fine del decennio la preoccupazione divenne seria perché tra il 1964 e il 1978 il numero delle nascite era diminuito di oltre il 25 per cento.

Poiché le conseguenze per le assicurazioni sociali avrebbero potuto essere drammatiche se fosse diminuita ulteriormente l’attività economica degli stranieri con altre partenze, il Consiglio federale era sempre più convinto della necessità di un’efficace politica d’integrazione professionale soprattutto della seconda generazione. Per questo, fin dal 1973, sosteneva la necessità di «offrire agli stranieri uguali possibilità per quel che concerne la scuola, la formazione professionale, la casa».

In un Messaggio del 1978, il Consiglio federale, riconoscendo che «l'integrazione sociale e l'esercizio dei diritti riconosciuti agli stranieri sono spesso intralciati dal fatto che gli interessati non conoscono sufficientemente le nostre lingue, non dispongono di una formazione di base e patiscono delle differenze socio-culturali tra il loro Paese d'origine e il nostro» ne indicava così la soluzione: «ebbene, occorre rimediare a questo stato di cose. Ragioni d'ordine umano, sociale ed economico esigono infatti che si faciliti e promuova l'integrazione degli stranieri nel loro ambiente di lavoro e nella nostra comunità. Un isolamento della popolazione straniera in seno alla popolazione autoctona non può, a lungo termine, ch'essere pregiudizievole per ambedue».

Anni più tardi, nel 1990, parlando dei giovani stranieri, il presidente della Confederazione Arnold Koller affermò chiaramente che «questi giovani devono poter realizzarsi entro l'ambito di due culture, quella svizzera e quella dei genitori. La ricerca di un posto di lavoro dev'essere facilitata loro nel segno della parità d'opportunità». La formazione professionale era un imperativo valido anche per gli stranieri.

Ottimismo del Consiglio federale

Nel periodo in esame non c’erano dubbi: una buona integrazione non poteva fare a meno di una buona scolarizzazione e di una solida formazione professionale di base. Soprattutto nel Consiglio federale regnava un certo ottimismo sulla loro efficacia e sulle possibilità di riuscita, anche se nessuno era in grado di prevederne tempi e modi. Per il governo, però, l’ottimismo era fondato. Secondo il consigliere federale Koller, già in passato «molti [lavoratori stranieri venuti nel nostro Paese] hanno saputo migliorare le loro conoscenze professionali, parecchi sono divenuti essi stessi imprenditori» e negli anni Settanta e Ottanta gli svizzeri sono riusciti a integrare un numero rilevante di cittadini stranieri, rispondendo all'enorme sfida «con un impegno massiccio».

La strada, tuttavia, non sarebbe stata comunque facile perché non solo la scuola svizzera era molto esigente e selettiva, ma lo era pure la formazione professionale. Fra l’altro, a riguardo dell’una e dell’altra, negli anni Settanta e Ottanta c’erano ancora, anche tra gli italiani, alcuni pregiudizi e incertezze difficili da superare. In realtà, furono diverse le ragioni che rallentarono la piena implementazione della politica d’integrazione del Consiglio federale nel campo della formazione professionale. Per contare i maggiori risultati bisognerà attendere il periodo successivo, ma già in quello in esame molti segnali giustificavano l’ottimismo. (Segue)

Berna, 8 dicembre 2021
Giovanni Longu